Il mondo è dominato dalle narrazioni. Ogni attimo una narrazione s’irradia e penetra nel cuore della gente, il più delle volte impreparata a coglierne l’irruenza, l’ambiguità, la complessità, il più delle volte bisognosa di sentirsi capita, coinvolta, rispettata, amata. La televisione ha un compito pubblico importantissimo, è un’educatrice che spesso dimentica il proprio ruolo e si tuffa nella sublimazione dell’io, dove la naturalezza si dissolve e dove la comprensione viene delegata a una consumazione immediata. In questi anni, mesi e momenti di deflagrazione finanziaria e di profondissime frustrazioni, diventa quasi impossibile ascoltare, riflettere, sorridere, assentire o criticare, il più delle volte l’utente resta coinvolto in piccole guerre e diatribe che snaturano il vero volto del sapere e della conoscenza. Dunque rinasce un bisogno profondo di poesia, di poesia cantata, suonata, raccontata, di poesia che riscopra le necessità vere, quelle che predispongono, che preparano, che alimentano senza scalfire, disorientare, disattivare. Richiamare la poesia significa sottolineare il senso di una libertà in cui l’essere umano si riconosce, si dilata, si rigenera, unisce al raziocinio corrente l’idea che l’umanità abbia un respiro più grande, più bello, più sicuro, meno soggetto alle intemperanze e alle costrizioni. Ritrovare il senso della libertà significa confermarne la forza, la genuinità e la bellezza, capirne bene fino in fondo il sapore, la finalità, togliendo gl’imbrogli e le negatività che impediscono di vedere chiaro, di rispondere senza bavagli alle quotidiane necessità della gente comune, quella che vuole continuare a sperare che il mondo non sia poi così sprovvisto di realistica umanità.