La Pasqua ha un sapore tutto speciale, è una sorta di liberazione dalle catene che frenano quell’aspirazione alla libertà che è costitutiva della natura umana. A differenza del Natale, diventata in molti casi la festa degli eccessi, la Pasqua elabora il mistero della morte, la trasformazione della vita in qualcosa di più umanamente e spiritualmente completo, è come se la natura umana si sentisse incoraggiata a guardarsi dentro, a entrare in quell’area del mistero divino che inquieta e affascina, che apre le porte di un orizzonte che viene spesso tenuto ai bordi di quel bellissimo dono che è la vita, forse per paura o per dimenticanza o per ignoranza. Natale e Pasqua stanno all’inizio e alla fine, sono le punte estreme di un arco, nel quale il tempo e lo spazio assimilano il governo della ragione e della fede, strumenti complementari di una grazia che ha origini lontane. Nascere, morire, risorgere, tre passaggi fondamentali della vita, interdipendenti, capaci di formare e di trasformare, di umanizzare e di elevare, di annientare e di ricostruire, di dare un volto più completo e un significato più vero e profondo alla vita stessa che, pur nella sua nobiltà filosofale, resta pur sempre un bene per sua natura finito, che ha bisogno di essere compreso, elaborato e vissuto soprattutto nella sua parte meno conosciuta, quella che spesso si appella alla teologia della parola per fornire anche solo un’idea della verità che le sta dietro. Con la Pasqua si completa il mistero umano e quello divino, cessa la paura di ciò che non si vede, non si tocca e non si conosce e comincia la parte più avvolgente, che s’incarna nell’immagine di un Dio pietoso e misericordioso, capace sempre di stupire con la sua paternità e maternità umana, capace persino di diventare uomo, di vivere e di morire per la salvezza di ciò che lui stesso ha creato. Sdoganare la paura della morte ha sempre sollecitato l’essere umano di ogni tempo. Risorgere è un richiamo solenne, una sollecitazione umana oltreché divina, la certezza che nulla è privo di sostanza e di identità, tutto risponde a leggi e regole precise, attraverso le quali diventa forse più facile comporre la forza e la bellezza di un’idea o di un ideale, di un modo di essere. Nella filosofia umana e divina della Pasqua è racchiuso il senso compiuto della vita, la sua capacità di finire e di ricominciare, la bellezza di un dono che sa essere anche con modalità diverse, che sa definire e completare ciò che per sua natura potrebbe sembrare finito, limitato, incapace di andare oltre la dura realtà di una materia che a tratti si rivela inflessibile, persino irriconoscente. Risorgere significa ritrovare la forza della speranza, quella che ci accompagna fin dalla nascita e che ci ha permesso di esplicitare tutta la nostra combattività umana, i nostri stupori, la nostra voglia di apprendere e di imparare, di vivere e di conservare, di liberare quella forza dell’amore che ci accompagna, anche quando il rischio di perderlo diventa parte della nostra esistenza. In questo ha giocato e continua a giocare un ruolo importante la fede, quella fede che abbiamo appreso da sacerdoti prima di tutto uomini, capaci di associare ai bisogni umani quelli trascendenti, di entrare nel cuore con l’entusiasmo di chi sa farti amare la vita soprattutto quando la vita stessa dimostra poca attenzione nei tuoi confronti. Risorgere rappresenta pur sempre una vittoria sul male, sulla sofferenza, sul disagio che cammina di pari passo con i nostri entusiasmi, è la risposta cristiana di chi, malgrado tutto, continua a credere che la morte corporale sia soltanto la parte di un tutto e che lo spirito abbia un ruolo fondamentale nella vita delle persone. Oggi si parla poco di vita spirituale, si tende spesso a relegare la vita cristiana in un approccio fisico con le cose, quasi che la vita spirituale avesse poco spazio nell’ordine telematico dell’investimento industriale, si tende a spettacolarizzare più ancora che accompagnare, in molti casi manca quella filosofia umana delle cose che, se ben costruita, può aprire le porte di un’armonia più viva, solida, capace di generare e di definire,di aprire l’animo al contatto con le cose divine. Aspettare la Pasqua è attendere che la parola del Redentore torni a farsi sentire nella scuola, nella famiglia, nello sport, nella vita quotidiana, nella cultura, nelle attese di chi aspetta con ansia di uscire dagli artigli di un virus subdolo e perforante, mai come in questi momenti il cristiano ha sentito e sente il bisogno fisico e mentale di cristianesimo, di voci ferme e sicure, di cuori aperti, di sorgenti di acqua fresca a cui dissetare ricchezze per troppo tempo abbandonate al proprio destino. Dunque una Pasqua molto attesa, che non sia semplicemente la festa dell’agnello, ma il punto di partenza per una ricostruzione alla quale tutti diano il proprio contributo. Una Pasqua in cui il bene fatto e quello ricevuto siano una via di rianimazione costante, un motivo vero di redenzione individuale e sociale, che apra finalmente la via a una pacificazione di aspirazioni e di volontà, una Pasqua in cui il cristianesimo torni a vivere nelle vie, nelle strade, nelle case, in chiesa, negli oratori e in tutti quei luoghi in cui la natura umana cerca di organizzare la propria sopravvivenza, una Pasqua in cui chi ha responsabilità le sappia gestire e mettere in pratica senza paura, con la certezza di rendere un servizio positivo alla società degli esseri umani, bisognosi sempre di essere sostenuti e aiutati a non perdere quella bussola che segna la bellezza di un percorso individuale e collettivo. Ritrovare il Cristo vivo e come sempre attivo è fondamentale, la sua presenza ci aiuta a ritrovare un equilibrio ed un’ armonia, a interpretare il senso delle cose terrene con una forza in più, soprattutto quando la presunzione umana categorizza la realtà, mettendo davanti a tutto forme assolute di materialismo.