Sono tre donne che hanno raggiunto i cent’anni, forti di esperienze che per noi sono inimmaginabili, raccontando pagine di storia vissuta sulla loro pelle con grande coraggio. Sono “monumenti” della memoria, testimonianze vive che meritano di essere ascoltate. “Ero ancora sull’età della marmellata”: Emilia Tisato, -il compleanno festeggiato alla Fondazione Bernacchi, circondata dall’affetto- usa questa espressione, per noi non abituale, ma frequente in tempo di guerra, per dire che non aveva ancora diciott’anni quando visse tutte le paure che l’abitare in città comportava. Fino a diciott’anni era possibile con la tessera annonaria avere la marmellata. Molto poca, naturalmente. Emilia parla come se stesse vivendo il bombardamento di Milano nell’agosto 1943. “Ero in casa da sola con i tre bambini dell’ingegnere Antonio Salto. Mentre li stavo curando mi sono vista gli aerei dalla finestra: non era suonato l’allarme. E’ stata una cosa spaventosa! Mi sono trascinata al rifugio con i bambini, le borse già preparate per questa eventualità. Mi chiedo ancora oggi, come ho fatto ad arrivarci, per prima tra l’altro!”. Emilia sa coinvolgere l’ascoltatore con la sua mente vivace e la parlata sicura. “Guardi: questo è il periodico del mio paese, Valli del Pasubio – e o indica- Me lo inviano ancora. Pensi: io ricordo tutto, persino i sassi. E’ come se fossi là!”. Ha gli occhi luminosi, mentre racconta. Le mani della signora Emilia sono strumenti per produrre bellezza: quei ricami a cui si è dedicata in particolare nell’età della pensione sono gioielli di cui possono godere i familiari e gli amici.
Rina Albericci è una delle ultime “barsan”, quelle venditrici ambulanti provenienti dalla Lunigiana, e precisamente da Bagnone, che nella prima metà del secolo scorso, per sbarcare il lunario, lasciarono il paese natale e giravano in ogni dove, anche nelle nostre terre, per vendere biancheria intima, saponi, fili. Una cesta davanti, una dietro la schiena, macinavano km a piedi, entravano nelle corti, spesso la notte dormivano nei pagliai, in luoghi di fortuna. “La fatica era tanta. I piedi facevano male, ma non potevamo fermarci, altrimenti non si mangiava! La nostra terra era povera”, ricorda. Povera, ma molto amata. Non è passato anno della sua vita che non sia tornata in estate con la sua famiglia, il marito Giovanni Rossi, insegnante, e il figlio Luigi, ed è orgogliosa che nel suo paese sia stato creato un museo-archivio apposito per ricostruire la vita dei “barsan”. Nella sua casa di Gavirate c’è una foto che la ritrae, sedicenne, con la mamma. E’ un documento prezioso perché testimonia della presenza nei nostri paesi della “colonia” di lunigianesi, da mezzo secolo perfettamente integrata con la popolazione. Rina ha ricevuto la visita del sindaco, Massimo Parola, con la fascia tricolore, in occasione del compleanno.
Suor Maria Flora, al secolo Letizia Maria Pelanconi, valtellinese, nel convento di Bardello di Nostra Signora degli Apostoli, ha ricevuto anche lei la visita del vicesindaco Emilio Di Donato. Rappresenta l’emblema delle vite straordinarie, all’insegna del coraggio e della fede, che hanno vissuto queste religiose. Metà della sua esistenza, esattamente 49 anni, li ha trascorsi in Ciad e in Costa d’Avorio, in baracche, nelle zone dove non avevano mai visto un bianco, a curare le piaghe dei carcerati. “Ero molto preoccupata e piena di paura -ricorda- ma fu una esperienza straordinaria”, ricorda. Il suo motto è sempre stato “fare tutto per amore”, quell’amore di cui oggi si trova circondata.
Federica Lucchini