QUANDO LA POLTITICA DIVENTA UN CANCRO
di felice magnani
Viviamo giorni difficili, a tratti persino impossibili, ci sentiamo in gabbia e soprattutto impotenti di fronte a un sistema che ha perso di vista il rispetto della persona e che continua a ragionare come se la storia non avesse un tempo, un presente, un futuro, una identità nuova da spendere per migliorare la condizione del genere umano. Chi pensava che la cultura potesse avere una sua indipendenza, una capacità concreta di aiutare l’uomo a ritrovare se stesso, peccava forse di troppa fiducia, il deserto avanza molto più velocemente di quanto si possa immaginare, l’aridità non smette di ritagliarsi spazi, sopravvive anche quando si tinge dei colori dell’arcobaleno. Una delle maggiori difficoltà che incontra l’essere umano è quella di non riuscire a leggere con l’animo sgombro dal singhiozzo retrivo dell’antagonismo, non riesce a convincersi e a convincere che c’è anche un altro modo di vivere l’ identità e di renderla vitale, riavvolgendo un nastro che viene sistematicamente usato e consumato per impedire all’umanità di crescere, di mettere a frutto la propria esperienza, di concorrere alla costruzione di una democrazia non solo dei valori, ma in particolar modo dello spirito, dove l’alternanza non abbia bisogno di faide e di esacerbate contrapposizioni, bensì di una allenata coscienza critica che definisca valori universali finalizzati al bene comune. E’ drammaticamente triste l’ascolto di studiate demagogie che cancellano quella naturale voglia di purezza e di speranza che batte forte nell’animo umano. E’ drammaticamente triste ascoltare professionisti della politica nazionale e internazionale che invece di riunire la ricchezza innovativa della diversità, antepongono l’interesse di parte al benessere comune. Passano gli anni, ma c’è ancora chi gioca drammaticamente sull’appartenenza, come se la vita fosse nata figlia di un partito, di un movimento o di un sindacato, di un colore, di una storia o di una ideologia. La vita è semplicemente un meraviglioso inizio, una luce che s’illumina all’improvviso e che, appena si orienta, punta decisamente verso una presa di coscienza del mondo che l’aspetta. Il passato? Una fonte da consultare, un pensiero da non dimenticare, un mondo nuovo da costruire, una lingua da reinventare, affetti da consolidare, sogni da coltivare, speranze da sostenere, vite da proteggere e rafforzare, intelligenze da aprire. Il passato è se insegna, se aiuta, se diventa sostegno e speranza dell’umanità. Il passato è un docente meraviglioso, ma non deve riproporre una storia che non esiste più, non deve manipolare demagogicamente la voglia di vivere delle persone, deve sollecitare un modo nuovo di affrontare la vita, senza paura, senza falsi timori, senza ambiguità, deve creare una democrazia nuova, più accogliente, più libera, meno infarcita di vecchie e superate retrospettive, capace di leggere il presente e di progettare il futuro, senza lasciarsi cogliere alla sprovvista dal primo turbine di primavera. La cultura politica ha assolutamente bisogno di cultura, di leggere e approfondire il grande libro della storia senza lasciarsi sopraffare, senza vivere costantemente il mito di una supremazia che non esiste, perché la realtà è una ricerca continua, è alternanza di tesi, antitesi e sintesi e non basta, perché neppure la sintesi è forse sufficiente e capace di anticipare i fenomeni e di dare loro un nome. Quando la politica diventa un cancro? Quando si ammala gravemente al punto che ogni tipo di farmaco diventa inefficace. Le malattie della politica dipendono dalla cattiva volontà dell’essere umano, da spudorate forme di egoismo, di egocentrismo, di disonestà cronica, di individualismo estremo, di incapacità di saper essere al servizio degli altri, di saper leggere con onestà e pacatezza il libro della vita. La politica evapora quando vive per se stessa, in funzione di un io che ammorba ogni tensione e ogni volontà, un io che si auto idealizza e che perde sistematicamente di vista ciò che il cuore e la mente hanno in serbo e che, se giustamente sollecitati, possono offrire. La politica evapora quando pretende di spadroneggiare, di essere soluzione assoluta, quando perde di vista il contatto diretto con la gente, quella gente che la elegge e di cui si fida, quella gente che in molti casi diventa succube ignara di volontà individuali che nulla hanno a che vedere con il bene comune e le sue regole. Per ritrovare la politica bisogna forse ricominciare ad amarla sul serio, vivendola con quella umanissima dedizione che fa lievitare la parte più bella e più nobile del genere umano. Per ritrovare la politica bisogna rinnovarsi dentro, dare il via a una ripartenza che non abbia bisogno di nascondersi, di umiliare e di frodare. Mai come in questo momento la politica ha bisogno di ritrovare uno stile, una lingua, un portamento, un’eleganza e soprattutto un’anima che le consenta di vedere il mondo sotto una luce diversa. Forse il mondo non è come è stato dipinto, è più umano, molto meno rabbioso, molto più onesto, generoso, altruista, solidale, forse non è davvero il caso di stravolgere la natura umana, forse è più conveniente sollecitare la spinta universale del bene, per realizzare quel pizzico di felicità che ci tocca. C’è ancora purtroppo chi colonizza spazi e pensieri, chi ha lo zainetto pieno di odi e rancori, chi pensa che il mondo si possa dividere e barattare, che esistano ancora i fantasmi e che tenerli in vita possa servire a perpetuare un privilegio mai abdicato. Mentre il mondo si alimenta di nuove aspirazioni, di nuovi progetti e di nuova attualità, facendo ascoltare la propria voce, c’è ancora chi ripropone la violenza verbale, chi si arroga il diritto di una supremazia politica e culturale, chi non accetta che la verità possa essere anche un’altra, una ricerca in cui ogni essere umano si riconosca. La guarigione della politica richiede una grande trasformazione sociale e morale, richiede soprattutto di ricominciare dalla famiglia e dalla scuola, ricreando le condizioni perché l’educazione possa tornare a essere il volano di una società che è stanca di dover sopportare abusivismi e tradimenti.
QUANDO IL DISAGIO SORPRENDE
di felice magnani
Il Coronavirus ha sorpreso tutti. Ha sorpreso con la sua aggressività, con la rapidità dei contagi e, soprattutto, con l’inadeguatezza di un sistema impreparato a combattere un fronte come quello della pandemia, bisognoso di terapie intensive, ventilatori, mascherine, camici e spazi adeguati, strutture e infrastrutture, di una organizzazione adeguata alla complessità del fenomeno. Il problema è che a sostenere le ondate virali sono stati i poveri ospedali, impreparati all’urto di eventi distruttivi come il Covid, che hanno visto una politica nazionale impreparata. La paura della malattia ha orientato tutte le speranze verso i Pronto Soccorsi, che sono diventati veri e propri porti della speranza. In questo modo si è creata una grandissima confusione e la diffusione si è potenziata nella prima fase, quella d’inizio primavera e nella seconda, quella autunnale, con ancora più accanimento. I nostri medici e tutto l’apparato sanitario si sono trovati sprovvisti delle coperture necessarie per affrontare il nemico, hanno operato molto spesso sulla base di una solidissima vocazione missionaria e con quella bravura che viene loro riconosciuta in tutto il mondo. Il virus si è trovato di fronte un esercito generoso, ma non sufficientemente dotato delle armi e delle strutture necessarie per combatterlo e spesso i primi a cadere sono stati proprio loro, quei medici e quegl’infermieri che, anche dopo la pensione, si erano rimessi in campo per dar man forte. Il virus ha messo in luce i limiti di un sistema che non ha mai avuto quel peso che avrebbe dovuto avere. Un errore? Una leggerezza di non poco conto, che denota una forte miopia politica, incapace di valutazioni e visioni che vadano ben oltre tutti quei casermoni (i vecchi ospedali), incapaci di animare positivamente chi deve affrontare una grave pandemia, con tutte le sue conseguenze. Troppo accentramento, troppa superficialità valutativa, troppo poco coraggio d’intrapresa e così il sistema sanitario non ha avuto i supporti che sarebbero stati necessari, è stato trattato come se tutto fosse più che sufficiente. C’è qualcosa che non ha funzionato nell’assetto organizzativo, qualcosa che ha impedito al cittadino di vivere e di affrontare con la giusta determinazione un nemico terribile. Forse c’è stata una discrasia tra sistema politico e sistema sanitario, mondi che non sono mai andati perfettamente d’accordo, soprattutto quando le riforme della politica tendevano a sottovalutare il potere del sistema sanitario nazionale. Oggi i nodi vengono al pettine. A fronte di una politica italiana rimasta senza soldi e senza idee, si accumulano i disastri di una pandemia che sarebbe meglio intercettata se il sistema difensivo fosse stato ben distribuito sul territorio, evitando l’assalto ai poveri ospedali e ai pronto soccorsi. Curare il contagio a casa, sapere con esattezza con quale tipo di cura, creare un feeling diretto con le farmacie, potenziare e valorizzare l’operato dei medici di base, spesso abbandonati in un limbo da cui riesce difficile evadere senza dover pagare dazio, dilazionare meglio le responsabilità, aumentando il numero del personale, abbreviando i tempi di immissione nel mondo del lavoro, evitando inutili lungaggini e puntando decisamente su una maggiore collaborazione tra pubblico e privato, sono passi che si sarebbero dovuti fare con una certa celerità, per permettere alla sanità pubblica di stare al passo con gl’imprevisti dei tempi. La sanità, come la scuola, ha bisogno di una profonda revisione, sulla base di un ordine in cui l’autorevolezza della necessità sanitaria riprenda il sopravvento sulle logiche di una politica spesso senza idee e senza visione. Il paese può risorgere, ma è necessaria una radicale trasformazione di mentalità. E’ necessario pianificare una sanità che sia più vicina ai cittadini, più capace di essere sul campo, accanto ai bisogni e alle necessità. E’ decentrando che si evitano gli ingorghi, è rafforzando la medicina sul territorio che in futuro si potranno affrontare con più serenità le eventuali pandemie, è stabilendo un contatto più diretto con la gente che sarà possibile rimanere sul pezzo, è trattando meglio i lavoratori del mondo medico e paramedico che sarà possibile avere un’attenzione più elevata su un mestiere che collabora quotidianamente alla perpetuazione della vita. E’ nel potenziamento dell’ apparato educativo dello Stato che si potrà immaginare una ripartenza che sappia unire l’umanesimo alla tecnologia, la scienza alla fiducia nella persona, la collaborazione come forma suprema di condivisione. Osservando dall’esterno si ha la sensazione che la strada da percorrere sia ancora lunga, che molte trasformazioni siano necessarie, che non si tratti tanto di un problema di supremazia ideologica, quanto di saper rifondere quell’impegno e quella determinazione con cui si devono affrontare i bisogni e le necessità dei cittadini. Il mondo va amato sul serio, perché è fatto di persone, di anime, di cuori, di volontà, di desideri, di affetti, di strumenti, è una straordinaria mescolanza di intelligenze che s’incontrano per dare un senso più compiuto alla vita, per dimostrare che è possibile riattivare quell’energia che è stata spesso rimossa per lasciare il posto a un materialismo senza speranza. Il mondo deve guardarsi dentro, proprio come ci stanno insegnando i nostri medici, scoprendo quell’identità lasciata per troppo tempo in balia di un consumismo schiavo di approssimazione e di ambiguità. E’ in questa rivisitazione che la nuova realtà dovrebbe prendere forma, mostrando la sua vera natura, appellandosi a una visione più umana, più attenta e più collaborativa. Una sanità ben distribuita sul territorio, molto ben attrezzata, tranquilla sotto il profilo economico e finanziario, apprezzata e sostenuta, potrà sicuramente consentire di guardare al futuro con una speranza in più, ma perché ciò avvenga è necessario che la politica torni a essere quella che sa guardare avanti, che sa anticipare i problemi, che sa mettersi davvero al servizio di tutte quelle persone che la eleggono con lo spirito di chi crede che la fiducia non debba mai essere tradita e che la collaborazione sia il vero punto di partenza per evitare che il nemico possa avere vita facile e farla franca, insinuandosi nelle pieghe di una concorrenza che rischia di dividere le forze in campo.
UNA SCUOLA DA RIVISITARE
di felice magnani
Di scuola si è sempre parlato pochissimo, anche se in qualche caso si sono tentate riforme all’acqua di rosa, che hanno tolto o aggiunto, ma senza aver ben chiaro lo stato di necessità sociale di una nazione in cui la mummificazione del passato impediva di poter guardare bene in viso il presente e il futuro. In molti casi ha perso di vista la sua spinta educativa, l’idea di far uscire allo scoperto l’orgoglio e la fierezza di una cultura fatta apposta per sviluppare l’ampiezza sociale del senso critico, si è trovata di fronte il mondo e la necessità di stabilire un dialogo vero, serrato e profondo, un dialogo che permettesse agli esseri umani di testare sul campo la necessità di conoscersi meglio. Si è passati da un provincialismo classista a una concezione mondialista della cultura, dove il valore non era più solo appartenenza o proprietà, ma dove il tema fondamentale diventava conquista sociale del valore, capacità di educare gli animi all’interazione e all’integrazione, alla possibilità di creare ponti e di approfondire modi diversi di concepire e adattare la cultura a un sistema sociale radicalmente nuovo. Una cultura più fondata sulla mobilità, sul dinamismo intellettuale, sulla possibilità di fare esperienze sul campo, sulla necessità di un apprendimento linguistico che facilitasse i rapporti interpersonali tra le diverse parti del mondo. E’ sui grandi valori della cultura che si gioca il futuro delle società, è sulla collaborazione e sull’incontro che i rapporti si rafforzano e si stabilizzano, è sulla comprensione umana che si gioca il futuro delle nuove generazioni. La scuola è anche quella che fa capire che oltre i muri delle diversità esistono spazi di uguaglianza dentro i quali sarà forse possibile costruire quel mondo di cui tutti parlano, ma che resta per molti un orizzonte senza confini. Non una scuola chiusa e arroccata, privilegiata, ma una scuola aperta, dove l’attività fisica si sposi a quella mentale, dove il giudizio risenta di una forte umanità, permettendo ai giovani di scoprire i propri valori e le proprie tendenze, una scuola che sviluppi le sue attitudini in ambienti idonei, che sappia riscoprire il senso della bellezza, della musica e dell’arte, che sappia far vivere sul campo tutte quelle emozioni che spesso restano stigmatizzate nei video digitali. Si tratta di riattivare il valore sociale di una comunità scolastica che si muove tra persone che stanno crescendo e che hanno bisogno di mettersi alla prova, di scoprire di che pasta sono fatte, di costruire anche solo una parte di quel mondo nel quale dovranno poi esercitare le loro attitudini. Si tratta di rifondare una scuola che sappia riconoscere i propri errori e che sappia lavorare seriamente per cercare di vitalizzare al massimo le risorse dell’essere umano, promuovendo una ricerca continua, un dinamismo passionale, la capacità di poter fare e costruire senza la paura di sbagliare, una scuola che non incuta paura, ma una grandissima voglia di fare e di fare con grande entusiasmo.