C’era una volta una fornace di laterizi, talmente apprezzata per la qualità del suo prodotto che si poteva permettere questa pubblicità: “T’è caduta caduta una tegola in testa? Ma non preoccuparti! E’ della Quaglia-Colombo!”, quasi il malcapitato avesse avuto un privilegio nel trovarsi il capo rotto con un simile laterizio. Ora questa fornace non c’è più. A testimonianza della sua esistenza sono rimasti la ciminiera, messa in sicurezza dopo recenti lavori di archeologia industriale, e un lago. Sì, un bel laghetto pescoso dal perimetro di circa 1 km, esteso 65mila mq., adiacente la palude Brabbia, che si è formato negli anni Sessanta, riempendo la cava di creta, di ottima qualità, che serviva per la costruzione di mattoni, pieni, forati, di colmi, di tavelloni e di comignoli. “Per questi ultimi -spiega l’attrice Betty Colombo, erede della famiglia proprietaria -c’era anche un operaio addetto”. Ha fascino ascoltarla, mentre racconta di questa realtà a lei famigliare, fondata dal nonno Pieto nel 1907, e legata alla formazione del laghetto, che avvenne quando le pompe non svuotarono più la cava di creta ed essa si riempì di acqua piovana. Così quello che durante l’attività della fornace era stato definito con un termine dialettale “il bocc” (il buco) divenne ed è il laghetto della fornace. Un luogo poco conosciuto, regno dei pescatori. Betty è la narratrice che conosciamo quando spiega che da ragazza vi faceva il bagno “e mi ricordo il senso di spavento, ma anche un po’ di raccapriccio, quando con i piedi si sfioravano le fronde degli alberi sommersi”. Riserva infatti tale sorpresa questo angolo circondato dal verde e separato tramite un fosso dalla palude Brabbia. Sì, perché ai lati della cava crescevano alberi, sommersi anche loro dall’acqua. “Alberi che, secondo me, hanno costituito un ottimo ricettacolo per i pesci nel deporvi le uova”, continua. Certo, immergersi nelle acque costituisce un grande pericolo. “Già è difficile rimanere in piedi vicino alle rive perché il fondo è scosceso e costituito da argilla bianca assai scivolosa”, aggiunge. Poi riprende con una immagine bellissima che richiama gli scatti del fotografo Mario Giacomelli celebre per aver scattato tra le tante foto passate alla storia quelle di preti con la tonaca che si stanno divertendo: “Quando il lago di Varese gelava, il laghetto lo precedeva (e lo procede) in forma migliore: diventava una formidabile pista di pattinaggio per adulti e ragazzi. Mi ricordo da bambina il parroco di Bernate, don Ambrogio, pattinatore eccezionale: con la tonaca nera al vento sembrava un corvo che volteggiava con una bravura che ancora non dimentico”. Quando parla della pesca si infervora: sa che la fauna ittica è ricca perché è emigrata spontaneamente dalla Brabbia. “E Brabia l’è ‘e mama di pèss”: ricorda il proverbio dialettale che tutti conoscono a Cazzago. Ma alcune specie sono state immesse, quindi c’è tanta varietà: lucci, scardole, tinche, gobbini, persici. “Lo conosce bene il pescatore Ernesto Giorgetti che anni fa lo aveva preso in affitto per dare luogo alla pesca sportiva”. E non è un laghetto dimenticato: sono tanti i pescatori che con la canna sono soliti frequentarlo. Peccato l’interruzione del sentiero che potrebbe permettere il periplo. Ma ciò non toglie nulla alla sua particolarità.
Federica Lucchini