Secondo alcuni guardare al passato significa perdere di vista il presente, interrompere una prospettiva, lasciarsi condizionare da una storia che non sempre è stata ed è maestra di vita. Eppure gli antichi ne erano convinti, affermavano il valore nutrizionale della storia, soprattutto quella dei padri, degli avi, di coloro che l’avevano creata nel bene e nel male, gettando le basi di una possibile evoluzione di natura sociale, politica, economica, morale, religiosa. L’importante come diceva qualcuno era conoscere, ma senza provare nostalgie, conoscere per capire che il tempo è fondamentale e che non ammette dilazioni né da una parte né dall’altra. Il tempo può essere amico o nemico, impone conoscenza e studio, capacità realizzativa e organizzativa, costringe a diventare grandi in fretta per non sprecarlo, per dare significati umanamente interessanti all’ esistenza. Dare un significato, ma quale? E come? Ne vale la pena? Di solito i giovani, quando sono molto giovani, non hanno l’abilità di riassumere e rielaborare spinte, talenti, risorse, vocazioni, hanno bisogno di crescere, di prendere coscienza, anche grazie all’aiuto di chi è preposto all’insegnamento, di chi entra in relazione con loro per intraprendere il viaggio della vita. Nella maggior parte dei casi famiglia e scuola dovrebbero presiedere il periodo della preparazione, quello che aiuta a condurre fuori quel patrimonio dinamico che giace latente nella natura umana in attesa di prendere il volo, di diventare adulto e compiere le sue scelte. La famiglia in particolare detiene un patrimonio genetico, umano, morale, sociale, politico, che è passato al vaglio di condizionamenti, cambiamenti, rivoluzioni, subendo spesso le alterne vicende della storia personale e di quella collettiva in cui realizza le proprie istanze. Nella famiglia tradizionale la retrospettiva era di casa e molto spesso i giovani agivano e sceglievano sulla base di valori consolidati nel tempo. I figli dei contadini facevano i contadini, i figli del medico facevano il medico, i figli dell’avvocato facevano l’avvocato e così via, si cercava soprattutto di continuare, mantenere, consolidare, ampliare, solidificare, eventualmente modernizzare un patrimonio già presente, avviato, messo in campo da chi possedeva le condizioni per poter emergere, dimostrando quanto il passato potesse generare ricchezza se ben usato e indirizzato. Nel nostro passato ci sono state generazioni che si sono affermate in virtù di una dinastia, è stato sufficiente rimanere dentro la carreggiata e percorrerla evitando di sbandare, di andare fuori strada. E’ in questa condizione che è nata e cresciuta una generazione che ha governato le società, gli stati, le associazioni e le istituzioni per molti anni. E’ anche in questa condizione di sudditanza che le classi meno abbienti hanno imparato la lezione, studiando e meditando sulle fortune e le sfortune, provando sulla propria pelle l’impossibilità di poter arrivare ad occupare posti di prestigio. Sembrava che le carriere fossero già state predefinite non si sa in quale stanza dell’olimpo, ti guardavi attorno e capivi che neppure le retrospettive affettivamente più consolidate avrebbero potuto collimare con quelle nate e cresciute nel segno del potere. Potevi capire fin da subito che il figlio del farmacista o il figlio dell’avvocato e del medico stavano a cuore alla nomenclatura sociale, organizzata sulle consuetudini, le tradizioni, le amicizie, le parentele e quando ti capitava di essere dentro quella storia eri praticamente estromesso da cerchie, circoli, amicizie, piccole lobby, contro le quali a nulla valevano la buona educazione, la volontà affettiva, l’amore per la storia o anche solo la voglia di sentirti uguale a chi ti passava accanto noncurante di quale fosse anche solo il tuo stato d’animo. Classismo, divisionismo, lobbismo, il potere ha sempre esercitato la sua influenza, il suo vincolo ereditario, ha sempre confermato e rafforzato le divisioni, mai le uguaglianze. Chi pensava alla democrazia come all’eden sociale si sbagliava, era la forma di uno stato dove il figlio dell’operaio non poteva accedere alle vette societarie del sapere, salvo sacrifici immensi, non sempre ripagati in modo costituzionalmente degno. Siamo cresciuti in una società che ci ha abituato a vedere nell’altro un predestinato, un fortunato, uno che dalla vita ha avuto tutto in molti casi senza meritarselo. Siamo cresciuti senza la possibilità di far valere le nostre qualità migliori, mettendo in pratica gli insegnamenti materni e paterni che, nella maggior parte dei casi, sono stati ricchezza interiore, ma ostacoli alla realizzazione personale nella vita pubblica. Tra potere e ricchezza c’è sempre stato un filo diretto, un vincolo ancestrale, una sorta di reciproca simpatia, di atavica comprensione. I mondi si cono creati anche così, coltivando la diversità, rendendola sempre più profonda, facendo della scuola un luogo di culto dove i ricchi e i predestinati avevano aperte le vie del sapere universale, quello che avrebbe permesso loro di conquistare il mondo, mentre gli altri potevano solo immaginare, aspettando che il mondo si accorgesse di loro, conferisse anche ai non meritevoli il diritto di una qualsiasi identità, capace di toglierli dall’imbarazzo del nulla, dell’ignoranza, della normalità. Sono passati anni e le classi sociali si sono modificate, la ricchezza e il potere hanno cambiato d’abito, ma hanno continuato a creare divisioni e antagonismi, non si sono curati di sviluppare coesione, collaborazione, affrancamento, solidarietà. I nuovi poteri dettano ancora legge secondo le loro regole, pensando che il loro mondo sia il migliore dei mondi possibili e che ai più spetti il doloroso compito di eseguire e servire senza battere ciglio. Le retrospettive non hanno insegnato molto anzi, in molti casi hanno ampliato le distanze, amplificato le disuguaglianze, ci hanno fatto comprendere come il mondo sia diviso in due, da una parte chi lo governa e dall’altro chi è governato con l’illusione di esserne l’artefice. Ci sono addirittura dei casi in cui la democrazia, che pure dovrebbe essere l’alfiere di una società libera e molto ben organizzata, può diventare il regno dell’incongruenza e del disfattismo quando perde di vista l’autorità, il rispetto delle regole, la coerenza e diventa il regno dove il più forte detta legge negando anche i diritti più elementari alle persone. La democrazia dei poteri chiari e distinti, della potestà popolare, del senso di responsabilità e della coscienza civica si tramuta in alcuni casi nel regno di poteri che sovrintendono secondo il loro libero arbitrio alla volontà dei singoli. Può persino succedere che il popolo, da garante del potere, diventi succube e vittima dell’altrui giudizio e che, non riuscendo più a imporsi con i suoi diritti, venga asservito a varie forme di scelleratezza. Oggi siamo di fronte a un cambiamento epocale. Si parla di centralità dell’uomo, ma riesce molto difficile capire o immaginare che cosa sia la centralità: centrale rispetto a chi e a che cosa? E poi siamo sicuri che l’uomo di cui si parla sia lo stesso di quello che abbiamo conosciuto nel passato? Riesce molto difficile entrare nella sfera della nuova filosofia esistenziale. C’era un tempo infatti in cui per centralità si intendeva il profilo morale di una persona, la sua umanità, il suo essere centro e sostegno della realtà esistenziale, come se la natura umana avesse una sua dimensione divina, ponte sospeso tra la terra e il cielo, capace di essere ora materia e ora spirito, intelligenza capace di dimostrare quanto fosse importante la vita. Oggi siamo daccapo, alle prese con un ruolo, una collocazione, un’ immagine, una definizione, ritorniamo ogni volta sul tema della ricerca di un equilibrio, per cercare di rimettere in gioco quella parte di noi che vorremmo mantenere attiva sempre, anche oltre i vincoli costituzionali della vita, perché siamo consapevoli che le ristrettezze del materialismo non servono a dare un senso compiuto. Spesso dimentichiamo l’unica retrospettiva reale, quella che ci lega ai valori che abbiamo incontrato durante il nostro cammino. E’ nei valori che ritroviamo la nostra natura, quel dono prezioso che ci avvolge, che ci richiama, che ci induce a sorridere, che ci suggerisce ogni volta quale potrebbe essere la strada giusta per rimettere ordine nel nostro cuore. Sta a noi fare una scelta di campo, essere coerenti, rimettere il dono al donatore, l’onestà e la legalità al loro posto, lasciando che le regole e le leggi facciano il loro corso.