Quando una società dimentica è come se facesse piazza pulita della propria storia, dei propri principi, dei propri valori, di quella parte che è stata ed è fondamentale per definire chi siamo, quale ruolo abbiamo, quale funzione abbia la nostra vita. C’è stato un momento in cui la memoria era esercizio quotidiano, sulla memoria si giocava spesso l’apprendimento, la nostra capacità di dare un volto concreto all’intelligenza, di continuare una tradizione di fatti, eventi sui quali si costruiva la nostra vita, il nostro modo di essere, i nostri comportamenti, la realtà con la quale dovevamo fare i conti tutti i santi giorni. Nella scuola di una volta la memoria era il punto di partenza. Si partiva per l’avventura della conoscenza cercando di imparare qualcosa di più della sua identità, passando attraverso le materie che la custodivano, come la storia, l’educazione civica, la letteratura, la matematica, la geografia, la religione, la condotta. Il legame con il passato era stretto e vincolante, era forse il modo migliore per dare un volto reale ai fatti, alle storie, agli eventi. Per sapere cosa fosse la democrazia bisognava tornare indietro nell’antica Grecia, scoprendo i personaggi che l’avevano inventata, bisognava entrare in punta di piedi in una lingua molto diversa dalla nostra. Per comprendere il significato del diritto bisognava calarsi nella storia romana, nei suoi conflitti interni ed esterni, per capire cosa fosse l’Italia bisognava andarla a trovare là dove la frammentarietà dei confini rendeva difficile immaginare che un giorno sarebbe potuta diventare una nazione straordinariamente unita e bella, a forma di stivale, accarezzata ovunque da un mare diverso, da montagne e colline, abitata da santi ed eroi, da uomini e donne capaci di dimostrare al mondo la forza del genio, la sua capacità di creare, inventare, stimolare. E’ nella formazione di una memoria storica che il paese si è evoluto, è nella consapevolezza di tutto quello che è stato fatto che il cittadino ha imparato il senso della vita che stava vivendo, è nel senso di responsabilità quotidiano che si dimostra quanto importante sia non dimenticare mai gl’insegnamenti ricevuti, i momenti fondamentali della nostra nascita e quelli della nostra storia, per non ripetere gli stessi errori, per non lasciarsi trasportare dalle illusioni e dalle utopie che popolano il nostro mondo, per fare cose nuove e belle, capaci di cambiare in meglio il volto indignato della gente. Ricordare come siamo diventati nazione, come ci siamo uniti, come abbiamo deciso di rispettare le regole di una Costituzione, è parte integrante della nostra storia, che si propone sempre come maestra di vita, rispettando con attenzione e disponibilità la mobilità intellettuale, la capacità di aggiornare, migliorare, supportare, partendo per una straordinaria rivoluzione morale, sociale, politica e religiosa. Dimenticare significherebbe non avere a disposizione quella parte che rivendica la sua identità e la sua dignità, perché nulla di quello che è stato risulti inutile, ma tutto contribuisca a farci comprendere meglio perché oggi siamo così, ma soprattutto che cosa si dovrebbe fare per rendere meno avvilente e più accogliente il nostro turismo terreno. Nella memoria coltiviamo la nostra cultura e il nostro sapere, cerchiamo di dare un volto e una voce a quelle persone che ci hanno insegnato l’onore, l’onestà, la pazienza, la rinuncia, ma soprattutto l’amore per le cose belle, quelle che non hanno mai fine e che, nei momenti del dubbio e della regressione, ci allertano, ci svegliano, facendo riaffiorare quei momenti d’intimità familiare e sociale che hanno riempito le nostre giornate, che ci hanno fatto capire quanto fosse importante avere accanto qualcuno che ci aiutasse a non perdere mai di vista la forza e il coraggio di vivere. Ci sono figure nella storia personale e in quella comunitaria che vivono sempre, anche quando forse ce ne dimentichiamo, presi come siamo dall’idea di essere diventati i padroni del mondo. Chi sono? I genitori, i nonni, gli amici quelli veri, le maestre e i maestri, i professori e le professoresse, i presidi e tutti coloro che si sono presi cura della nostra crescita e della nostra educazione, mettendo ogni mattina una parte della loro umanità al nostro servizio, qualche volta con fatica, con difficoltà, ma sempre con la segreta speranza che tra quei banchi potesse esserci un mondo diverso, meno egoista, meno maleducato, più attento a saper cogliere i valori veri della vita. Quali valori non dimenticare? Fare sempre il proprio dovere ad esempio, non mancare mai di rispetto, essere cittadini attenti, mai omertosi o infingardi o volutamente menefreghisti, sempre con l’orecchio teso alle cose che non vanno e che, forse con il nostro contributo, potrebbero andare meglio. Fare in modo che la collaborazione non sia mai opera di uno o di due o di tre, ma di tutti insieme, aprire il tavolo dell’incontro e del dialogo affrontando i problemi che contano, quelli dai quali dipendono i comportamenti delle persone, spiegando sempre con l’entusiasmo e la convinzione di chi crede sul serio in quello che fa e in quello che spera, dimostrando che voler bene significa dare tutti, secondo le proprie capacità, un contributo di cultura personale e di buon senso. Forse la forza di un paese non stata tanto nei giardinetti privati, nella bravura individuale, ma nella capacità di lasciare il certo per l’incerto, la comodità e l’egoismo per una sfida di carattere morale, sociale, culturale e religiosa. Il passato ci insegna soprattutto questo, che la via della rinascita passa attraverso strade a volte poco praticabili, percorsi apparentemente complicati e difficili, ma insegna soprattutto che la bellezza dello stare insieme dipende da uno stato d’incertezza che diventa ricerca, risveglio, comunione, attenzione, è come se all’improvviso ciascuno abbandonasse le proprie utopie e si mettesse al servizio dell’altro, senza vantare primati. Ecco che in questi momenti anche i nonni diventano una grande lezione di vita per i giovani e per tutti coloro che credono nella forza attrattiva del fare, del crescere, del vivere con senso del dovere e con attenzione nei confronti del mondo che incontriamo ogni giorno, anche quando questo sembra troppo segreto o irremovibile. Dunque ricordare non vuol dire vivere nel passato o negare l’azione propositiva del presente o la fiducia nel futuro, ma semplicemente avere nella mente e nel cuore quello che molta gente ha fatto prima di noi, per permetterci di vivere una condizione responsabile, fatta soprattutto di coscienza civica e di coscienza morale, di voglia di esserci sempre, in particolare quando la vita si fa dura e richiede il massimo della collaborazione e della compattezza.