MAI COME IN QUESTO MOMENTO LA SCUOLA HA BISOGNO DI GRANDE SOSTEGNO E COLLABORAZIONE
Per la scuola è un momento molto difficile, forse il più difficile, per questo ha bisogno di essere supportata, valorizzata, rinnovata, potenziata e, soprattutto, amata. Per amare la scuola bisogna prima di tutto voler bene ai docenti che, della scuola, sono il perno, il punto di riferimento costante dei nostri giovani e della loro voglia di crescere. I docenti iniziano un anno, post Covid, completamente nuovo dopo mesi di attese e di grandi incertezze, hanno bisogno di sentirsi valorizzati, devono essere messi in grado di attivarsi al meglio delle loro capacità culturali, fisiche, psicologiche, umane, economiche e finanziarie. Uno dei grandi problemi storici della classe insegnante è quello di non essere stata valorizzata, soprattutto sul piano economico e finanziario, di essere stata spesso isolata, di non aver avuto quei riconoscimento valoriale che le avrebbe evitato prevaricazioni e aggressioni da parte di organi di stampa e di una classe genitoriale non sempre attenta e misurata nel campo delle relazioni umane e sociali. Le riforme, invece di potenziare la forza educante della scuola, hanno sottovalutato il ruolo docente, lo hanno dato in pasto a una società non sufficientemente pronta a sostenere un ruolo propositivo di collaborazione relazionale con le parti in campo. In molti casi abbiamo assistito a varie forme di prevaricazione e a un conseguente arretramento di una classe docente eccessivamente zelante. Rafforzare il ruolo docente, renderlo competitivo sul piano nazionale ed europeo, rafforzarne lo stato sociale, valorizzarlo sul piano dell’autostima, fornirgli tutte le possibilità per poter esercitare al massimo livello la propria autorità culturale, costruirgli attorno un clima di attenzione e di grande fiducia, aggiornarlo sistematicamente e renderlo operativo sul piano della ricerca, occuparlo a tempo pieno con i dovuti riconoscimenti economici, farlo sentire padrone della situazione, avviandolo verso un’indipendenza operativa ed a una fattiva collaborazione con lo Stato, i Comuni e le Regioni, approntando una profonda trasformazione delle vecchie e obsolete strutture scolastiche, pericolose e ormai inadeguate a sostenere la necessità di mettere a punto una scuola nuova, moderna, molto ben attrezzata, costruita in ampi spazi verdi, fornita di ottime attrezzature sportive, artistiche, meccaniche, artigianali, una scuola capace di convertire la cultura in attività pratica, di avviare i giovani verso una presa di coscienza con le attività che dovranno intraprendere. Per troppo tempo le scuole sono state ampiamente inadeguate, incapaci di rispondere ai bisogni e alle necessità di una classe insegnante desiderosa di aprirsi ai nuovi orizzonti sociali, pedagogici, culturali, alla volontà da parte dei giovani di avere spazi adeguati dentro i quali sviluppare le proprie energie, la propria fantasia, la propria capacità di unire l’attività teorica con quella pratica. Per troppo tempo le scuole non hanno avuto palestre adeguate, non hanno avuto docce e spazi dove organizzare ragionevolmente la loro attività, hanno spesso trasferito le inadeguatezze strutturale e infrastrutturali in aule troppo piccole per favorire una sana dilatazione psicologica delle energie nervose. Tutte le incongruenze e le inadeguatezze sono diventate macroscopiche a causa della pandemia, che ha costretto le autorità competenti a prendere atto di come la scuola italiana sia stata vittima di una profonda trascuratezza, ci si è resi conto di quanto la scuola italiana sia stata e sia tuttora in gran parte non adatta a svolgere quel ruolo di formazione, che va ben oltre il corso disciplinare degli eventi. Per capire lo stato dell’arte basta andarle a trovare queste scuole e magari chiedere ai ragazzi che le frequentano se siano felici di dover stare chiusi per ore e ore in luoghi che spengono la gioia di vivere e quel movimento che si rende necessario per operare al meglio anche sul piano pratico. L’educazione dei giovani è il punto di forza di una nazione che si rinnova, che guarda al futuro con la certezza che un giorno crescerà una generazione che avrà il compito di fare le cose senza il timore di tutto quell’apparato di natura delinquenziale che sta consumando la forza e la bellezza di una democrazia conquistata con il grande impegno di uomini e donne che per difenderla e proteggerla con il loro coraggio e che desiderano che chi ha ricevuto il compito di ben operare per la vita dello Stato lo faccia con tutto il cuore e con tutta l’anima, con tutta l’onestà dovuta.
CONSIGLI UTILI PER COSTRUIRE UNA COMUNITA’ A MISURA D’UOMO
Ci sono due elementi che sono fondamentali nella crescita dei nostri giovani e in quella della società in generale: lo studio e il lavoro. Chi promuove lo studio? La scuola sicuramente e il lavoro? Anche alla base del lavoro c’è lo studio e quindi la scuola. La scuola è la molla che genera la crescita dell’essere umano, una crescita che diventa strada facendo sempre più tecnica, sempre più umanamente solida, capace di leggere, capire, interpretare, inventare, creare, dotandosi via via di autonomia, indipendenza, di un’ampia capacità di scelta. Dunque il cammino scolastico non deve essere affetto da immobilismo, ma deve rianimarsi continuamente, porsi delle domande e pensare delle risposte, deve sviluppare un’animazione sistemica, sempre pronta a cogliere tutto quello che l’intelligenza e l’esperienza sollecitano lungo un cammino. In una società che muta rapidamente è necessario che l’aggiornamento sia quotidiano, continuo e nulla deve essere lasciato a una banalissima idea di presunzione o di superiorità. La scuola è il punto di partenza, il luogo fisico dove l’interiorità impara a conoscersi, a osservarsi, a prendere coscienza della propria identità, ma non basta, non basta aver appreso la modalità o il metodo, diventa necessario approfondire, allargare, proseguire, lasciare che il cuore e la mente, di comune accordo, si liberino per un momento dalle condizionalità di natura costituzionale e si orientino verso una conoscenza sempre più ampia e attuale, sempre più capace di rispondere alle richieste di una società perennemente in viaggio. Chi studia lavora, tutti abbiamo iniziato a lavorare quando abbiamo messo il piede per la prima volta dentro le scuole che abbiamo frequentato, solo che nessuno ci ha mai parlato di scuola come lavoro quotidiano, forse perché nella cultura tradizionale il lavoro, per essere considerato tale, doveva avere una giusta retribuzione. Forse è stato un peccato di natura veniale, ma in molti casi ha creato una distinzione netta, la scuola è stata considerata infatti un tempo di passaggio, per certi aspetti un po’ ludico e un po’ attendistico, un momento di carattere familiare da vivere senza troppi problemi, quasi fosse una situazione di natura transitoria. C’è infatti chi ne ha approfittato, indirizzando i propri interessi e i propri obblighi altrove. In alcuni casi il lavoro vero e proprio ha preso il posto della scuola, impedendo una presa di coscienza ampia e concreta della propria vocazione intellettiva e culturale, interrompendo tempi e spazi di apprendimento che avrebbero potuto allargare e facilitare una vera e propria presa di coscienza delle proprie potenzialità. Una delle frasi principe era: “Se non ti impegni a scuola ti mando a lavorare”. Un paradosso! Come se il lavoro fosse il purgatorio, il luogo del patimento e della sofferenza . E’ in questa mescolanza di punti di vista che la separazione in molti casi è stata netta, è nata una scuola senza un chiaro orientamento nei confronti del mondo del lavoro, in molti casi ha vissuto di enfasi nozionistica, di classismo argomentativo, perdendo di vista le necessità del territorio, la volontà dell’uomo e rimanendo spesso chiusa in un ambito troppo ristretto per poter concorrere praticamente alla costruzione di una comunità eterogenea e compatta. La scuola è diventata divisiva, ha spesso creato giovani di serie A e giovani di serie B, ha creato l’illusione che il mondo dovesse essere guidato, senza forse immaginare che il mondo è una realtà complessa, la cui forza dipende dalla volontà di tutti i pianeti che lo compongono e che hanno un bisogno continuo di associazione, di aggregazione, di conoscenza, di idee e di visioni concrete che ne alimentino la maturità. La scuola non è dunque solo teoria, ma dovrebbe essere teoria applicata alla pratica, non è solo studio, ma ricerca e comparazione, volontà di proseguire la propria corsa verso l’apprendimento di tutto ciò che facilità il contatto con la vita. Se la scuola insegna a lavorare ha raggiunto un grande scopo, ha insegnato che alla base di ogni conquista c’è un impegno, ci sono dei valori, c’è la voglia di entrare nella bellezza di un mondo che attende chi desidera ammirarlo ed eventualmente rivestirlo di nuova speranza. Quando si vedono in giro giovani che non fanno nulla, che girovagano tutto il giorno combinando guai, vuol dire che tutto l’apparato educativo, scuola compresa, ha fallito, non è stato capace di trasmettere motivazioni valide per vivere e per vivere bene, non ha saputo valorizzare le potenzialità che sono presenti in abbondanza nella natura umana e che attendono di essere fatte uscire allo scoperto e valorizzate. Forse è arrivato il momento di fermarsi a riflettere su cosa sia utile fare quando intorno montano disagio e inutilità, forse è proprio questo il momento in cui le persone interessate e le agenzie responsabili devono fare quel passo in più che fa prendere coscienza, attivando pragmaticamente l’energia umana e facendola convergere con passione verso quelle attività che la ripaghino e la facciano sentire attiva, presente nella realizzazione di quel preziosissimo bene che è la vita individuale e quella comunitaria. C’è stato un momento in cui l’attività pratica ha fatto capolino nell’attività didattica, ma in una forma molto contenuta, drammaticamente complicata. L’idea che la scuola fosse il supporto ideale di un futuro improntato al lavoro ha tenuto banco nella prassi comune, ma in questo ha solo ottenuto un ruolo marginale, non sufficientemente adeguato per facilitare l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Una scuola solo del mattino serve a poco, i giovani hanno bisogno di alternare l’attività teorica a quella pratica, hanno bisogno di vivere sul campo l’ideologia culturale, hanno bisogno di mettersi alla prova, di incontrare quella realtà con la quale dovranno fare i conti durante tutta la loro esistenza. Per questo hanno bisogno di scuole nuove, moderne, molto attrezzate, coerenti con i bisogni e le necessità, hanno bisogno di spazi adeguati, capaci di suscitare gioia e passione. Un scuola senza un’area verde appresso non ha senso, una scuola senza uno spazio sportivo adeguato non può realizzare concretamente il famoso detto latino mens sana in corpore sano. I nostri ragazzi non possono perdere tutto il loro tempo prezioso in una quotidiana sorte di inutile vagabondaggio alla mercé del disagio, devono avere a disposizione chi li aiuta a stare bene, chi si preoccupa di loro, della loro crescita umana, sociale, politica e morale, devono ritrovare la fiducia nell’educazione pubblica e questo una scuola con la testa sul collo lo può fare, ma con l’aiuto di uno Stato che si renda finalmente conto che i tempi sono cambiati e che bisogna fare scelte precise: o il disagio o l’educazione, o la solitudine con tutti i suoi problemi o una dignitosa vita sociale, dove l’anima si risveglia e trova nella propria energia il coraggio di costruire una umanità migliore. Non è giocando tutto il giorno a pallone che un giovane diventa grande, ma inserendosi piano piano nella comunità e nei suoi problemi, cercando una propria collocazione, collaborando ad attività sociali, entrando nelle associazioni per dare il proprio contributo. L’associazionismo fa questo? Riunisce? Educa? Collabora con il mondo giovanile nella vita quotidiana? E’ propulsivo rispetto alle problematiche comuni? C’è una unità d’intenti in tutte le agenzie che si preoccupano di amministrare la socialità e la moralità altrui? Siamo sicuri che esista di fatto una convergenza comune per superare i problemi? E’ su questi interrogativi che conviene riflettere e anche in fretta, perché il tempo corre veloce e non si deve perdere dietro gli interessi di una politica è troppo preoccupata a salvaguardare il proprio potere personale, ignorando quello che sta succedendo realmente in ogni angolo del paese.
ACCANIMENTO, ODIO, VIOLENZA VERBALE, OFFESE IN PUBBLICO, PAROLACCE, SORRISI BEFFARDI MENTRE IL PROSSIMO ESPRIME IL SUO PUNTO DI VISTA. E’ QUESTO LO STATO DEMOCRATICO? E’ QUESTA LA DEMOCRAZIA? FACCIAMO UNA RIFLESSIONE.
Chi ama interessarsi a quello che succede nel nostro paese accende la televisione e ascolta. La prima cosa da fare è compiere una prima scelta radicale, per evitare di incorrere nella guerra personale, nelle diatribe infinite, nelle incomprensioni e nelle sopraffazioni, nei ricatti e nei rancori. Ascoltare e capire è sempre più difficile. Le voci si sovrappongono: due, tre, quattro e tutte alzano i toni, che diventano irosi, provocatori, senza ritegno alcuno e così l’avversario diventa il nemico da abbattere, la persona da immolare ai propri interessi personali. E così un mezzo pubblico straordinario diventa strumento di potere. Se hai il potere dalla tua puoi fare e puoi dire tutto quello che vuoi, perché il potere, soprattutto quello meno visibile, ha sempre fatto il bello e il cattivo tempo, senza badare troppo alla personalità di chi ascolta e continua a farlo. La politica ha perso la sua purezza verginale, non parla più di progetti, di organizzazione, di idee, è ridotta in molti casi a una lotta contro chi è stato catalogato, a torto o a ragione, un nemico da combattere senza sosta, come se i destini del mondo nazionale di pendessero da chi esprime liberamente, come da dettato costituzionale, il proprio punto di vista, adottando tattiche e strategie più confacenti al proprio modo di essere, alla propria visione di mondo. E’ davvero molto triste che il mondo politico attuale non sappia più esprimere una parola di condivisione, di aiuto morale, non sappia riconoscere la passione altrui, perché è troppo impegnato a garantirsi la poltrona. Il vero nodo di tutta la situazione è che qualcuno, da un po’ di anni a questa parte, deve essersi accorto che la politica è una sicura fonte di guadagno, un contratto per la vita e che se la raggiungi puoi tirare i remi in barca e vivere felice e contento, magari mandando ogni tanto al diavolo il tuo avversario, con la speranza che qualcun altro sia ancora più scaltro nell’affondare i colpi decisivi, quelli che tolgono di mezzo nel segno di una presunta legalità. Oggi ci sarebbe molto da discutere sulla legalità e su come in alcuni casi viene esercitata. Chi ascolta i dibattiti della politica attuale si ammala di fegato, vorrebbe spaccare il mondo, si rende conto di chi ha veramente davanti, salvo poi non capire come la nullità abbia la tracotanza di conservare una sua voglia di rivincita. Sono pochi oggi quelli che si occupano realmente dei problemi del paese e quei pochi sono presi di mira da chi vorrebbe vivere un’assoluta immobilità. L’immobilismo è sempre stato un grandissimo alleato della politica, l’ha aiutata a non fare niente, a dare sempre ragione, a non sollevare problemi, a riporre tutto nel cassetto di una costituzionalità di cui oggi si capisce poco o niente. La miglior azione politica è quella che non fa mai torto a nessuno, che dà sempre ragione a tutti e che se ne guarda bene dal voler cambiare le cose. E così il paese affonda e così chi credeva nella democrazia e nella sua specchiabile sincerità è costretto a spegnere la tv e a mettersi a giocare a dama, sperando che nel frattempo, sotto l’albero, spunti davvero qualcosa di buono e di bello.
ALLA BASE DI OGNI CONQUISTA C’E’ UN IMPEGNO SERIO
Non basta fare per far vedere, non basta spendere migliaia e migliaia di euro senza far comprendere ai fruitori il significato di quello che si fa. In questi anni di scarsissima sensibilità politico amministrativa ed educativa generale, si è andati avanti a lume di naso, senza porsi troppi problemi, pensando solo a soddisfare aspettative individuali o di parte, non si è andati a fondo nei problemi, non si è cercata la collaborazione, si è lavorato come se noi fossimo il mondo e gli altri fruitori passivi, non si è cercato di coinvolgere, di stabilire relazioni stabili con le persone, non si è messa in campo una visione vera, capace di dare risposte vere e non palliativi per dimostrare l’efficienza di un singolo o di una fazione. L’errore più grande è stato quello di aver dimenticato i giovani, di averli trattati come oggetti del nostro intendere e non soggetti da ascoltare e con cui stabilire rapporti interpersonali profondi e constanti. Non si è cercato di dare il giusto peso e la giusta misura a quelle che ritenevamo conquiste, bandiere da sventolare, abbiamo innescato forme sbagliate di euforia da benessere regalato, non abbiamo minimamente pensato che i rapporti e le relazioni si fondano su un lavoro singolo e collettivo costanti, dove le parti in causa prendono possesso della validità delle iniziative da intraprendere insieme, senza strafottenza, senza supponenza, ma con la complicità di uomini e donne che sanno dare la giusta dimensione a quel mondo ideale che andiamo cercando. I giovani sono stati in molti casi le vittime predestinate, perché non abbiamo fatto capire loro l’importanza di essere e di fare, non li abbiamo coinvolti nelle discipline a loro più congeniali, abbiamo regalato loro il nostro buonismo, ma senza prepararli a capire fino in fondo il vero significato di una conquista, di quello che stavamo preparando per loro. Abbiamo dato e poi li abbiamo abbandonati in preda a una violenta carica di energia giovanile, lasciata libera di esprimere senza freno alcuno la propria naturale inquietudine, quella di tipo caratteriale e quella raccolta con fatica in percorsi contrassegnati da varie forme di difficoltà. Ci siamo dimenticati di insegnare che ad ogni conquista corrisponde una grande fatica, un impegno singolo e collettivo, una rinuncia, ci siamo dimenticati di responsabilizzare fino in fondo i fruitori delle conquiste e così in molti casi li abbiamo illusi, salvo poi lamentarci delle nostra superficialità, coscienti in qualche caso di aver fatto tutto troppo in fretta, come se dovessimo lavare in fretta i panni sporchi. Ci siamo dimenticati o nessuno ci ha mai insegnato che le conquiste richiedono percorsi attivi, determinazione e comprensione, volontà e capacità di definire il frutto di una accettabile buona volontà. Un sistema educativo attivo sa esattamente che cosa bisogna fare e perché bisogna fare, sa dare un senso alla realtà, sa coinvolgere e orientare, sa dimostrare che tutto quello che abbiamo è frutto di un impegno comune, di una fatica comune e che i frutti più veri e più belli sono quelli concordati, vissuti insieme, animati dalla stessa volontà e dalla stessa passione, dallo stesso spirito di sacrificio. Dietro a ogni comportamento c’è una parte di quello spirito educativo che abbiamo ereditato dalla famiglia, dalla scuola e da chiunque abbia avuto a cuore la nostra crescita umana. Nella società di oggi si dà pur di mettere il cuore in pace e così tutto diventa dovuto, perché chi riceve nella maggior parte dei casi non sa dare il giusto peso e la giusta misura a tutto ciò che viene offerto, non avendo avuto educatori sufficientemente attrezzati per far amare e apprezzare il significato di un’appartenenza comune. Una società che vuole essere rispettata deve insegnare i significati di quello che si fa, deve essere in grado di dare un senso concreto alle cose, deve dimostrare che sa perfettamente che cosa voglia dire fare le cose per il bene degli altri. I soldi, quando ci sono, vanno spesi con cautela e solo quando nella mente di chi li deve usare è tutto chiaro, allora si potrà realizzare una comune volontà. Le conquiste sono fondamentali, ma devono avere un valore, devono significare qualcosa di importante, devono alimentare l’educazione, altrimenti restano polvere del deserto, pronta a essere portata via dal primo colpo di vento. In questi anni di baratto, ci si è lasciati troppo spesso trascinare da varie forme di pressapochismo, di qualunquismo, di smisurato orgoglio individuale, dimenticando forse che il senso di responsabilità individuale ha bisogno di riferimenti oggettivi sistematici, di confronti quotidiani, ha bisogno che la tanto decantata democrazia diventi un fatto compiuto e non solo un bellissimo codice da presentare nelle pubbliche manifestazioni, quando il gioco vale la candela. Forse bisogna tornare a insegnare, bisogna parlare molto con le giovani generazioni, bisogna far capire con molta fermezza il valore di quello che si fa, bisogna fare in modo che la scuola diventi realmente scuola di vita e che la società civile la smetta di inseguire il mito di un piacere senza senso e che indichi con molto senso del dovere quale sia la strada da seguire per fare in modo che una società possa definirsi veramente civile e non un surrogato di velleità individuali. Intorno a noi qualcuno s’impegna a fare bene, a responsabilizzare, ma bisogna che il buon esempio venga ripreso e messo in atto da tutti coloro che credono nell’educazione come momento di crescita della nostra esistenza.
OGGI TUTTI SI LEGANO ALLA SCUOLA, MA PRIMA?
Pensare alla scuola significa andare alle origini del sistema educativo del nostro paese, rimettendo al centro la famiglia con i suoi bisogni, le sue necessità, le sue aspirazioni e le sue difficoltà. In questi anni, molto prima del Covid, siamo stati spettatori di un’assoluta mancanza di attenzione nei confronti della scuola, ci siamo resi conto di quanto l’attenzione dello Stato in questa direzione sia stata labile e in alcuni casi addirittura assente. Abbiamo assistito impotenti ai crolli di intere strutture scolastiche e alla morte e al ferimento di numerosi alunni, abbiamo assistito all’uso improprio delle strutture scolastiche, alla loro inadeguatezza, abbiamo urlato la nostra rabbia, abbiamo scritto, ci siamo lamentati, ma non siamo riusciti a scuotere lo studiato torpore del potere. Siamo stati tutti quanti vittime di una politica che ha pensato più a se stessa e pochissimo agli altri, soprattutto a quei giovani che della società e dello Stato sono la parte nobile, quella che ha bisogno di vivere una dimensione educativa eccellente per poter essere testimone di valori fondamentali come il senso di responsabilità, il rispetto, l’onestà, l’attenzione, la collaborazione, la conoscenza come fonte di impegno e spirito di sacrificio, come ricerca costante di verità. Ci siamo lasciati irretire da chi non ha pensato a rinnovare le strutture scolastiche, da chi ha pensato molto di più alla partita elettorale che a quella di civiltà. Scuole vecchie dunque, fatiscenti, vecchi casermoni mai rinnovati, scuole prive di verde, di infrastrutture, con scarsissimi servizi igienici, scuole prestate al consumo di gente interessata, scuole scolorite, senza palestre decenti, scuole con crepe evidenti, scuole piazzate lungo una strada con evidenti segni di problemi acustici, scuole con aule anguste, prive di rispetto igienico e sanitario, scuole raffazzonate, rimesse in campo giusto per evitare di rimetterci la faccia, scuole senza aule adeguate per il tempo pieno e senza il materiale necessario per realizzare un tipo di cultura e di educazione più adeguata ai tempi, più aderente alle richieste di un mondo del lavoro in repentino cambiamento. Scuole che non hanno pensato che gli alunni non sono topi da tenere in gabbia, ma esseri umani che hanno un estremo bisogno di respirare a pieni polmoni, di fare movimento, di poter esprimere la propria energia in un ambiente adeguato, dove tranquillità e benessere vanno di pari passo con una mirata attività sportiva e con strutture capaci di supportare l’energia giovanile, mettendo a disposizione tutto quello che è necessario per fornire un taglio educativo adeguato alle loro necessità. Mentre il Covid impazza e sollecita cambiamenti strutturali radicali, il mondo si sveglia e si rende conto che le scuole italiane hanno un sacco di problemi di tutti i tipi. Improvvisamente ci si rende conto che i banchi sono vecchi e superati, che le aule devono essere strutturate secondo nuovi criteri di disposizione ambientale, che in tutti questi anni ci si è dimenticati della scuola, dei suoi bisogni e delle sue necessità, che gli edifici sono inadeguati e inefficienti, con pericoli evidenti, ci siamo dimenticati che gli spazi sono fondamentali e che i ragazzi hanno bisogno di trovare il giusto rapporto con l’ambiente in cui devono vivere gran parte della loro giornata. Sembra quasi che il Covid abbia preso le difese dei giovani, mettendo sul tappeto un’incuria che durava ormai da anni. E’ come se il mondo prendesse all’improvviso coscienza di avere dei doveri molto precisi e che la Costituzione non è un giocattolo per esibizioni interessate, ma un ordine di doveri e di diritti da osservare e da mettere in pratica. Le leggi non servono se restano carta, hanno bisogno di essere imparate, capite, interpretate e rispettate, hanno soprattutto bisogno di uomini e donne che le sappiano applicare prima a se stessi perché diventino insegnamento per gli altri. Chi ha insegnato nelle nostre scuole sa quanta negligenza e quanto oscurantismo abbiano fatto passare in second’ordine la cultura educativa, quella vera, quella che ha bisogno di incarnarsi, di diventare sistema per cambiare davvero le persone e la società. Chi è stato per molto tempo nella scuola sa quanto poco sostegno abbiano avuto i ragazzi disabili, con inserimenti instabili, con insegnanti in alcuni casi incerti sul da farsi, con problemi di relazione con chi non era preparato a sostenere un rapporto paritario, trovandosi anche nell’impossibilità di poter accedere ai piani superiori, di poter stabilire un rapporto collaborativo con una realtà scolastica non abituata a una comunicazione fondata più sull’umanità dei rapporti che sul giudizio grammaticale. La scuola ha dunque bisogno di una ristrutturazione profonda, che parta dalle fondamenta, ha bisogno di essere ripensata nella sua identità muraria, nella sua collocazione ambientale, ha bisogno di giovarsi del rispetto per l’essere umano, ha bisogno di avere spazi adeguati, ha bisogno di molto verde, di aree dentro le quali sviluppare un’adeguata attività fisica nella pace e nel silenzio, lontano dai rumori assordanti che ne corrompono la tranquillità e la bellezza, deve diventare un luogo amato e non un luogo da cui fuggire, deve avere tutto quello che è necessario per far diventare grandi le persone in un sistema educativo sicuro, adatto, capace di generare pensieri e riflessioni, associando l’attività culturale a quella fisica e garantendo spazi di libertà cosciente, capace di far crescere l’identità personale e quella comunitaria. La scuola è un preziosissimo luogo di crescita che ha il compito di aiutare i giovani a trovare la via di una ricca maturità personale, ma perché ciò avvenga ha bisogno di uno Stato che la valorizzi, che la ripensi, che la metta in condizione di essere veramente quello che è, il luogo in cui i giovani possono vivere con gioia la bellezza di una parte fondamentale della vita, capendone fino in fondo l’importanza e la finalità.