I 10mila mq. che costituiscono l’area dell’ex fornace sono stati ripuliti con l’asportazione dei cumuli di rifiuti che coprivano il terreno, grazie ad un intervento dell’amministrazione comunale. Ora si sta portando alla conclusione anche l’ultimo atto, cioé la messa in sicurezza della ciminiera e la pulizia del vecchio forno. Un’operazione di archeologia industriale che si intreccia con l’altra di bonifica che ha richiesto circa tre anni di lavoro, resi possibili grazie ad un finanziamento regionale di un milione di euro a fondo perso. Fino al 2016 questa zona, che confina con la palude Brabbia, era divenuta una discarica a cielo aperto. Dopo la dismissione del lavoro in fornace nel 1951, a causa dell’alluvione che aveva interessato tutta l’area circostante di natura argillosa, quindi impermeabile all’acqua, la struttura fu abbandonata. Negli anni successivi divenne sede di un acquirente di rottami, fino a passare di proprietà in proprietà e dimenticata. L’accumulo dei rottami, unito ai rifiuti che venivano via via abbandonati, ha coperto il terreno su cui la natura ha fatto crescere arbusti e rovi. L’intervento è stato comprensivo del loro abbattimento che ha messo a nudo una ventina di tipologie di rifiuti, tra cui quelli industriali e molto amianto. Sono stati tutti portati nelle discariche autorizzate e tracciati, cioé accompagnati da bolle di accompagnamento. L’opera di bonifica ha portato alla luce delle sorprese a partire da un laghetto che si era già creato in passato artificialmente, grazie alla presenza di un torrente che l’alimenta e che scorre tra Inarzo e Cazzago. Laghetto pescoso che ha la caratteristica di ghiacciare in inverno per la gioia dei pattinatori. “Se funzionassero ancora le ghiacciaie -afferma scherzosamente il sindaco Emilio Magni- avremmo sempre la scorta ogni anno”. Nel frattempo gli alberi stanno ricrescendo ed ora l’attenzione è volta al consolidamento della ciminiera e alla pulizia del forno sottostante, mentre la vecchia fornace non è stato possibile salvarla. “Devo ringraziare tutti gli uffici comunali e in particolare l’ufficio tecnico, grazie al progetto del quale è stato possibile il finanziamento di questo grande intervento di bonifica. Ora restituiremo l’area al privato. Area soggetta ad un piano di intervento concordato e compatibile con l’ambiente”.
Federica Lucchini
Produceva laterizi la fornace di Cazzago. Ed è stata per anni fonte di occupazione per gli abitanti. Si trattava di un lavoro usurante: raccogliere l’argilla, cuocerla richiedeva molta fatica. Ma gli operai erano ben contenti di avere un lavoro fuori dall’uscio di casa. E lo svolgevano consapevoli che le tegole e i mattoni di vario tipo erano apprezzati. “Una tegola in testa? Non preoccuparti: è della Quaglia Colombo”, recitava una pubblicità, citando il nome dell’allora famiglia proprietaria. Tutti erano sicuri che sarebbero stati assunti. Il 1951, anno ricordato per l’alluvione del Polesine, causata dalla piena del Po, fu nefasto anche per la fornace, che già vedeva il lavoro compromesso: l’acqua della palude, trovando il terreno argilloso attorno, inondò l’area circostante. E fu la fine. Per la fortuna degli operai cominciava l’attività la Ignis. E’ significativo il consolidamento della vecchia struttura, a ricordare un’epoca che fa parte della storia delle nostre genti.
Federica Luccchini