Si è sempre parlato molto poco degl’insegnanti, del ruolo che svolgono all’interno della società. Si è sempre dato tutto per scontato, come se bastassero una vocazione o una sicurezza per implementare un ruolo, ma chi ha vissuto dentro questo contenitore sa quanto sia stato difficile far capire ai giovani e agli adulti l’importanza dell’insegnante e dell’insegnamento nella vita delle persone. Insegnare è prima di tutto vocazione, fuoco che brucia dentro e che vuole riscaldare, qualcosa che può uscire all’improvviso o che deve essere coltivato, qualcosa che si lega alla capacità esplorativa, qualcosa che entra nel cuore e nella mente dell’uomo per risvegliare altri cuori e altre menti, una sorta di volo parallelo in cui la forza dell’uno diventa la forza dell’altro e insieme si lavora per costruire l’identità. Insegnare è ricerca continua, ricerca in cui la cultura personale conta nella misura in cui viene riscaldata da un forte ed energico afflato umanitario. Sull’insegnante converge una forte componente missionaria, l’idea che si tratti di un lavoro in cui le forze s’incontrino per costruire qualcosa di importante che nasce da dentro, che alleni l’energia esplorativa e investigativa del maestro e del discepolo, partendo dal presupposto che non esistano verità rivelate e che l’educazione abbia sempre bisogno di essere scandagliata, visitata, valutata, sperimentata, vissuta, criticata, revisionata e, soprattutto, amata. Non esiste un primato metodologico, qualcosa che sia universalmente applicabile, esiste l’interesse per la natura umana e le sue disponibilità, una natura che diventa persuasiva, inclusiva, se animata dal sacro fuoco dell’ascolto. L’insegnante è missionario nella misura in cui crede in quello che fa. Non è un imbonitore e neppure un dittatore o un convertitore, ma un motivatore, uno che avendo dentro di sé una fortissima sensibilità diventa capace di unire ciò che si definisce scienza a ciò che profuma di umanità, la materia presuppone infatti un incontro, una partecipazione che coinvolge tutta la sfera umana. Non sempre si diventa insegnanti in risposta a una aprioristica vocazione, spesso succede che la vocazione sia presente, ma che abbia bisogno di mediazioni e di sollecitazioni per definirsi, per capire quale sia la strada più giusta per arrivare a toccare il cuore e la curiosità di chi si pone in ascolto. L’insegnante è un costruttore, un imprenditore, un po’ artigiano e un po’ artista, un po’ missionario e un po’ fantasista, è un professionista a cui spetta il compito di gettare le basi di un mondo cognitivo ampio e stimolante, in cui si confermino e si configurino le aspirazioni dei giovani, diventando spunto, termine di confronto, suggerimento, ma niente di assolutamente definitivo che non possa modificarsi o modificare. La forza dell’insegnante sta nella convinzione che ha dentro, ma contemporaneamente nella tendenza/disponibilità a investigare continuamente, senza ritenersi figlio di verità preconfezionate da altri. Anche le culture ideologicamente più avanzate sono estremamente limitanti, perché non ammettono che possa esistere qualcosa di personale e di professionalmente provato che sia meglio di quel mondo nel quale hanno riposto passivamente tutta la loro fede. La cultura non è atto di fede incondizionato, ma disposizione ad apprendere e a configurare, mettendosi in posizione di natura socratica, dove la ricerca è in movimento soggetto a trasformazione, verità da ricercarsi passando attraverso il dubbio, la ricerca sistematica, il confronto, la messa in discussione. L’insegnante non è stereotipia, ma evoluzione verso il bene. Non esiste una cultura statica, immobile, preconfezionata, ma cultura della trasformazione, per essere sempre qualcosa di nuovo, capace di intercettare le nuove aspirazioni e le nuove domande. L’insegnante è il profeta di una realtà che ha bisogno di appoggiarsi su valori sicuri. Una società avanzata dovrebbe riconoscere molto spazio ai propri insegnanti, valorizzarli là dove c’è un immenso bisogno di educazione e di formazione, dove l’umanità soffoca sotto il peso del consumismo. L’apertura sociale non è tale da permettere a chi insegna di produrre una qualità forte del proprio lavoro. In molti casi l’insegnante deve lottare contro tutto e contro tutti perché viene lasciato solo o in balìa di ideologie che non gli riconoscono il ruolo sociale e morale. In molti casi l’insegnante si sente solo, avverte il peso di responsabilità che non trovano corrispondenze, deve combattere su più fronti, in condizioni di assoluta inferiorità. Il suo lavoro ha spesso un valore riempitivo, non propositivo. La cultura dell’educazione resta spesso confinata in un limbo in cui viene depredata della sua capacità di creare, stimolare, valorizzare. La società lo chiama in causa spesso, si rivolge a lui e alle famiglie per raddrizzare una situazione educativa che sfugge di mano, lo vuole al centro di una rivisitazione in chiave educativa della realtà sociale, ma non sa che le sue risorse sono limitate, a volte al limite dell’impotenza. Dunque una riforma va fatta, la vogliono tutti, perché tutti si sono resi conto che la scuola prepara il presente e il futuro e che una società priva di educazione e formazione è destinata al fallimento. Forse vale la pena dare al docente l’importanza umana, mediatica, morale, materiale e sociale che merita, fornendolo di tutta l’attrezzatura necessaria per essere, con energia e coraggio, accanto a quella popolazione che cresce in fretta e che ha un estremo bisogno di capire quale sia la strada giusta per rimettere al centro la vita in tutta la sua straordinaria bellezza.