– “Ora si tratta di vedere se alla dogana accettano quel documento che mi sono fatta fare in Comune. Me l’ha fatto proprio Calogero Marrone che ha pagato con la vita la sua disponibilità verso tanti ebrei. Il foglio lo abbiamo nascosto in una scatola di “Miranda” (una mistura per fare dolci) tra la parete di cartone e la fodera di carta”. E’ il 24 dicembre 1943 e Rosanna Russi, figlia ventunenne dell’ingegnere Ugo, ebreo, vice-direttore della “Società Varesina Imprese Elettriche”, sta attraversando il confine con la Svizzera dalla Valtellina dopo essere partita dalla Valle Colorina, assieme a quattro sorelle. Ce la faranno nel loro obiettivo di sfuggire ai nazi-fascisti: ricevono subito “del caffè (vero), caldo, graditissimo, che ci rimette un po’ in sesto”. Dall’archivio di Casa Russi sono emersi questi preziosi appunti del diario di Rosanna. La sua testimonianza, assieme a quella del fratello Renzo, e a quella di Laura Scazzocchio, permetterà a Franco Giannantoni, autore con Ibio Paolucci del libro “Un eroe dimenticato” (Edizioni Arterigere, novembre 2002), di produrre la documentazione necessaria perché Marrone, capo dell’Ufficio Anagrafe del Comune di Varese, fra il 1937 e i primi giorni del 1944, morto a Dachau nel febbraio del 1945, fosse riconosciuto “Giusto fra le Nazioni” per aver salvato molti ebrei e antifascisti, fornendo loro documenti in bianco da riempire con generalità ariane.
Soprattutto le prime pagine del diario, corredato da tante foto di famiglia e conservato dalla figlia Paola Lotti, danno la dimensione del “pathos” di quei giorni di terrore, in un Italia sotto il giogo nazista alla caccia dell’ebreo: “10 ottobre 1943: stiamo andando verso la stazione: il papà, io, Paola, Lucia e Franca. Papà si è lasciato convincere dal fratello Arrigo, giunto da Trieste dove è già in corso una dura repressione, che è meglio nascondersi, specie dopo i fatti di Meina”. In un albergo della cittadina sul Lago Maggiore nel mese di settembre, infatti, reparti delle SS avevano massacrato ebrei ospiti, scaraventandone i corpi, appesi a pietre nelle acque. Mentre la moglie dell’ing. Russi, Lina Stolfa, cattolica, si trova a Varese all’ospedale con la figlia Mariuccia, affetta da tifo, altre quattro figlie sono in un collegio di Lecco (“dove le ho accompagnate con un viaggio avventuroso”, annota Rosanna) e il figlio Renzo ha già raggiunto la Svizzera, il padre assiste alla morte per meningite di Paola, 22 anni. “La scena di papà in ginocchio straziato, che diceva: “E’ colpa mia, non dovevo partire”, non posso dimenticarla”, scrive la giovane. Il 24 dicembre Rosanna annota: “Sulla strada che da Grosio va verso il confine, circa alle 9 di sera, tre ragazze con pesanti sacchi sulle spalle vanno tranquillamente (in apparenza) guidate ad una certa distanza, da un contadino che ogni tanto fa strani segnali dietro le spalle. Si passa davanti alla caserma dei tedeschi. Non ho mai avuto tanta paura. Camminiamo in silenzio tutta la notte sui sentieri di montagna, senza parlare: dentro c’è una grande ansia, paura, dubbio, ma ormai siamo in ballo. Si giunge al confine, e giù per una discesa arriva un nugolo di contrabbandieri. Siamo in territorio svizzero”. Tutta la famiglia si salverà oltre confine per vie diverse, e in tempi diversi, ma grazie al documento firmato da Marrone.
Federica Lucchini