Vale la pena ricostruire uno stile, rimettere in campo segni, gesti, parole, idee, concetti, comportamenti e atteggiamenti che restituiscano alla natura umana la sua dignità. Forse sì, è proprio il caso di ridare un volto a quella parte del sistema educativo che riguarda il nostro rapporto con gli altri, un rapporto che è andato via via deteriorandosi, lasciando aperti ampi spazi all’arbitrarietà e alla negligenza, all’idea che tutto si potesse risolvere con la bacchetta magica o con qualche sortilegio di natura miracolistica. Ricostruire uno stile significa rimettere le cose a posto, restituendo a ciascuna il proprio spazio e la propria identità, proprio come hanno fatto con immensa determinazione i nostri genitori e i nostri nonni, significa soprattutto riprendersi un ruolo e una dignità, in un clima di grande rispetto reciproco. L’eccessiva familiarità e la smisurata confidenza di questi anni hanno minato i rapporti umani, sviluppando situazioni di grande confusione morale e sociale dove tutti si sono sentiti padroni della situazione al punto di perdere completamente di vista il comune senso del pudore o anche solo l’idea che dietro la fisicità di un’immagine ci fossero un cuore, una mente, uno spirito, delle emozioni, dei valori, una cultura, un modo di essere. La confusione è stata pressoché totale e non ha preservato nessuno, neppure coloro che sono stati da sempre la bandiera dell’educazione nazionale, quegli insegnanti che ci hanno insegnato una via da percorrere per rendere più umanamente bella e appetibile la nostra esistenza. Lo stile, qualche volta associato alla forma e in molti altri casi alla sostanza, è stato in buona parte la molla che ha fatto crescere la nostra identità, il nostro sentirci parte integrante della realtà umana, in molti casi ci ha permesso di affrontare con coraggio ed eleganza anche le situazioni più difficili, quelle dove il modo di porsi fa la differenza, abituando il pensiero a manifestarsi con ragionevolezza e pacatezza, senza mai cadere nella volgarità o in varie forme di materialismo. Nello stile di una volta c’erano un grazie, un prego, uno scusi, un buongiorno, un signora e un signor, oppure un dottor e soprattutto una serie di atti, segni e parole che davano tono all’incontro, rendendolo più vero, più rispettoso di chi ti stava di fronte. La forza dello stile era la forza stessa della maturità della persona, fatta di parole, frasi, discorsi misurati, calibrati, mai troppo accesi o afflitti da ignobili volgarità. La persona era un altro, qualcuno che meritava rispetto, a cui dovevi rivolgerti con cortesia e con buona educazione, era l’altro da dover conoscere o ritrovare. Non importava chi avessi davanti, povero o ricco che fosse, lo stile lo era con tutti e per tutti, forse ancora di più con chi ne aveva formalmente bisogno. L’insegnante che si fa dare del tu dai ragazzi, il prete che si lascia trattare come uno scolaretto qualunque, l’adulto che tende a voler creare livelli paritari per sembrare più giovane cadono in gravissimi errori dai quali diventa poi molto complicato emanciparsi. Ricordo di docenti che scimmiottavano la gioventù rimanendone poi preda, annullando ogni forma di rispetto e rimanendo prigionieri di espressioni e di gestualità che ne minavano la credibilità alla radice. Il gioco con i ragazzini è molto pericoloso, soprattutto se non viene sapientemente organizzato e condotto, il rischio è quello di cadere nella trappola della fluidità verbale e gestuale, fino ad arrivare a varie forme di espressiva volgarità. Ho visto colleghi e colleghe soccombere proprio a causa di una totale mancanza di stile, uno stile politicamente rifiutato, come se si trattasse di un muro da abbattere per stabilire le linee di condotta di un gioco paritario. I giovani, nella loro immediatezza percettiva, hanno sempre saputo cogliere e distinguere, non si sono mai lasciati travolgere da tentativi di dubbia associazione affettiva, hanno sempre preferito l’incontro formale deciso, fatto di rispetto e di attenzione. Oggi i tempi sono cambiati, il tu ha rotto gl’indugi, facendo crollare la benchè minima ricerca d’identità, il valore della conoscenza, l’importanza che riveste il prossimo nel gioco della vita. Le identità sono un valore, ognuna ha una sua storia, una sua evoluzione, si colora e si ammanta di sensazioni e di emozioni tutte diverse, piene di umanità e di speranza. Mettersi in relazione è fondamentale per rafforzare i vincoli comunitari, per ridare slancio alla vitalità individuale, ma tutto secondo un ordine in cui si possano leggere le diversità, quei tesori grandi o piccoli che consentono di trovare forme di condivisione comune. Lo stile non è solo abito o estetica o espressionismo allo stato puro, ma è soprattutto sostanza che si affina, che si espande, che cresce quotidianamente la sua espressività. E’ nello stile e con lo stile che la persona si rappresenta, fornendo una solida base affettiva su cui costruire una eventuale e possibile conoscenza. Viviamo in una società che ha un immenso bisogno di stile, lo ha a livello periferico come a livello nazionale e quando manca i primi a farne le spese sono proprio i giovani, i quali vivono l’illusione di avere il mondo in mano e di poter fare tutto quello che vogliono in barba al buon senso, alle regole e alla buona educazione, quella che non guasta mai e che quando non c’è si aprono le porte della prevaricazione e della sopraffazione di cui tutti facciamo le spese. Senza nulla togliere alle necessità materiali, chi gestisce l’autorità oggi deve fermarsi e fare un profondo esame di coscienza, per capire se si fa tutto quello che si deve fare per orientare quel grande patrimonio di energie e di intelligenza, che merita di essere cercato, individuato, ascoltato, potenziato e orientato. Se l’autorità non ascolta, non cammina, non vive la realtà, non predispone una visione di quel mondo nel quale vive e opera, difficilmente potrà capirla bene fino in fondo, con il rischio di perdere per sempre la fiducia delle persone che nell’educazione ci hanno sempre creduto e continuano a farlo, nonostante siano quotidianamente testimoni di un mondo che in molti casi cammina alla rovescio.