C’è un angolo a Caravate lungo il fiume Viganella di una particolare bellezza. Il proprietario lo custodisce con quella passione che si riserva ai luoghi dell’anima che conservano il Dna della famiglia. E’ l’antico mulino detto dei Frati, le cui origini parrebbero risalire al XIV secolo. Dai dati censuari del catasto teresiano, risalente al 1722, si comprende il perché del suo nome: apparteneva ai Padri Centurioni dei santi Cosma e Damiano di Turbigo. Rappresenta una testimonianza storica importante dell’attività molitoria di cereali, di frangitura delle noci e di segheria per le comunità del territorio. A tenerlo come una reliquia, c’è Mario Riva, 74 anni, discendente della famiglia che lo ha acquistato nel 1908. Ricorda di essersi sentito imbarazzato quando chiamato per la leva militare, nella casella indicante la professione, scrisse “mugnaio”: “Si era negli anni del boom economico e la mia attività sembrava superata. Ma ha sfamato tanta gente!”, aggiunge. Con commozione narra un’esperienza vissuta recentemente nell’ambulatorio di un medico. “Una coppia anziana che non conoscevo mi fissava sorridendo. Subito dopo mi disse il motivo: “Dobbiamo ringraziare la sua famiglia: in tempo di guerra ha permesso di poterci nutrire”. Ricordi lontani, ma vivi che si collegano ai racconti del padre Giovanni, classe 1912, e del nonno Ernesto: “Avere un mulino significava frequenti ispezioni. Tutto era razionato e non si poteva macinare liberamente. Ma la gente aveva fame. Così dalla mia famiglia venne individuato uno stratagemma efficace: quando giungeva voce che sarebbero arrivate le guardie, a una ringhiera veniva appeso un panno colorato, altrimenti sarebbe stato bianco. In questo modo i contadini arrivavano con la sicurezza di avere la farina. Oh, certo, una volta l’ispezione fece passare un momento di paura ai miei: le guardie al tatto sentirono le ruote ancora calde. Indice questo che si era appena macinato, all’infuori del tempo stabilito. Il nonno e il papà furono pronti a raccontare che i loro gatti erano soliti dormirci sopra”. Mario qui è nato, qui è cresciuto e ricorda bene il momento in cui il padre iniziò ad insegnargli l’attività: “L’avevo nel sangue e l’imparare fu immediato. Mentre lui girava nei paesi per portare a casa le pannocchie del granoturco e riportarle trasformate in farina, su un carro trainato da un cavallo, talmente avvezzo a questi giri che da solo sapeva dove fermarsi, io, ancora ragazzino, giravo con una giardinetta in legno per le consegne. Ero felice, consapevole che quella sarebbe stata la mia strada, non esente da fatiche. Mio papà, bravo falegname, aveva costruito un elevatore su cui posare i sacchi pesanti che venivano scaricati nella tramoggia, dove il macinato entra nel buratto che separa le varie componenti del granoturco: la crusca (involucro del mais), la farina di mais per la polenta e il fioretto utilizzato per dolci e pane. Il mulino conserva tutte le parti originali in legno, perfettamente funzionanti: quando si entra, mentre si sente il classico odore di macinato, si ha la sensazione di entrare in un tempio del lavoro. Fanno bella mostra di sé le due macine del bianco, come le definisce Mario, costituite da un pezzo unico di una pietra francese tra le più quotate, per i cereali, la segale, l’orzo, il riso, le castagne, e la macina del giallo, formata da un agglomerato, per il granoturco. “Il vantaggio dei mulini a pietra è quello di non scaldare i cereali. Anni fa -ricorda- scavando per immettere le condutture idriche (utilizzare solo l’acqua del pozzo non era più a norma), proprio all’ingresso trovammo una piccola macina per l’olio di noci. Un pezzo unico dal diametro di un metro”. Mario ha soddisfazione quando arrivano i visitatori: l’orgoglio, però, è misto all’ansia che succeda qualche inconveniente “perché non sono abile come mio padre nel risolvere ogni problema. Ricorda quei 15 ragazzi molto interessati, arrivati recentemente. Si era stupito nel vederli così attenti per scoprire che erano studenti di agraria. Il mulino ha costituito l’ambientazione per uno spot pubblicitario di una azienda multinazionale italiana del settore alimentare: il grande prato di fronte al mulino occupato dai carrelli del regista, 5 quintali di grano saraceno, proveniente dalla Valtellina, macinato per produrre un nuovo tipo di biscotti. Un’animazione che ha portato questo angolo di Caravate ad essere conosciuto a livello nazionale.
Federica Lucchini
Dal N. 31 della rivista Menta e Rosmarino
Il Mulino dei frati
Video di Claudio Perozzo
Il Mulino di Caravate – Affreschi di storia