Sembra così difficile valorizzare eppure è la chiave di lettura di molti dei fallimenti della condizione umana, una condizione sempre più rivolta verso il basso, incapace di lavorare con entusiasmo e determinazione su se stessa prima di tutto e poi su quella sua straordinaria vitalità creativa che l’ha resa famosa nel tempo. Ci si domanda spesso come mai un paese come l’Italia non si sappia voler bene, non si sappia apprezzare, stimare per quello che realmente è e per quello che realmente vale. Un atavico complesso d’inferiorità? L’idea che essere intelligenti sia una colpa? Il fatto di non sentirsi sufficientemente sicura per dimostrare tutto il suo valore in ogni campo del sapere teorico e pratico? E’ possibile che il paese di Dante Alighieri, di Leonardo da Vinci, di Raffaello e di Brunelleschi, di Manzoni e di Leopardi non sia più capace di recitare una parte di primo piano, mettendo a disposizione del nuovo mondo tutta la sua ricchezza artistica, filosofica e morale, sostituendola a quel terribile marchio di una delinquenza organizzata che la fa sfigurare in tutte le parti del mondo? Come mai una nazione amata, stimata e benvoluta non è capace di scrollarsi di dosso quei mali che vorrebbero distruggerla, brandendo con energia, forza ed entusiasmo quella volontà di fondo che le consente di concorrere alla pari con le più blasonate democrazie internazionali. Come mai resta vittima predestinata di una democrazia che di veramente democratico non ha più nulla o quasi, se non la vergogna che prova ogni qualvolta il potere del malaffare la vorrebbe condizionare al punto di impedirle il sacro esercizio delle proprie qualità storiche,costituzionali e morali? Eppure una via d’uscita ci sarebbe e cioè quella di ricostruire una democrazia vera, ferma, decisa, capace di imporsi senta tentennamenti, con la convinzione di essere una fondamentale conquista storica, dentro la quale non c’è posto per chi coltiva propositi di sistemica depredazione? Dov’è la filosofia dantesca, la sua capacità di saper distinguere il bene dal male, la sua fermezza decisionale nella condanna del male e nella premiazione del bene. Dove risiede la meritocrazia dantesca se non nell’aver insegnato all’uomo, a tutti gli uomini indistintamente, che il bene porta verso il paradiso e il male condanna l’uomo alle fiamme dell’inferno? E’ davvero straordinariamente bella la sua rivalutazione della conoscenza come liberazione dall’ignoranza. Ecco dove sta il merito, nel riconoscere una volontà quando si fa analisi introspettiva, quando si confessa, s’interroga, offre una speranza, una via d’uscita per rimettere la vita con le sue bellezze al centro della storia umana. E qual è il merito di Giacomo Leopardi, se non di aver insegnato all’umanità la via della redenzione attraverso la musicalità del verso poetico? L’Italia è stata e continua a essere un grandissimo patrimonio elettivo di valorizzazione artistica, ma soprattutto umana, raccolta tra le pagine di una storia dominata sempre da una sottile, ma decisa impronta pedagogica, attraverso la quale si legge lo spirito di un paese che nella nuova visione del mondo e delle cose piazza sempre una piattaforma educativa sulla quale e con la quale misurarsi sempre, soprattutto quando i cambiamenti arrivano improvvisi e rischiano di sorprendere e di annientare. Sull’onda del merito leopardiano ancora oggi cerchiamo nella poesia quello spazio spirituale che un materialismo gretto e inetto vorrebbe annientare, per lasciare il via libera alle multinazionali del malessere, ai venditori di morte, agli sfruttatori delle povertà altrui, ai millantatori di verità. E’ anche attraverso la poesia che ci riappropriamo della nostra anima, della nostra libertà interiore, della nostra voglia di volare verso orizzonti più puliti, dove sia ancora possibile respirare la bellezza di un’identità perduta tra le illusioni di chi vorrebbe farci apparire un mondo che non esiste o che esiste spogliato della sua umanità. Se non partiamo da una condivisa piattaforma educativa, difficilmente riusciremo a raccordare la struggente bellezza della nostra storia, riabilitando il valore di tutto ciò che abbia salvato e ricostruito, ma senza la presunzione di esserne i padroni, bensì con l’attenzione e il garbo di chi non vuole che si perda per strada tutto ciò che di buono è stato fatto, riconsegnando all’Italia i suoi meriti e le sue convinzioni. Oggi si valorizza pochissimo, prevalgono antagonismo e arroganza, invidia ed egoismo, si opera più sulla base di interessi personali o di gruppo che non in nome di un grande paese mediterraneo ed europeo contemporaneamente. In un mondo in cui il dio denaro sembra essere diventato dominante nelle relazioni umane, gli uomini si attendono valori di ben altra natura, valori che hanno imparato a conoscere quando la ricchezza era pochissima e la povertà moltissima. Ma quanta riconoscenza, quanto amore, quanta meritocrazia c’era nella volontà umana, nella sua voglie di essere al servizio di tutti, perché tutti ne potessero attingere, quando nelle corti di campagna si respirava l’aria di un paese povero ma unito, capace di riannodare, di collaborare, di unire, anche quando i punti di vista erano diversi, ma l’obiettivo era uno solo: salvare il paese dalle prevaricazioni altrui. Quanto amore per la campagna, quanta attenzione e quanti sacrifici per una vendemmia o per una trebbiatura, quanta trepidazione per una raccolta, quante speranze e quanti racconti strappati a una semplice società protesa alla speranza. Quel paese è cresciuto, ha lasciato che la sua intelligenza si ampliasse e si realizzasse, ha concesso che lo sforzo fosse unanime, che la gente potesse sentirsi fiera per il contributo dato, salvo poi prendere atto che non sempre a un esagerato benessere corrisponda una cosciente acquisizione di fatti e risultati. I mali del benessere in molti casi sono peggiori di quelli che l’anno preceduto, sono mali morali, che riguardano l’intimo, che si fanno strada tra il cuore, la mente e l’anima, mettendo letteralmente a soqquadro un modo di essere e di pensare, un livello esistenziale, creando un mare di interrogativi ai quali non è sempre facile concedere una risposta. In questi anni di mancanza di valorizzazione, dove spesso la conquista è diventata un fatto del tutto personale o di gruppo, assistiamo a una concorrenza spietata, dove spesso a un amabile confronto si sostituisce una radicata volontà di sopraffare l’avversario e dove l’impegno comune rischia sempre di più di diventare strumento divisivo nella mani di persone che hanno perso di vista il senso e la finalità ultima del servizio. Dare spazio alla meritocrazia non significa mandare avanti i più bravi, significa sottolineare con gesto semplici e semplici parola la voglia di fare, quel senso del dovere che ogni tanto ha bisogno di sentirsi amato e protetto, perché non è sempre facile coltivare quando i terreni sono minati e i rischi si saltare in aria da un momento all’altro sono reali. Eppure la meritocrazia ha una sua valenza pedagogica ed educazionale, perché offre la certezza che quello che fai ha comunque un valore che, se portato avanti con intelligenza e determinazione, merita un incoraggiamento, una generosa pacca sulla spalla. Ci sono persone, grandi o piccole che siano, che grazie a un semplice riconoscimento, hanno dato la vita, l’hanno spesa interamente per ciò in cui credevano, anche nell’obbedienza, nella rinuncia, nella fede, nella fedeltà, nelle certezza di dimostrare quanto sia importante sapere che gli altri ti vogliono bene per quello che sei, per quello che fai e per quello che vali. Nella democrazia degli accesi antagonismi, dove i valori sono spesso personalizzati, vincolati a interessi di natura individuale, si fa sempre più fatica ricreare, ricostruire, ridare un senso a cose che sembravano acquisite da tempo. Ci si trova spesso spiazzati da comportamenti privati della loro fedeltà storica, della loro autenticità, messi in campo da chi inneggiando alla democrazia la tratta poi come una serva o una prostituta da usare in tutte le salse. La democrazia nasce da una volontà popolare e come tale ha il sacrosanto dovere di essere concreta nella sua generosa attuazione, non può essere una cosa per gli uni e un’altra per altri, le regole, quando sono regole scritte e comprovate, valgono per tutti, nessuno escluso. Dire che la democrazia è figlia di una universale volontà educativa significa attribuirle il grande valore che le spetta, quella di essere garantista, legittimista, ma anche decisionista, capace quindi di confermare o annullare, ma sempre in sintonia con il battito di quella volontà comune di cui è figlia. Oggi ne abbiamo un gran bisogno, ma perché ciò avvenga si rende necessario che a promuoverla e a conservarla ci siano persone molto preparate, con una grande visione storica, capaci di capire e intuire quali siano le domande e quali debbano essere le risposte. Non basta sbandierare regole scritte in epoche passate, bisogna di mostrare coi in fatti che il passato ha ancora un valore di tipo propulsivo e propositivo, sia ancora in grado di conservare, proteggere e innovare, senza la paura di sentirsi tradito. Cambiano le società, il tempo corre via veloce, l’intelligenza creativa coltiva i suoi simboli e le sue passioni, resta comunque tutta quella stupenda parte interiore dell’umanità che ha bisogno di sentirsi alimentata, oltre i sogni e le illusioni di chi vorrebbe, in nome di un non ben definito potere, cancellare ogni forma di libertà. Che cosa ha l’Italia di così importante da valorizzare? Tantissimo, ma soprattutto ha una storia millenaria che si lega alla sua bellezza, alle cose che ha saputo creare, alla sua genialità e a tutto quello che ha insegnato, alla sua intelligenza, all’amore per l’arte in tutte le sue componenti e sfumature, alla sua capacità di valorizzate un territorio baciato da una particolarissima generosità creativa. C’è solo un piccolo problema che chiede giustizia e cioè quello di cominciare a ragionare da nazione, da popolo, da civiltà, convinta che i valori, quando sono così grandi, meritano di essere valorizzati sempre, soprattutto quando i concorrenti si dichiarano formalmente riconoscenti, salvo poi prendere le distanze quando il paese ha un bisogno estremo di aiuto. In questi momenti di drammatica lotta contro il Covid 19 quel mondo che doveva essere solidale nella sua totalità si comporta con diffidenza, come se l’Italia non fosse parte fondamentale di quell’Europa che, senza il nostro paese, sarebbe ostaggio di un freddo struggente in quasi tutte le stagioni dell’anno, senza la possibilità di vivere almeno una volta nella vita la bontà del cibo italiano, la generosa bellezza dei suoi mari e delle sue colline, l’ospitalità della sua gente, una gente che deve spesso lottare contro l’ingratitudine e contro la noncuranza di chi non ha sufficientemente a cuore l’ospitalità del paese. Per tutte queste ragioni e per mille altre il nostro paese deve essere valorizzato, fatto uscire con somma attenzione da una condizione di prigionia procrastinata nel tempo, che crea un oceano di frustrazioni e di privazioni.
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