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Era il 18 agosto del 1946-“Riempi la botiglia de acqua per lavar el viso a la picia”

 14 Febbraio 2016 |  Pippo | |

– Quel mucchio di boe d’altura su cui ragazze sorridenti ascoltavano musica con il grammofono a manovella, di fronte alla spiaggia di Vergarolla, è un immagine che Maria Bon, profuga, insegnante elementare in pensione, nata a Pola, ha vivissimo nella memoria. Dopo pochi minuti, di tutta quella gioia di vivere sarebbe rimasta una voragine nel mare che avrebbe portato con sé ben cento morti. Quelle ragazze, ignare, erano sedute su una montagna di tritolo sotto cui è esplosa la miccia posta dai soldati di Tito. Era il 18 agosto del 1946. Lei, prima, avrebbe voluto raggiungere il papà che l’aspettava in acqua (“Torna subito che andremo in acqua”, era stata l’esortazione), ma la mamma l’aveva invitata a riempire una bottiglia d’acqua ad una fontanella poco distante per lavare la sorellina: “Riempi la botiglia de acqua per lavar el viso a la picia”, le aveva detto. Ha ancora presente il viale di terra rossa che aveva percorso, il rubinetto, l’invito di due amichette: “Ti vieni a giogar con noi?”, il suo rifiuto per raggiungere velocemente il papà e tuffarsi con lui, poi l’esplosione. Tremenda, assordante. La sua rievocazione ha una sosta. Ha bisogno di una sosta! Certe esperienze, scolpite nell’animo, non trovano parole per essere narrate. “Vedevo come delle pigne infuocate scendere dal cielo: mio papà con la testa insanguinata, ci prese e ci trascinò via. Ho ancora davanti agli occhi il mare che si apriva e chiudeva raccogliendo i corpi dei morti, tra cui quelli delle mie due amichette con cui pochi minuti prima avevo parlato”. Poi i funerali: le bare poste su camion militari inglesi che attraversavano la città. “Era impressionante vedere lungo i marciapiedi tutta la gente allineata, in un silenzio irreale perché – ricorda – tutti noi avevamo la consapevolezza che quello, oltre l’addio a quei cento innocenti, era l’addio alla nostra terra”. Il 10 febbraio 1947 ci fu, infatti, l’assegnazione definitiva dell’Istria e della Dalmazia a Tito. E iniziò l’esodo. I 28mila abitanti di Pola lasciarono la loro città. Maria era bambina, non sapeva che il fratello di papà Ruggero nel 1943 era stato infoibato a Vines, cioè gettato in quelle cavità naturali, chiamate foibe, che in quegli anni divennero la tomba di tanti italiani per volere di Tito. Ricorda, però, ancora la nonna che faceva bollire in un pentolone ritagli di abiti. Seppe poi che le erano stati consegnati per riconoscere quello del figlio e lei, guardandoli puliti, scrollava sempre la testa.
“Triste partenza dalla nostra casa verso il porto dove la nave “Toscana” ci attendeva per portarci in esilio – 15 febbraio 1947″. Così aveva scritto papà Ruggero dietro la foto che raffigura la famiglia Bon in partenza su un camion: vi si vede Maria piccola che sorride al nonno che li avrebbe raggiunti a Varese, continuando il suo impiego presso le Poste. Accanto la sorella Luisa, la mamma Malvina, il papà, lo zio Edoardo Soleri. “Nissun portarà fiori sula tomba de quei che gavemo lasà”: così è intitolata la tesi di Federica, nipote di Maria. Con una frase che dice tutto, di quel senso di tristezza che pervadeva l’animo di tutti i profughi giuliano-dalmati che dovevano lasciare le loro terre. L’arrivo ad Ancona, poi in treno fino a Bologna, dove i ferrovieri in sciopero li costrinsero a restare chiusi nei vagoni per due ore e finalmente l’arrivo a Varese, assieme ad altri profughi. La neve molto alta e il freddo di quei giorni diviene una metafora dell’accoglienza in città: a disposizione loro una camera in un albergo, ma solo per la notte. Durante il giorno i giardini pubblici nella parte soleggiata divennero il loro luogo di momentaneo conforto. Poi gradualmente l’inserimento prima a Comerio, poi a Varese, con quel vissuto che è scolpito nell’anima. Quattordici anni fa il ritorno a Pola, a rivedere la sua casa, sempre uguale: “Ti stavi qua!”, le ha detto la donna che abitava lì da quando Maria era partita nel 1947. Appena aveva bussato, aveva capito senza che si conoscessero. “Benedetta la tua mama!”, che le aveva lasciato una casa in ottimo stato.
Federica Lucchini

La famiglia Bon in partenza

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Le sorelle Bon Luisa e Bon Maria oggi

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