Quel percepire le vibrazioni più sottili dell’animo umano, frutto di una spiritualità coltivata per anni, ormai parte di lui, fa sì che per Carlo Sandrin, triestino, postino a Gavirate, il consegnare le lettere diventi un gesto di apertura verso l’altro. Un incontro che si somma ai molteplici che lui ha anche cercato per questo suo desiderio, mai pago, di stabilire una terra comune con i propri simili, anche con un semplice saluto all’insegna della gentilezza. E mentre lavora, spesso cantando, gli sgorgano ispirazioni che spesso sono come un fiume carsico. Partono da lontano, sedimentano per mesi. “Sono come una perla dentro nell’ostrica”, spiega, poi emergono in quei momenti felici che sanno di dono. Carlo vive il suo lavoro come opportunità di creazione per quella seconda parte di sé che lo vede cantautore. Un portalettere-artista, dunque, che ha creato un gruppo musicale nel 1997, “La hierbamala”: gruppo che continua la sua attività “come un paria afferma- Riesce a sopravvivere senza né speranza, né paura, senza confrontarsi con i successi degli altri”. Percorre una strada tutta sua con la filosofia di vita che ha assimilato dal maestro indiano Osho, attento a cogliere i dettagli che celano i veri sentimenti: quelli che fanno sì che si veda una lacrima in fondo al sorriso e il sorriso in fondo al pianto, diceva Berthold Brecht. Carlo, o meglio, Premdhyan, che in sanscrito significa meditazione d’amore, seguendo gli insegnamenti della sua guida, ha vissuto in comunità, “non tra turisti -specifica- ma tra persone provenienti da ogni dove e di ogni professione -tagiki, nepalesi, brasiliani- che vivevano consapevolmente, sapendo di essere nel mondo, ma non del mondo. E la musica è stata il fertilizzante di questi incontri. Prima di approdare a Poste Italiane, Carlo ha vissuto tante esperienze: affrontare turni di notte in un reparto di geriatria, lavorare nel primo network italiano via satellite, come responsabile pubblicitario e divenire decoratore. E’ orgoglioso di aver fatto parte della squadra che ha lavorato al Borducan con la guida del maestro Roberto Bellotti. “Persone incredibili”, aggiunge. Nel suo bagaglio di vita non manca Trieste da dove è partito e dove ritornerà, permeato da quel melting pot, quel crogiuolo di etnie che la caratterizza in ogni suo aspetto e che è insito in lui e che fa sì che “si metta nelle scarpe dell’altro. Se non si perdono le radici, si condividono i fiori”, sottolinea. E con questo spirito ricco vive il suo lavoro. Anche cantando. E gli capitano esperienze particolari come mettersi a cantare un’aria del Don Giovanni di Mozart, mentre distribuisce la posta senza sapere di essere ascoltato da un soprano. A una persona come lui, non potevano sfuggire quelle cassette delle lettere dove nidificano le cinciallegre in primavera. I proprietari si sono subito premurati di non disturbarle chiedendo di non inserire la posta, ma di lasciarla accanto. Lui ne ha censite dodici di cui una scritta in cinque lingue. Le ha fotografate, inviate alle Lipu, e dopo pochi giorni i proprietari hanno ricevuto un encomio dall’associazione. La scrittura in musica per lui è influenzata anche dall’ascolto degli audiolibri; ha tanti sapori ed equivale a una liberazione per i messaggi che comunica. “Ai nostri concerti -spiega- la felicità condivisa si moltiplica in modo esponenziale. Il pubblico conosce le nostre canzoni e canta con noi”. Il suo nuovo album “Omnia sunt communia”, dal motto di un movimento eretico che metteva le ricchezze in comune, sarà cantato da lui, da Daniela ed Elisa, suonato dal chitarrista Marco, dal tastierista John, dal percussionista Tambo, dal basso Fabio e dal batterista Federico.
Federica Lucchini