Un sistema regge se chi lo governa ha la capacità di tenerlo in vita, di dargli speranza e sicurezza, capacità di credere nei propri talenti e nelle proprie risorse, di affrontare il mondo a viso aperto, con la consapevolezza di chi, culturalmente parlando, ha ben chiaro in testa quello che deve e che non deve fare. C’è poi una componente che potrebbe sembrare secondaria, ma che ha un ruolo fondamentale: l’entusiasmo. Se una società sa creare entusiasmo e lo sa alimentare in modo onesto e leale, crea le condizioni per una vita di relazione produttiva, vigorosa e attiva, capace di trasformare tutto quello che di negativo incontra sulla sua strada. Lavorare con entusiasmo potrebbe sembrare un’ utopia, in realtà è il massimo che si possa immaginare, perché l’entusiasmo genera un’ infinita sequenza di positività, soprattutto l’amore per le cose che si fanno. Non c’entra che siano grandi o piccole, c’entra soprattutto la voglia e la determinazione che ci si mette per volerle fare bene. Uno dei limiti del lavoro in Italia è sempre stato quello di non farlo amare, di non insegnarne gli effetti benefici sulla persona e sulla collettività. Al tempo dei padroni, quando la parola padrone godeva di un significato repellente e ignobile, sinonimo di autorità senza limiti e di disciplina incondizionata, l’entusiasmo non lo si trovava neppure con il lanternino, al suo posto c’erano la rabbia e la rassegnazione, il contrasto e la reazione e in molti casi lotte d’inaudita violenza. Un tipo di relazione errata da parte dei padroni generava situazioni di grave danno economico e morale nei salariati, che in molti casi lavoravano pensando a quale tipo di reazione fosse più necessaria per controbattere l’arroganza dei capi. Era difficile leggere sorrisi di entusiasmo sul viso di lavoratori che entravano in fabbrica al mattino e ne uscivano la sera, sfiniti. Per molto tempo la fabbrica è stata vista e vissuta come una sorta di lager, dove lo spirito della sopravvivenza sovrastava tutto il resto. Ecco dove ha mancato l’autorità, nella sua parte umana e umanistica, quella che guarda all’uomo come soggetto di tutta la vita di relazione e di produzione, all’uomo come marito, come padre di famiglia, come essere umano bisognoso di attenzione e di aiuto. In un certa visione capitalistica della storia si sono accentuate le differenze sociali, gl’intrighi e gli intrallazzi, lo sfruttamento e la repressione, tutto ha contribuito a generare visioni apocalittiche nel campo della convivenza umana e in alcuni casi lo scontro è diventato una vera e propria guerra senza fine. Il segreto del lavoro è nell’entusiasmo del lavoratore, nel suo sentirsi amato e apprezzato, aiutato e gratificato, soprattutto quando le condizioni non sono ideali. Dare tranquillità al lavoratore, dare importanza a quello che fa, farlo sentire al centro di un grande cambiamento morale e sociale diventa indispensabile per una società e uno stato che vogliono progredire, che hanno capito che è attraverso una puntuale e precisa attività di responsabilizzazione che la società crea il proprio benessere e quello della propria gente. Inserire i giovani nel mondo del lavoro è fondamentale, ma occorre entrare nel loro cuore e nella loro anima, occorre fare in modo che quel mondo del lavoro così atteso non è una gabbia che spegne ogni tipo di entusiasmo, ma il punto di partenza per un viaggio straordinario dentro il pianeta uomo, con la certezza di poterlo finalmente conoscere ed esplorare senza il pericolo di rimanerne esclusi.