Ode ad uno dei tanti oggetti dimenticati che hanno fatto la nostra storia agricola e campestre:
LA RANZA
Sevi drè pensà al so zifulà
Zifulà sturno che in d’un boff lüsent
A ranza via tuscoos in un mument
Prima un batt la lama fregia
che la sa scalda duprada e vegia
pö cunt ur cudee ga fan la cara
e ur cudè in d’un cornu d’aqua sa sara
ur vent ma vüta a scandì ur temp e taas
e ur silenzi ma mett in paas
un mument pien de puesia
al taia giò l’erba de cà mia
e ur prüfüm de fen ‘n’ammò secaa
intant ca lauri m’ha cunquistaa
cunt brasc e pasiensa in ‘na giurnada
l’erba p’ai besti l’hu taiada
l’è ura de metala in d’un cuvun
e fala saltà par fala secà
ciapi la ranza, la meti in su i spall
e vo a cà cunt ur cudèe in ra cinta
anca incö hu finì de laurà
g’ho da meritam ‘na bela pinta .
Diana Ceriani
– La “ranza” nobilitata –
A Cerro viveva il Guido Barberet così chiamato perché svolgeva attività di parrucchiere. Faceva anche il calzolaio e, inoltre, quando non aveva proprio nulla da fare nè come parrucchiere nè come calzolaio, si prestava anche a lavori più umili, per lo più lavori agricoli. Possedeva però un’innata bizzarria. Per lui non c’erano le mezze misure: o lavorava come un negro dalla mattina alla sera o si concedeva momenti di vita alla grande, ma proprio alla grande. In questi momenti era capace di sperperare in cinque minuti il guadagno di una settimana, in un’ora il guadagno di un anno.
Accadde che un giorno ebbe a recarsi a Gemonio per falciare l’erba di un prato. Era una giornata calda e afosa ed il lavoro si rivelò particolarmente faticoso. Quando lo stesso fu ultimato il nostro Guido si sentiva stremato, distrutto dal caldo e dalla fatica. Ebbe un attimo di sconforto e improvvisamente scattò la sua fantasiosa e incontrollata bizzarria: decise di far ritorno a casa in taxi. Costi quel che costi. Tornare dal lavoro dei campi in taxi non era del tutto usuale, ma il Guido non era certo tipo da formalizzarsi. Mandò a chiamare il taxi più vicino ed appoggiato alla sua falce ne attese pazientemente l’arrivo. Attese dieci minuti e siccome il taxi non arrivava ne mandò a chiamare un altro ( I signori non amano aspettare). Ma, come accade sempre in questi casi, i taxi arrivarono insieme. Il Guido non si scompose e da autentico gentiluomo accolse entrambi cordialmente.
Staccò il “cudee du re zenta” e depose “ranza e cudee” sul primo taxi.
Poi, con altrettanta flemma, si sistemò i pantaloni, si accomodò sul sedile posteriore dell’altro taxi e serissimo ordinò “A Cerro”.
Le due auto, in fila, si diressero verso Cerro: su di una viaggiava la “ranza” e sull’altra il Guido. Quella con la “ranza” rigorosamente davanti.
Vedere un taxi salire la strada che conduce a Cerro era inusuale, ma vederne due era un fatto addirittura straordinario. La gente si interrogava e preoccupata si chiedeva “Se sarà sucés?”. Quando le auto giunsero a Cerro alcune donne accorsero stupite. Il Guido le salutò cordialmente, come era sua consuetudine. Discese dall’auto, si legò in vita “re zenta’, si avvicinò verso l’altra auto, ritirò la falce, saldò i conti e si avviò fischiettando verso casa.
“Ma Guido, ste saltà in ment” chiesero le donne.
“La ranza l’ha laurà e la g’ha diritto de naa in taxi cume mi! Anzi, davanti de mi!” rispose il Guido.
Caro Guido, il tuo gesto ha qualcosa di nobile. Hai voluto concedere alla “ranza“, a questo umile strumento di lavoro che tante volte ti ha accompagnato nella quotidiana fatica, un momento di gloria, un insolito, ma giusto riconoscimento al suo fondamentale contributo.
Il gesto, in sè, merita un plauso incondizionato.
(da Storielle d’altri tempi di Alberto Palazzi. Grafica Varese editore)
Video
Dal Web