A quasi novantasette anni il dottor Milos Kogoj rilegge e promuove la bellezza e la modernità di un romanzo storico che va saputo amare e insegnare alle nuove generazioni.
In un mondo di urlatori e di propagandisti, di vuoti che non si riescono a riempire, c’è chi torna di nuovo nel cuore profondo della cultura italiana, quella che non si ferma di fronte alle dispersioni, alle aggressioni, quella che non vuole assolutamente rinunciare ad affermare quei valori che ha ampiamente cercato di far conoscere in momenti difficili, quando l’affermazione della verità poteva costare anche il sacrificio della vita. E’ nel tormento di una fede messa a dura prova dallo tzunami dissolutivo della globalizzazione che la parte nobile della vita si ribella e riprende in mano la propria storia, convinta che ci sia ben altro da capire e imparare e che la verità, quella che si lega alla formazione del bene comune, meriti ben altra attenzione. E’ nel marasma di una vita quotidiana spesso privata della sua naturale aspirazione alla libertà quella vera, quella che non dipende dalle variabili arbitrarie della natura umana, ma da una coscienziosa presa d’atto dei beni da osservare, difendere e tutelare, che Alessandro Manzoni rilancia il suo spazio, la sua presa di coscienza, la sua immensa capacità di riflettere e capire il senso più vero e profondo dello spirito che anima la nostra esistenza e del suo innegabile rapporto con quella Provvidenza che sfugge quotidianamente ogni forma di egoismo, per affermare che oltre la visione terrena ne esiste un’altra di cui diventa spesso difficile configurarne l’immagine, ma che di fatto rialza ogni volta la bellezza della vita e delle sue più belle e nobili connessioni. Si tratta di un don Lisander diverso, che non ama la retorica di parte, che non si lascia incastrare da troppo scolastiche convenzioni e tradizioni, ma che apre le porte di una comunicazione nuova, fatta di giovanile entusiasmo e di passione, di una drammatizzazione che interloquisce con il passato, con il presente e con il futuro, che ama confrontarsi senza peccare di presunzione, ma con la volontà di non perdere mai di vista quello che gli uomini hanno scoperto e costruito nel tempo. E’ in questa simpatica ridda di ricerca di verità che il dottor Milos Kogoj, medico quasi novantasettenne di Cittiglio, rilancia la lettura dei Promessi Sposi, aggiornando quotidianamente la presa d’atto individuale con le pagine di una critica editoriale che accompagna ormai quasi sistematicamente le pagine dei nostri più affermati quotidiani. E’ con razionale fierezza che il dottor Kogoj conserva scritti e pensieri, è con una giovanissima animazione morale e spirituale che rivede e analizza un sistema di comunicazione per troppo tempo prigioniero di una tradizionale e troppo ripetitiva parafrasi conservativa, legata ai vincoli di un’educazione scolastica eccessivamente impositiva per poter entrare nel cuore e nella mente di giovani alla ricerca di messaggi meno convenzionali, più attenti forse a scoprire lo sguardo e la voce di chi ha lottato per una patria più libera, più giusta, più onesta, più capace di educare e insegnare. “Qualcosa sicuramente non ha funzionato nella quotidiana presentazione delle pagine del romanzo – afferma il dottore – qualcosa che in molti casi non ha avuto il coraggio di rompere una sorta di ingessatura morale e mentale, qualcosa che non ha saputo cogliere fino in fondo l’dea di un mondo che potesse sottoporsi a un dibattito di libertà per migliorare il proprio limite”. Per il dottor Kogoj l’età è una straordinaria spinta a una riappropriazione per troppo tempo sottratta alla sua naturale bellezza. “Riconoscere la forza ideale e persuasiva di questo romanzo – afferma Kogoj – significa concedergli l’onore di quell’attualità che lo rende vivo più che mai oggi, capace di ricreare il senso della nostra storia personale e di quella comunitaria. Forse va letto liberi da schemi e da personalizzazioni precostituiti, appoggiato con garbo critico nel cuore dei giovani, ampliando la sottile bellezza dell’analisi psicologica”. Nostalgia? Nel modo più assoluto anzi, il dottore non ama la conservazione fine a se stessa, quella sorta di nebbia mentale che impedisce alla persona di sviluppare l’ampiezza di quel mondo interiore che don Lisander ha così ampiamente posto all’attenzione popolare. Aveva compreso infatti che nel popolo c’è qualcosa di più di una semplice obbedienza o di una perseverante reticenza, c’è la voglia di scandagliare fino in fondo il senso che anima la vita, rendendola stabilmente bella sotto ogni profilo, anche oltre l’inarrestabile limite temporale, che spesso ne cancella la bellezza e ne oscura l’ampiezza morale. Vedere il dottor Milos Kogoj con i Promessi Sposi tra le mani, ascoltarlo mentre rivaluta un testo che è molto di più di un romanzo storico per pochi appassionati, mi consola, mi fa capire che c’è sempre la possibilità di trovare una chiave di lettura e di conoscenza della storia, tale che ci permetta di inquadrare con più realismo quel mondo nel quale hanno preso forma il nostro paese, la nostra cultura, il nostro senso morale, la nostra voglia di essere ogni giorno un tantino migliori. Forse l’età è una sorta di bacchetta magica, forse bisogna invecchiare per capire meglio e più a fondo la condizione umana, abbandonando per un attimo l’idea di avere il mondo in mano e di poterlo finalmente incontrare sotto una luce diversa, meno opprimente, meno soffocante, più capace di concedere agli esseri umani di mettersi in discussione, di poter apprendere senza per forza subire, aprendo il proprio cuore a una ricerca che ricrei la vita, soprattutto se le si lascia il tempo e lo spazio per potersi affermare liberamente, fuori da ogni tipo di esagerata costrizione.
Un pomeriggio con lui è riconquistare il gusto della vita di Felice Magnani