STORICI DUALISMI 12
MICHEL PLATINI/EDSON ARANTES DO NASCIMIENTO DETTO PELE’
di felice magnani
Era il lontanissimo 1958 e la televisione in bianco e nero faceva la sua comparsa, portando nelle case degl’italiani che se la potevano permettere una grossa ventata di novità. Il mondo diventava più piccolo, si lasciava leggere e osservare senza opporre resistenza. Non era più necessario immaginare, pensare, fantasticare, potevi vedere da vicino la realtà e ascoltare la voce di chi la raccontava. Lo sport in quell’anno andava alla grande grazie al calcio e ai suoi beniamini. Sopra tutti, a livello internazionale, il grandissimo Brasile. Era il Brasile dei fuoriclasse, di giocatori che, osservati e raccolti dalle favelas, sapevano creare fantasmagoriche goliardie calcistiche, entusiasmando il popolo della “pelota”. Un calcio d’istinto, provato e riprovato tra radure polverose, piane ondulate e sterrate, vissuto con lo spirito di chi si sente incollato alla vibrante leggerezza di un pallone che induce a correre, saltare, dribblare, sognare, un gioco che non finisce mai di stupire, tanta è la sua capacità di toccare le corde misteriosamente belle della natura umana. In quella nazionale brasiliana non c’erano solo giocatori, ma vere e proprie stelle, capaci d’illuminare d’immenso una vita spesso povera e incompresa, fatta di stenti e privazioni, ma proprio per questo più capace di alimentare entusiasmi e passioni, rovesciando in positivo quella marea di delusioni e a di amarezze che una povertà incancrenita portava con sé. Non era necessario essere adulti e avere il dono della preveggenza per capire che quei giocatori avevano la straordinaria capacità di cambiare la faccia del mondo con una finta, un passaggio, un tiro, un palleggio, un colpo di testa, un assist, un dribbling, bastava osservarli per esserne stregati. Edson Arantes do Nascimiento, detto Pelé, un ragazzo di diciassette anni, faceva la sua comparsa nel calcio internazionale e lo faceva incantando il pubblico di tutto il mondo. Un calciatore uscito dalla bacchetta magica di un mago, capace di scombinare le attese, di incantare e di spargere fragranze di pura bellezza visiva. Vederlo giocare era come entrare in un mondo dominato da una particolarissima forma di danza acrobatica, dove un giovane e una palla distribuivano emozioni a cuori amanti della “pelota”. Niente violenza, cattiveria, niente frustrazioni, niente di tutto ciò che distrugge la forza e la bellezza di chi trova per strada la sua identità e la usa per aiutare il mondo a sorridere, a vivere un momento di autentica liberazione dalle povertà di una vita che non sempre dà tutto quello che promette. In quell’ormai lontanissimo 1958, mentre la nazionale svedese sembrava affondare la corazzata brasilera con due gol di vantaggio, un certo Pelé, punto di forza del Santos e molto conosciuto nel suo paese per la facilità della goleada, entra in campo. Nessuno sapeva esattamente cosa potesse succedere in quella nazionale formata da giocatori che rispondevano ai nomi già prestigiosi di Gilmar, Dialma Santos, Nilton Santos, Zito, Bellini, Orlando, Didì, Vavà, Zagalo, Garrincha, una squadra considerata siderale e imbattibile, frutto di una straordinaria combinazione di talenti raccolti un po’ ovunque tra il verde delle colline e le spiagge bianche e incantate di Rio, giovani saliti alla ribalta della storia quasi per un caso del destino. Pelé entra e segna due reti, due gol favolosi che lo impongono all’attenzione mediatica mondiale. L’osannata Svezia di Hamrin, Skoglund, Prest, John Hansen, la Svezia dei fuoriclasse del nord, che avrebbero invaso prestissimo il calcio italiano, si arrende all’intelligente fantasia brasilera di un negretto dotato di raffinatissimo senso estetico, di una ineguagliabile leggerezza inventiva e soprattutto capace di essere ovunque al momento giusto, diventando punto di partenza e di arrivo di un gruppo di veri e propri maestri della “pelota”. Pelé è il goleador che sa impostare, costruire, che anticipa e che è prontissimo a raccogliere e a vivere la sua fortuna. Sul terreno di gioco primeggia e incanta, soprattutto nell’area di rigore avversaria, dove diventa difficile prevederlo e prevenirlo. E’ un goleador con una classe sublime, elegante, leggera, potente, acuta, con quell’estro che diventa arte e che vola sopra ogni tipo di pianificazione o di programmazione. Lui e la “pelota” sono un corpo e un’anima sola, vivono una coesione perfetta che ha qualcosa di spiritualmente integro, qualcosa che nasce da uno spirito capace di trasformare la durezza del gioco in leggerezza acrobatica. Pochissimi giocatori hanno avuto l’onore di essere paragonati al grande Pelé, Maradona, Sivori, ma uno, forse, lo ha rappresentato quasi alla perfezione, Michel Platini. Il giocatore del Sant’Etienne e della nazionale francese, comprato per la Juventus dall’avvocato Giovanni Agnelli, dopo un inizio italiano in sordina, ha preso in mano le redini di una grande squadra, diventandone spirito e intelligenza, caparbietà ed eleganza, visione e missione, pragmatismo e fantasia. Platini è diventato il motore, l’artigiano, l’artista, il funambolo, il pragmatico che sapeva stare sopra il gioco, osservare e dirigere dall’alto le note di un sistema in cui tutto doveva girare alla perfezione. Platini, come Pelé, ha avuto il dono di essere regista e ispiratore, interprete e finitore. Aveva la puntualità del leader che vede sempre tutto, cui non sfugge niente di quello che accade dentro il terreno di gioco. Guida, conduttore, motivatore, dotato di una finissima intelligenza tattica sul campo, riusciva a esercitare una pressione continua con i suoi assist, le sue punizioni, i suoi rigori, i suoi colpi di testa, i suoi dribbling, ma soprattutto con la sua immensa capacità di saper impostare, seguire e rifinire il gioco, senza mai perderlo di vista, neppure per un attimo. Platini e Pelé due fuoriclasse a tutto campo e a tutto tondo, leggeri e potenti, fini ed eleganti, capaci di sorprendere, inventori e rassicuratori, sempre pronti a trovare la via giusta, capaci di liberare una fantasia di fronte alla quale non c’è spazio alcuno per il controllo, anche quello più mirato e studiato. Pelé e Platini, due uomini squadra, due punti di riferimento stabili, capaci di cambiare le sorti di una battaglia in frazioni di secondo, onnipresenti e adatti per risolvere ogni tipo di situazione. C’è chi afferma che erano bravissimi entrambi, due super con evidenti rassomiglianze e che avevano un rapporto unico con il pallone e con la squadra, di cui erano grandi ispiratori, interpreti e sostenitori, due fuoriclasse che hanno fatto grande il mondo del calcio, lasciando nel cuore dei tifosi una immensa nostalgia. Pelé e Platini sono stati inventori ed esecutori di un calcio in cui si parlava soprattutto di calcio, lasciando poco spazio alle tattiche e alle pretattiche e dove spesso la vittoria diventava il frutto di una magica invenzione che te lo faceva amare, rendendo più dolce la vita anche fuori dal tifo scontato vissuto dentro lo stadio. E’ con la raffinata eleganza di questi fuoriclasse del calcio mondiale che lo sport è stato in alcuni momenti il vero motore di una rinascita sociale, riempiendo i vuoti affettivi delle persone, orientandone la voglia innata di ritrovare gioia, passione, entusiasmo, proprio come sapevano fare quei due campioni quando animavano con la loro fantasia i palcoscenici calcistici di tutto il mondo.