Lunedì 22 Dicembre si è spento a Milano il maestro Agostino Zaliani.
Grande acquafortista, uno dei più grandi del nostro tempo, con le sue eleganti e delicate opere ha impreziosito la nostra rivista fin dal suo nascere
Spesso con noi, sempre affabile e gentile, lascia un grande vuoto in tutti coloro che l’hanno conosciuto.
La Redazione di Menta e Rosmarino desidera esprimergli i suo più vivo ringraziamento e ricordarlo riproponendo un articolo comparso sul numero …. della rivista.
Incontro con Agostino Zaliani
Agostino Zaliani è, per chi apprezza Menta e Rosmarino, una presenza che punteggia, con un sorriso, quasi ogni uscita. Di numero in numero è cresciuto in me il desiderio di conoscere colui che con tanta leggerezza rappresenta il paesaggio che fa da cornice alla nostra vita.
Quel sabato di maggio tuttavia, pensavo solamente a sopravvivere a un periodo per me particolarmente denso di impegni faticosi, quando all’una telefona il terribilissimo direttore: “Se vuoi conoscere Agostino Zaliani vieni da me dopo le due e mezza!”.
Sino a un istante prima agognavo solo un lungo sonno ristoratore, ma…come rinunciare? Eccomi dunque di corsa su per le belle strade, un pò in affanno (e in ritardo); ecco Alberto Palazzi ed ecco Agostino Zaliani accanto a lui, entrambi sorridenti.
Quel che segue racconta un’ora di conversazione. L’aspetto per me più evidente nelle sue opere è la levità, la gioia che le sue opere trasmettono. È possibile che ciò dipenda dal fatto che provo io stesso una grande gioia nel farle.
Certamente c’è la cura, la tecnica, tuttavia il sentimento che prevale in me è la felicità, una felicità che mi fa fermare improvvisamente l’auto per catturare uno scorcio appena intravisto e del quale subito, anche se è sera, anche se ho altri impegni, mi fermo a fare uno schizzo, per poi potere conservare quella immagine.
Come lavora?
Lavoro di getto: non procedo accostando particolare a particolare, in un lavoro di diligente giustapposizione. Lavoro sulla visione complessiva, cogliendo in un unico insieme il gioco delle luci e delle ombre così come sono apparse al mio sguardo.
Mi interessa cogliere la luce, perché sempre c’è in ogni paesaggio, la luce che vibra, in contrasto con l’ombra. Perciò le sue opere appaiono cosi luminose.
Come è arrivato all’acquaforte?
Ho sempre disegnato, dipinto e mi piaceva disegnare a china. I miei disegni erano molto apprezzati e richiesti; mi dispiaceva privarmene: certo, li fotografavo, eppure mi spiaceva non averli più. Ecco perché sono passato all’acquaforte: l’acquaforte mi permette di conservare la mia opera, pur vendendola.
L’acquaforte tuttavia a volte dà risultati molto scuri o molto contrastati, come riesce a ottenere quella luminosità che fa riconoscere subito una sua opera? Forse proprio perché sono un autodidatta ho elaborato una tecnica e una pratica che mi consentono di ottenere ciò che desidero.
Lavoro la sera, quando so che non sarò disturbato da niente e da nessuno: procedo per successive immersioni nei bagni di acido. È un lavoro che richiede una grande concentrazione perché solo così posso ottenere tutta la gradazione di toni che intercorre tra le zone più scure e le zone più chiare, evitando sempre in ogni caso che le superfici risultino piatte: la luce deve vibrare Altra caratteristica del suo lavoro è la profondità che riesce a dare: uno specchio d’acqua diviene vastissimo e uno scorcio del Lago di Varese acquista una vastità sorprendente.
Come dicevo sono autodidatta: ho studiato da geometra perché questo all’epoca sembrava ciò che era più in relazione con la mia vocazione. Anche in questo caso comunque non costruisco mai la prospettiva in modo tecnico perché la visione prospettica è in me estremamente naturale, nel senso che non vedo se non in questa prospettiva: non posso prescindere da questa visione.
La visione prospettica e i giochi di luce sono ciò che cerco sempre e per me un edificio squadrato, tendenzialmente piatto e compatto, è una sfida a trovare l’angolo visuale e la luce che lo rendano vivo e lieve, che gli diano slancio. A me sembra però che lei ami soprattutto i paesaggi d’acqua.
Il Ticino è il mio paesaggio natale. Amo in modo particolare la sorgente, l’acqua nel suo stato nascente, l’acqua come movimento, mossa dal gioco delle luci sulla superficie . Catturare i riflessi che danzano sulla superficie di uno specchio d’acqua o di un corso d’acqua, questa è una delle emozioni che inseguo. Ho molto caro anche il paesaggio del delta del Po: mi sono molto care le acqueforti che lì ho realizzato: cielo e acqua come fusi insieme, le barche dei pescatori come sospese in uno spazio dilatato dalla luce… tornerei volentierissimo nel delta del Po.
Molto particolare è anche il taglio delle sue acqueforti. L’inquadratura non deve mai dare l’impressione a chi guarda di essere fuori rispetto a ciò che sta osservando.
Il taglio delle mie opere consente a chi le guarda di sentirsi immerso nel paesaggio, di farne parte. È un modo per rendere partecipi della mia visione, una visione che tende verso l’alto, verso la luce: in ogni momento io cerco la luce e la indico come fonte di un’esperienza alta.
È per questo dunque che le sue opere generano un senso immediato di piacere?
I miei paesaggi sono paesaggi che vengono subito riconosciuti, anche se non sono più presenti nel nostro paesaggio quotidiano, a volte così radicalmente cambiato in così breve tempo. Eppure noi riconosciamo quei paesaggi e in essi ci riconosciamo. È una memoria che affiora oltre le generazioni, che mette in relazione le diverse generazioni: è un lascito importante che io sento profondamente.
A conclusione dell’incontro posso ammirare da vicino una grande opera di Agostino Zaliani e mi colpisce la forza espressiva dell’originale, e tutto ciò che ho appena ascoltato fa sì che io possa ancor meglio apprezzarla, come spero che sia per voi che mi leggete.