“Sono maledetto! Sono maledetto! Sono maledetto!”. Un bimbo, di fronte la casa famiglia “Cènacle” (Cenacolo) di Kinshasa in Congo, quel giorno ripeteva ossessivamente questa esclamazione, autoaccusandosi di una colpa che assolutamente non aveva: quella di essere disabile. Una mano si è tesa verso di lui ed è cominciato a fiorire quel sentimento che per lui aveva dell’incredibile: l’essere considerato e accolto come essere umano con quella tenerezza che solo un padre, anche se non biologico, sa infondere. Lui, che era stato scacciato dalla famiglia come portatore di forze malefiche, e trovava solo posto da dormire in un pezzetto di terra nuda, offerto da una vicina, ora cominciava a risorgere grazie a quegli occhi che gli trasmettevano sentimenti finora lontani anni luce da lui. Non è assolutamente retorico scrivere che l’incontro con don Maurizio Canclini, sacerdote besozzese “Fidei Donum” della Diocesi di Milano a Kinshasa tocca le corde più profonde. Lo si ascolta mentre racconta dei suoi viaggi in ambulanza tre volte la settimana nella periferia della città in mezzo al dramma dei bambini di strada lasciati a loro stessi, in mezzo a uomini con ferite terribili per la violenza dei combattimenti, alla prostituzione, all’accattonaggio. “Se ti racconto quello che ho visto, tu piangi!”, gli ha detto un uomo soccorso. Sembra di scivolare in un pozzo nero senza fondo. Don Maurizio ha gli occhi di chi è abituato a vedere l’inimmaginabile, ma ha la barra della fede. Guardano nell’intimo e sanno elevarsi, elevandoti. Lui che vive in un popolo di invisibili, di maledetti, al pari delle ferite assapora la bellezza autentica di quei meravigliosi giovani che operano con lui, universitari medici, che hanno avuto il privilegio di studiare e si sentono responsabili nel restituire il dono ricevuto. “Giovani che si appassionano –sottolinea il sacerdote- e hanno aperto occhi e cuore con un senso del servizio che li porta a donare loro stessi, dialogando e assistendo. Mi arricchiscono ogni giorno. Sono splendidi. E’ la mia famiglia. Sappiamo che la nostro opera è una goccia in un oceano, ma che ci disseta e dona un sorriso”. Non sono solo le ferite del corpo che si curano, bensì quelle dell’anima. E allora quei 25 posti all’interno della casa di accoglienza per bambini disabili dove vive coi volontari diventano il paradiso che per chi ha vissuto l’inferno. “Non ho mai avuto chi mi ha sgridato”, ha detto a don Canclini un giorno un ragazzo. E diventano poco per volta capaci di gratitudine. Ci sono dei momenti unici, avulsi dalla realtà circostante, e davanti alle parole del sacerdote, ti sembra di essere lì sull’ambulanza, avuta in dono da una coppia monzese, in quella casa sostenuta dall’aiuto economico di tante associazioni, tra cui quelle besozzesi, e allora si comprende quanto significato abbia il sostegno. Dietro alla mano tesa di don Maurizio, 26 anni di vita in Africa, c’è una comunità che contribuisce ad accogliere. Dona un ultimo sorriso illuminante, prima di lasciarci: lo produce il ricordo di Luca Attanasio, l’ambasciatore ucciso nel 2017: “Era un grandissimo amico di tutti. E’ uscito con noi in ambulanza. Con Zakia, la moglie, la collaborazione è continua”. Mentre il sacerdote si allontana, viene da osservarlo ancora: incede sereno, come quando va incontro alla sua famiglia. E il pensiero dice: “Quello sì che è un uomo ricco!”.
Federica Lucchini