– Si svolgeranno oggi (19 settembre) alle ore 15 presso la chiesa del convento le esequie di Carlo Pedotti, figura molto conosciuta e apprezzata in paese e in valle per la fabbrica che ha diretto e per le sue attività sociali.
Parlava la luminosità dei suoi occhi quando raccontava della sua “Hisco”, la ditta che aveva visto crescere e alla quale aveva dedicato tutto l’entusiasmo e la passione di una vita. “La Benetton dell’intimo di allora, un’eccellenza come prodotto”, la definiva, mentre estraeva i documenti per far rivivere meglio questa stagione così feconda. Ed erano documenti che parlavano ed avevano l’impronta della creatività e della laboriosità di persone come lui che benediscono il lavoro e ne fanno motivo di realizzazione. Era una narrazione straordinaria la sua, simbolo della laboriosità della nostra terra, accompagnata dalle immagini e da oggetti curiosi come quei due modellini che raffiguravano due donne alle prese con un busto: una lo indossava mentre l’altra le tirava i lacci perché il suo giro vita diventasse di vespa. Due figure di un’efficacia sorprendente che avrebbero un posto d’onore in un museo della pubblicità. Il rapporto umano e il fascino del funzionamento delle macchine sono stati i cardini della sua esperienza lavorativa. C’era una bella frase che rappresenta il mondo attorno a cui è roteato: “Alla Hisco ho conosciuto cos’è la fiducia”, dei datori di lavoro e degli operai. Ricordava il nome di tutti i 196 che dirigeva con affetto, partecipando anche alle loro vicende personali. E poi c’era la parte tecnica che per lui aveva un grande fascino: quei nomi – tricot a motore, disfapezzi, incannatoi – a chi non sa di maglieria suonano strani; per lui erano come la matita per un disegnatore. Dopo la chiusura della fabbrica, fino al termine della sua attività, in un maglificio che aveva creato con la moglie, con un fatturato d’eccellenza, pensò ai suoi dipendenti: decise di lasciare per le norme rigide che avrebbero portato a scelte impegnative, ma dopo aver collocato i quattordici dipendenti in altre ditte. Con grande umiltà ricordava: “Abbiamo fatto una grande ditta ed io ho un debito morale con tutti”.
Federica Lucchini