– La foto rappresenta il viso di un bel bambino, incorniciato da una folta chioma nera con occhi vivi e intelligenti. A lato è leggibile il nome: a Tognino Garavaglia, di 5 anni e due giorni. Attorno, in questo angolo del cimitero di Travedona, delimitato da un piccolo muro e da un cancelletto, ci sono le lapidi dei congiunti che denotano la passata importanza della famiglia, come si può notare dalle ricche epigrafi. Tutto qui è in abbandono. Eppure ci sarebbe una ragione, perché così non fosse: lo si capisce toccando con le dita l’epigrafe di Tognino, illeggibile agli occhi, ma incisa nel sasso. Con il tatto è possibile capire il nome dell’autore della scritta datata 5 giugno 1869: A. Manzoni. Sì, non è un errore è proprio lui, il grande scrittore. Ora la domanda sorge spontanea: come mai per Tognino un’epigrafe con una così celebre firma? Il mistero è presto svelato, quando, leggendo un numero del “Panistango”, il periodico di Travedona che ebbe una larga diffusione negli anni ’60, viene spiegata la genealogia del piccolo pronipote dello scrittore, confermata da Natalia Ginzburg nel suo libro “La famiglia Manzoni” (editore Einaudi). La nonna di Tognino era Cristina Manzoni, la terzogenita di Alessandro e di Enrichetta Blondel nata nel 1815. Morì giovane nel 1841. L’anno prima era diventata mamma di Enrichetta la quale crebbe “in casa di certi parenti del padre, i Garavaglia, che alla morte della madre l’aveva accolta”, scrive la Ginzburg. Il nonno Alessandro le era molto legato. Cresciuta in casa Garavaglia “aveva sposato un parente loro. Le era morto un bambino di cinque anni, Tognino nel 1869 – annota la scrittrice – e Manzoni aveva fatto per lui un’epigrafe. Lei, dopo tanti anni, piangeva ancora la perdita di quel bambino, dotato di un’intelligenza rara e precoce, come diceva l’epigrafe”.
Il cerchio, dunque, si chiude e si arriva al cimitero di Travedona. Già, ma ora la scritta è illeggibile. A fatica, con il tatto si interpretano le lettere. Viene in aiuto, un numero del ’63 del “Panistango” che la riporta integralmente: “A Tognino Garavaglia/ di cinque anni e due giorni …/ o angelo già su questa terra/ il lutto dei tuoi genitori/ e dei congiunti che t’amavano tutti qual figlio/ non potrà essere compreso da chi non conobbe/ quali gioie e quali speranze/ i saggi precoci e singolari/ del tuo cuore e della tua mente/ tennero vive/ Ah! Per quanto breve tempo/ negli anni loro. 5 giugno 1869 A. Manzoni”. Accanto alla lapide del piccolo, c’è quella della madre Enrichetta, morta il 30 agosto 1926: “Enrichetta Garavaglia Baroggi/ la cui vita fu amore e dolore”.
E’ ben raro trovare in uno dei nostri cimiteri un’epigrafe così autorevole: perché non cercare di salvarla, valorizzandola, prima che il tempo e l’incuria compiano il loro lavoro?
Federica Lucchini