L’errore è parte integrante della nostra vita e guai se non ci fosse, è il vero punto di partenza per una revisione in chiave riabilitativa della nostra storia. Il vero problema è, però, quello di renderci conto se sappiamo ritrovare le radici del nostro passato e se siamo ancora capaci di metterci in discussione, di ragionare sui nostri comportamenti per cercare di migliorarli, reintegrandoli con più forza, coraggio e determinazione. Di solito si tende a minimizzare, a scaricare le colpe, a non dare il giusto peso alle nostre inadeguatezze, pensando che quelle degli altri siano sempre le peggiori, quelle che realmente danneggiano la nostra immagine e la nostra tranquillità. Chiederci dove abbiamo sbagliato è fondamentale, ripropone la nostra natura umana con tutte le sue debolezze e le sue inadempienze, è il punto di partenza per un excursus storico sulla nostra condizione nella sua versione relazionale, quella che si consuma ogni giorno nelle interlocuzioni e nelle interazioni che stabiliamo con il mondo che ci ruota attorno. Capire l’errore è come scoprire l’isola del tesoro, perché proprio nelle sue pieghe incontriamo la parte migliore di noi stessi, quella che non si accontenta, che non vuole soccombere, che cerca disperatamente di uscire dai labirinti della marginalità, per affermare una decisa voglia di verità e di riscatto. Gli errori più comuni sono quelli che si legano in genere alla sottovalutazione o alla sopravvalutazione di persone o di eventi. E’ ormai prassi comune pensare che “io” capisca tutto e che gli “altri” non capiscano niente o quasi, che io possa fare quello che altri non riusciranno mai, viviamo una sorta di presunzione a catena, che porta inevitabilmente a una stagnazione, a un immobilismo che elude, emargina, dequalifica, giudica, impedendo alla natura umana di manifestarsi per quella che è, con tutte le sue ricchezze e i suoi bisogni. Uno degli errori che si possono commettere con una certa frequenza è quello di pensare che educare significhi fidarsi sempre, lasciar fare, non mettere paletti, lasciare che il seme si lasci manipolare dal ciclo stagionale, imparando a sue spese il valore del caldo e quello del freddo, il valore del bene e quello del male. Il rapporto educativo ha bisogno di conferme costanti, di momenti di verifica, di confronti e di valutazioni, non esiste solo un’evoluzione autoctona, ogni parte ha bisogno del suo tutto, ogni carattere ha bisogno del suo bacino di conferme e il cammino che conduce alla presa di coscienza ha bisogno di stimolazioni e di motivazioni continue e coerenti. Sbaglia chi crede di risolvere i problemi offrendo il meglio, mettendo a disposizione i simboli del piacere, spesso la strada maestra per riconoscersi e riconoscere è il sacrificio, quella fatica avvolta nel sacro che s’impone per risolvere ogni genere di problema. Oggi si parla pochissimo di spirito di sacrificio o se ne parla solo per riesumare antichi retaggi, legati a usi e consumi della civiltà contadina, in realtà lo abbiamo esautorato perché ci fa paura, fa davvero paura anche solo pensare che si possa sudare e far fatica per ottenere un risultato. I giovani preferiscono fare in fretta con il minimo sforzo, non amano i lunghi tragitti, un impegno troppo prolungato o una rinuncia eccessiva, in molti casi vogliono tutto e subito, ne è una riprova l’uso di sostanze proibite. Con la droga si tenta di uscire dalla condizione umana per entrare nel paradiso artificiale, salvo uccidere il proprio corpo, la propria anima e la propria mente e lasciando sul campo disperazioni e frustrazioni che riverberano in modo ossessivo sulla famiglia e sulla società. Spesso si sbaglia quando si pensa che l’uomo, da solo, possa governare la palude degli istinti o che non abbia bisogno di avere vicino qualcuno che gli trasmetta fiducia e che lo aiuti a conoscere più a fondo il valore della vita, le sue ricchezze e anche le sue difficoltà, ci si dimentica che alla base di tutto c’è sempre un racconto o un dialogo o un confronto o una confessione o una corretta trasmissione di attenzioni e di buone maniere. Si sbaglia quando non si aiuta la persona a conoscere più a fondo la propria origine, le potenzialità che possiede, la possibilità di affrontare con gioia le difficoltà della vita, scoprendo il tesoro di affetti e di positività che porta con sé. Gli esseri umani hanno bisogno di fiducia, di sicurezza, hanno bisogno di capire che il mondo, anche quello apparentemente più sicuro ha bisogno di loro, della loro purezza, della loro fantasia, dei loro slanci, della loro voglia di apprendere, di sapere che c’è chi si spende per loro, per il loro presente e per il loro futuro. Per troppo tempo gli adulti si sono dimenticati di stabilire connessioni, di abbandonare l’inutile per ciò che nella vita conta realmente. L’impressione è che si sia quasi completamente dimenticato il dialogo con il Cristo, ritenendolo erroneamente inutile, superato, mai infatti come in questo momento il messaggio evangelico torna a ricompattare i vuoti di un progresso che pensava di essere diventato dio. Mai come ora dare un senso alla vita diventa imperativo categorico, soluzione alle varie forme di alienazione e di utopia che il progresso informatico e tutte le tecnologie di questo mondo hanno distribuito e continuno a distribuire. Mai come in questi momenti di frustrazione e di esagerazione ci si rende conto di quanto sia importante ridare un senso alle cose e alle persone che contano, quelle di cui ci si può fidare, purché non dilatino erroneamente il confine della libertà a cui siamo stati educati. Tra gli errori più comuni si può certamente annoverare l’allontanamento progressivo dalla sfera degli affetti. Oggi si parla pochissimo di famiglia, di scuola, di religione, di sport, di associazioni, nella maggior parte dei casi ci si limita all’aspetto formale, quello che si dà per scontato, si tende a dribblare la storia, a sottovalutare la prosa e la poesia, si dà pochissima importanza alla musica, alla pittura, all’architettura, alla filosofia, alla bellezza in generale, manca una visione cosciente delle cose dentro le quali cresciamo e viviamo, ci si accontenta degli aspetti superficiali, quelli che non creano senso, che non sviluppano un’interessante attività investigativa, che non aiutano a formare una personalità forte, capace di fornire risposte esaurienti alle provocazioni che quotidianamente mettono in dubbia la nostra onestà. Uno degli errori più frequenti infatti è proprio quello di non dare il giusto peso alle cose che facciamo, in molti casi le facciamo e basta, senza soppesare, senza imparare a coltivare la ragionevolezza, le motivazioni profonde che danno un senso alla nostra vita. In questa opera di sano revisionismo siamo tutti coinvolti, tutti abbiamo il dovere di fare un esame di coscienza per capire se siamo davvero all’altezza della situazione o se invece ci accontentiamo di badare al nostro orticello, a quello che nonostante le bufere esterne continua a produrre lo stretto necessario. Sbagliare è sintomo di intelligenza, chi sbalglia e riconosce l’errore è meritevole di grande apprezzamento. Non è comunque facile individuare l’errore, perché quasi sempre sfugge, si nasconde, non vuole apparire e in certi casi si accanisce nei confronti di chi vorrebbe esorcizzarlo, ma va comunque perseguito. Non importa chi lo faccia rilevare, se siamo noi o qualcun altro, ciò che conta è imparare a mettersi in discussione, a non avere paura di affrontare il pensiero diverso, l’interpretazione dell’altro, quello che la gente pensa, è importante non lasciarsi influenzare negativamente, offrendo la propria onestà intellettuale in cambio di qualche riconoscimento o favore, ma essere sempre se stessi, avere sempre il coraggio di sostenere senza timore ciò in cui si crede, con l’accortezza di sapersi modificare, se le condizioni lo richiedono. Un tempo l’errore lo si pagava a caro prezzo, costringeva le persone a riflettere seriamente sui comportamenti sbagliati, oggi si trova sempre una scappatoia, si cerca sempre una via di fuga, alcune volte si tenta di far passare l’errore per verità, per varie forme di opportunismo o per ridurre al minimo l’esposizione. Una società diventa forte e matura se sa fare tesoro dei propri errori, se li sa domare, sviscerare, superare, superando i muri di quel falso perbenismo che vorrebbe sempre mantenere riserbo su tutto, per non far mai emergere la verità.