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Una lapide per terra ricorda questa disgrazia, dietro, tre pietre del Dente del Gigante

 17 Giugno 2024 |  Pippo | |

E’ un diario di una preziosità immensa che ancora oggi, a 73 anni di istanza, trasuda umanità, dolore e Amicizia con la maiuscola. Leggendo queste pagine, a pelle, si vive una tragedia in diretta, che è rimasta scolpita nell’animo dell’autore per sempre. I protagonisti facevano parte del Cai di Gavirate, fondato nel 1946, attorno alla figura carismatica del medico Annibale De Molli. Il 15 agosto 1951 un gruppo di giovani al suo seguito iniziano quella che avrebbe dovuto essere una settimana di salite nel gruppo del Monte Bianco. Si comincia con la scalata del Dente del Gigante “che si staglia come una lama scura nel blu del cielo”, scrive l’autore del diario, il ventiquattrenne Antonio Giovenzana, rapito dalla bellezza della montagna. In fila indiana i giovani si inoltrano sul ghiacciaio e alla base del Dente del Gigante si formano due cordate. Una con il medico, Dina Clivio Boerchi, Paride Salvini, l’altra con lo stesso Giovenzana, Peppo Boerchi, marito di Dina, e Venanzio Filipponi. “La giornata, la roccia compatta, l’affiatamento e l’affetto che mi legano da anni agli amici sono tali che riuscirebbero comunque a trasformare qualsiasi salita anche la più insignificante, in qualcosa di speciale. Sono le 13,30 e siamo in vetta -scrive Giovenzana- Le foto scattate dal dottore e lo spettacolo stupefacente che si gode da lassù saranno per me un ricordo indelebile. Le 14: è ora di scendere. Parte il dottore con Dina e Paride. Li seguo poco dopo con Peppo e Venanzio, mentre aiuto Paride, l’ultimo della prima cordata, a calarsi per arrivare alla traversata su cenge. Non li avrei rivisti mai più!”. Poi “un grido soffocato! Il silenzio! Su uno spuntone di roccia raccolgo il berrettino di Dina che mi metto in tasca. In posizione molto precaria mi sporgo fuori per vedere la parete sottostante. In parete non c’è nessuno! Guardo in basso sul ghiacciaio della Gengiva. Cento metri sotto di me … i tre corpi giacciono là … “Mio Dio, perché?”. E’ difficile descrivere quegli attimi -prosegue- Non c’è solo dolore in me … è terrore … è smarrimento … Avvinghiato a uno spuntone di roccia non riesco a ragionare. Peppo, il marito di Dina, legato dietro a me, non sa nulla. L’istinto di conservazione mi fa dire agli altri che non sto bene. Mi assicuro con un moschettone a un chiodo già in parete e prendo tempo… mezz’ora? Un’ora? Invano faccio cenni disperati a Venanzio, ultimo della cordata perché capisca. Infine, sollecitato da Peppo, riprendo a scendere come un automa, senza nessuna precauzione. Nella parte terminale mi slego dagli altri, risalgo uno spuntone. I tre corpi giacciono a pochi metri di distanza. Non posso più tenere nascosto agli altri quello che è successo. Un urlo tremendo. Facciamo fatica a trattenere Peppo che vuole lanciarsi sotto. Infine, calandogli il passamontagna sugli occhi, gli facciamo attraversare il tratto dove giacciono i corpi. E’ ormai notte nella cameretta del rifugio e lascio che Peppo parli di Dina e ricordi l’infanzia, l’adolescenza trascorsi insieme, il lungo fidanzamento, i tre mesi di matrimonio. Ho voglia di urlare “Basta!” perché sento che anche per me, dopo tanta tensione, è arrivato il momento del dolore tremendo, lancinante, che sommerge tutto e ti lascia soltanto la domanda: “Perché?” Peppo stremato si assopisce e allora ecco la marea dei miei ricordi”. Di fronte all’ingresso principale del cimitero di Gavirate una lapide per terra ricorda questa disgrazia. Dietro, tre pietre del Dente del Gigante.

Federica Lucchini

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