Capitava che, anche d’estate,qualche volta le mie nonne, nonostante la calura lo facessero.
Come due magiche streghe, o fate si affaccendavano su i fornelli, ma più spesso attorno al camino, a prepararlo.
Quando utilizzavano il camino, il fuoco proiettava le loro ombre su i muri, rendendo l atmosfera più magica, dal momento che io e mia sorella spegnervamo le luci, e volendo emulare i loro vecchi tempi”, stavamo solo a quell chiarore pulsante del fuoco, e a quelle faville misteriose, che scomparivano nel buio, ogni volta che si muovevano un poco i tizzonii con la”moia”…
Stavamo un po incantate e un po attente, ai loro gesti di cuoche formidabili, e le aiutavano a sbucciare le castagne secche.
Il mac, era considerato, una minestra di castagne, una minestra di”puaritt”, ma per noi era una prelibatezza.
Il latte, in cui si bollivano le castagne e il riso era quello delle vacche dell’Adelina e del Michele, che avevano la stalla nel cortile, vicino alla latrina.
Il riso, era quello famoso di Vercelli, e le castagne, quelle dei nostri boschi.
Il profumo, si spendeva per l aria, dolce e buono, e, antico come chi l aveva inventato.
I vicini, passando davanti all uscio aperto, si affacciano e dicevano”:Alegher gent!!!, si dree a fa ul mac eh? Sent che bum udoo!!!”
Il Mac, aveva l aspetto e la consistenza di un budino color nocciola.
Veniva spesso aggiunto un pochino di zucchero.
Era una bontà, altro che “mangia de pora gent”!
Spesso, si condivideva anche con il vicinato, dal momento che ad Arcumeggia, come penso in molti paesini di montagna, c’era l’abitudine di consumare il vitto seduti sugli scalini, in cortile.
Mi ricordo, quelle cene, come una festa, tra i pettegolezzi delle comari, mentre si mangiava, e gli uomini che ridacchiavano. Qualche mucca faceva un leggero scampanellino, scuotendo la testa, e la capra della Polonia, gli rispondeva, intanto che qualche gallina”schecherava” rincorsa dal gallo, e qualche gatto si strusciava alle mie gambe.