“Nella vita di un uomo ci sono sempre delle date indimenticabili. Il 25 novembre 1943 è per me una di quelle perché quel giorno sono stato costretto, per non servire la bandiera straniera, ad abbandonare la mia Patria, tradita e distrutta, e la mia casa”. Così inizia il diario di Sergio Brusa Pasqué, che diciannovenne, scappò in Svizzera colpito da mandato di fucilazione del tedeschi, insidiatisi a Varese a fine settembre, dopo l’Armistizio. Venerdì 25 gennaio al teatro Santuccio e sabato 27 alla ore 17,30 presso la biblioteca di Luvinate in occasione della giornata della Memoria, saranno presentati in anteprima stralci del libro “La scelta”, che verrà pubblicato in occasione della ricorrenza del 25 aprile. Sabato saranno presenti, oltre l’autrice del libro Elena Brusa Pasqué, figlia dell’autore del diario ritrovato, i nipoti, i loro amici varesini e luvinatesi, che per alcuni mesi nel 2017 si sono incontrati per scegliere i brani del lungo diario (800 pagine iniziali), e il giornalista Federico Bianchessi. Elena è orgogliosa delle sue radici, del nonno Alfredo, impresario edile, coraggioso esponente socialista del Comitato di Liberazione Nazionale, che assieme alla moglie Santina Broggi, fu in stretto contatto con Calogero Marrone, responsabile dell’Ufficio anagrafe del comune di Varese fino al 1° gennaio 1944, morto a Dachau, per avere dato la possibilità a ebrei e antifascisti, di salvarsi in Svizzera con documenti falsi. Il nonno ospitò in casa e nel suo studio di via Medaglie d’Oro molti ebrei e antifascisti, aiutato, oltre che dalla moglie, anche dalla figlia Elda e dal figlio. Elena è altrettanto orgogliosa del padre.
– Può spiegare la motivazione del titolo?
La scelta la fecero i miei famigliari, Marrone, don Franco Rimoldi, chiamato per la sua mole don Carnera, parroco dell’oratorio di Varese di via san Francesco e anima dell’Oscar (Organizzazione soccorsi cattolici antifascisti ricercati) a Varese e pochi altri in quegli anni di guerra, ma l’hanno fatta anche i miei figli, mia nipote, e i loro sette amici che hanno collaborato e che avranno il loro nome nel libro perché io passo alla futura generazione il testimone di questo bellissimo pezzo di Storia che deve essere ricordata.
– Come si presentava il diario originale di suo padre?
Piccolo (13 cm x 18), scritto in matita con una grafia volutamente illeggibile nel timore che, in caso di furto, non potesse compromettere nessuno. I nomi erano scritti solo con le iniziali. Accanto la loro data di nascita. Per ben quattro anni hanno lavorato le sue due segretarie Liliana Baroffio e Lorena Abbiati per interpretare la grafia e cinque lo storico Franco Giannantoni nel fare luce sui nomi, nel verificare i contenuti, indagando anche in Canton Ticino sulle attività clandestine di mio padre e mio nonno, non raccontate espressamente nel diario.
– Parli di queste attività.
Mio padre continuò a lavorare per mettere in comunicazione i partigiani della Valle d’Intelvi e quelli della Val d’Ossola e portare loro armi e soldi provenienti dagli americani che erano di base a Campione d’Italia. Per due anni fu un instancabile cronista di eventi riportati dalla libera stampa, da Radio Londra o da tutte le testimonianze di chi, sopravvissuto, riusciva a scappare dal carcere di san Vittore e da lager della Germania e miracolosamente arrivava in Svizzera. Per oltre 18 mesi divenne la “casella postale 1848” che portava la posta in bicicletta dall’Italia ai rifugiati e viceversa aiutato per la parte italiana da mia nonna Santina.
– Il messaggio, dunque, che lasceranno queste pagine.
Non bisogna voltarsi dall’altra parte. I giovani di oggi, italiani o migranti, sono il futuro e tutti fratelli come lo erano gli ebrei trattati come lebbrosi dopo la emanazione delle leggi razziali del 1938.
Federica Lucchini