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Woytjla e la cultura dell’essere-Di Felice Magnani

 25 Gennaio 2016 |  Pippo | |

Giovanni Paolo II ricorda spesso quando, operaio della Solvay, si portava i libri in fabbrica, per ritagliarsi spazi di conoscenza, sfidando l’incomprensione dei colleghi, ma anche la stima di altri che, senza comprendere a fondo, vedevano in lui un modo diverso di vivere l’esistenza. Ha fatto della cultura il verbo del suo quotidiano dialogo con l’esistenza. La sua è cultura dell’essere che libera, consolida e potenzia la vita di relazione, che apre continuamente spazi di speranza in un mondo prevaricato da varie forme di coercizione. La cultura del papa è cultura di vita che si oppone alla violenza e alla morte e che migliora l’essere umano, aiutandolo a evidenziare la parte nobile della natura umana, quella che si dona e diventa servizio, aiutando gli altri a comprendere meglio se stessi e il mondo. Giovanni Paolo II sa che la conoscenza è figlia di Dio e che la conoscenza umana sfocia quasi necessariamente in quella metafisica e quella metafisica il più delle volte in quella teologica. Per questo applica una teologia dal volto umano, che si rende visibile, che si legge e si lascia comprendere perché parla il linguaggio dolce e rasserenante di una madre, quello paterno e passionale di un padre. Con Giovanni Paolo II la Chiesa diventa popolo in cammino e la via è quella di tutti i giorni, con le sue difficoltà e le sue gioie, le sue aspettative e le sue delusioni, con il bisogno di sentire accanto a sé qualcuno che ne sostenga la fatica. E’ sulla via tracciata da Giovanni XXIII° che Karol posiziona la Chiesa, mettendola vicino all’uomo, dentro la natura umana, perché la sostenga nell’incontro con la speranza cristiana. Fuori dall’immobilismo, la Chiesa di Roma diventa apostolato itinerante, contatto attivo con quel mondo prostrato dalle mille iniquità della natura umana. Giovanni Paolo II ci fa scoprire la chiesa che è dentro ciascuno di noi, quella che attende di uscire fuori alla luce. E’ un papa evangelizzatore e la sua è la Chiesa dell’erranza, presenza soprattutto là dove secoli di coercizione del potere hanno distrutto la capacità della natura umana di essere anima, spirito, sentimento, valore, ricchezza interiore. Wojtyla sa che la rinascita parte soprattutto dalla presa di coscienza e che la presa di coscienza è foriera di mutazioni se è garantita dalla libertà. Senza libertà non è possibile crescere e svilupparsi, tracciare un cammino che possa aprirsi alle conoscenze umane e a quelle divine della storia. Senza libertà il popolo è schiavo, non ha voce, è costretto a subire il pensiero di chi lo comanda, di chi pretende la sua passività, di chi mette innanzi l’individualismo ai bisogni della collettività. Una battaglia, quella del papa, combattuta senza risparmio di energie, con lo spirito umano e passionale di una fede profonda e molto radicata. Un papa che non teme il confronto con il male, che lo affronta pubblicamente, senza risparmio di energie, come quando nella piana agrigentina punta il dito e la voce contro il potere mafioso. E’ il papa che risveglia i popoli della paura, quelli che hanno subito la violenza di un potere iniquo, creato apposta per impedire agli uomini di diventare realmente uomini, protagonisti della loro storia personale e collettiva. E’ il papa che dice al mondo di non avere paura, ma di lottare sempre per l’affermazione della verità. E’ il papa che esprime al massimo livello la bellezza della vita in tutte le sue variegate proposizioni. Ama e fa amare, regala ottimismo e rigenerazione, fiducia e speranza. Il suo sorriso e la sua benevolenza contagiano popoli cristiani e non cristiani, uomini e donne di tutte le religioni e di tutti i continenti. Le gente vede in lui il padre santo. La sua evangelizzazione si arricchisce sempre, porta dentro di sé i tasselli di un percorso di consolidamento e di potenziamento personale, che raggiunge l’apice con la malattia che lo colpisce pochi anni dopo l’attentato di Roma. La malattia esalta le sue virtù cristiane, regalando all’uomo un percorso di santificazione personale che trova nella sofferenza lo strumento perfetto di una nuova evangelizzazione. Il papa ammalato dà speranza, indica una via di santificazione personale, fa riflettere sul grande dono della vita umana, dimostra che essere ammalati non è un limite, ma un dono che l’uomo fa di se stesso. E’ la fase più forte della evangelizzazione papale, quella che esalta il valore della vita umana e della sua preparazione all’incontro con Cristo. Lo ricordiamo sul Viale delle Cappelle del Sacro Monte di Varese, il 2 novembre del 1984, mentre saliva col suo passo montanaro recitando il Rosario, insieme al cardinale Carlo Maria Martini, a monsignor Pasquale Macchi, segretario personale di Paolo VI, diventato poi arciprete del Sacro Monte e a una marea di folla convenuta per accompagnarlo in questo pellegrinaggio mariano. Capita spesso di non aver mai incontrato fisicamente la persona che avresti voluto incontrare, ma di averla incontrata più volte durante il suo e il nostro cammino, perché ci sono momenti nei quali il cammino dell’uno diventa bisogno e sostegno di quello dell’altro e viceversa. E’ un po’ come l’incontro con Cristo, che non hai mai visto e conosciuto nella sua dimensione umana e divina, ma che sei certo di averlo incontrato più volte nella difficoltà, nella preghiera, nell’eucarestia, nella fede, nel desiderio umano del sostegno divino. San Giovanni Paolo II ha incontrato il mondo nella sua espressione etnica e geografica, ma anche e soprattutto nelle sue aspettative umane e spirituali, che dominano l’animo umano, anche quando sembra che il benessere distrugga tutto, anche il dono straordinario dell’amore. Il Papa venuto dall’Est ha trasmesso al mondo un taumaturgico messaggio d’amore che ha incontrato tutti, soprattutto coloro che attendevano da tempo una voce che scuotesse torpori e trascuratezze, indifferenze e ripetitività, innovazioni incomprese e solitudini morali, persone che avevano un estremo bisogno di sentire vibrare di nuovo le corde del cuore. Ha scosso il pianeta, dimostrando che il Vangelo è un libro aperto di grande buon senso, che può trasformare il buio in luce, il pessimismo in un atto di fede nelle cose belle che allietano la vita. Quello di Giovanni Paolo II è un messaggio universale che ha il preziosissimo dono dell’ispirazione divina. Non è facile, infatti, parlare al cuore di chi si sente confuso e abbandonato, di chi ascolta belle parole morendo giorno per giorno senza nessuno che lo prenda per mano per fargli vedere che la luce del sole esiste per tutti e che può cambiare la vita. Il Vangelo di Cristo è stato la rotta che ha guidato tutta l’attività pastorale di un papa nato per santificare il mondo nel nome della religione di Roma. Solo chi ha sofferto e ha l’animo sgombro dagli stereotipi della storia può evocare l’entusiasmo contagioso che decompone il pregiudizio e restituisce la speranza, facendo capire ad ognuno che la via della salvezza è per tutti. Giovanni Paolo II è una di quelle figure che portano dentro il carisma dell’incontro, la forza incredibile di un amore che oltrepassa muri e barriere. L’ecumenismo è stato un passaggio grandioso del suo apostolato, un fraterno incontro di uomini che hanno riscoperto la loro radice umana, il bisogno di offrire il loro impegno in favore della pace nel mondo. L’incontro di Assisi, nella stupenda cornice del perdono, ha segnato una svolta decisiva nei rapporti umani, culturali, sociali e normativi che in passato hanno radicalizzato primati e diversità religiose. Giovanni Paolo II ha abbracciato tutti nello spirito, abbattendo il muro dell’incomprensione, proprio come quando è entrato nella Sinagoga di Roma per pregare con i fratelli di religione ebraica. Non dimentichiamoci che con lui il mondo si è guardato allo specchio, ha fatto un profondo esame di coscienza che in molti casi ha cambiato il corso della storia. Ha pregato sui luoghi del martirio per coloro che hanno subito le atrocità della natura umana, ha puntato il dito contro la mafia, richiamando l’uomo alle sue responsabilità, ha parlato al cuore dei giovani, con parole e gestualità di un papa senza età, che conosce molto bene i fermenti di uno dei momenti più belli e difficili della vita, ha ballato e cantato, dimostrando che si può vivere l’amore con modalità diverse, esaltando il valore della diversità, ha voluto sempre accanto a sé anziani, ammalati e bambini, ma soprattutto ha indicato all’umanità i due pilastri della salvezza: Cristo e Maria. Ha pronunciato parole forti,come “apritevi”, “non abbiate paura”, “pentitevi”, segni di uno spirito forte e determinato, che parla col cuore al cuore dell’uomo. Con lui sono saltate le differenze di classe, le discriminazioni sociali e tutti i tipi di discriminazioni presenti nella storia. Ha contagiato tutti con la sua gioia cristiana. Scriveva a proposito dei giovani: “Abbiamo bisogno della gioia di vivere che hanno i giovani: in essa si riflette qualcosa della gioia originaria che Dio ebbe creando l’uomo”, e poi ancora: “A me piace incontrare i giovani; non so perché ma mi piace; i giovani mi ringiovaniscono”. E’ sempre stato un grande punto di riferimento per il mondo giovanile, fin da quando era un giovane sacerdote nella parrocchia di San Floriano a Cracovia. Giovanni Paolo II ha ridato voce alla chiesa, ha riconfermato l’universalità del messaggio cristiano, ha riannodato amicizie, fratellanze, ha manifestato il volto sorridente di Cristo, quello che si lega alla speranza, al risveglio di dignità diventate vittime della storia. Con lui la Chiesa si è riproposta come chiesa del dialogo, dell’apertura sociale, della volontà di dimostrare che la presenza vale più di tante parole. Nei suoi quasi 27 anni di pontificato ha affrontato oltre 1400 udienze e incontri con personalità politiche di tutto il mondo. Ricordiamo le 712 visite a capi di stato e le 228 a primi ministri. E’ importante sottolineare il suo incontro con Fidel Castro, quello con straordinarie figure della chiesa come Madre Teresa di Calcutta e di altre religioni, come il Dalai Lama. Tra i tanti insegnamenti quello della sofferenza è stato grandioso. Fino all’ultimo ha voluto dimostrare che nella vita ci sono passaggi che vanno accolti con la stessa vocazione alla santità del Cristo crocifisso, senza mai interrompere, neppure per un attimo, la sua attività pastorale, il suo incontro quotidiano col mondo e i suoi mille problemi. Giovanni Paolo II ha riproposto la religione cattolica non come appartenenza elitaria, legata alle convenzioni di una gerarchia in qualche caso troppo legata ai formalismi, ma come somma di virtù e di esempi che trovano nel Vangelo di Cristo la loro espressione più viva e più vera. A braccia aperte sul mondo, stringendo mani e baciando fronti, con quella sua proiezione paterna e quella sua particolarissima devozione a Maria, ha sconvolto le regole del dogmatismo e del formalismo, ha rasserenato cuori, ne ha guarito di ormai privi di speranza, in un rapporto fraterno col mondo e i suoi bisogni. Lo ricordiamo sul viale delle Cappelle del Sacro Monte di Varese, il 2 novembre del 1984, mentre saliva col suo passo montanaro recitando il Rosario, insieme a Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano e a monsignor Pasquale Macchi, segretario personale di Paolo VI, diventato poi arciprete del Sacro Monte. E’ stato un momento d’incontro e di gioia, di entusiasmi e di speranze. Con Giovanni Paolo II la chiesa di Roma ha gettato fasci di luce su tutto il mondo non solo cattolico, perché la bellezza del cristianesimo, così come ce l’ha ricordato più volte il grande papa venuto dall’Est, sta nell’essere momento di affrancamento da varie forme di schiavitù che gravano sulla natura umana in ogni parte del pianeta.

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