IL BOSS
sono andato a vedere il suo profilo su Facebook e lui sembrerebbe proprio un tipo brillante. Titolare di un autosalone multimarche, si fa fotografare in bella mostra tra macchine di lusso e a fianco di personaggi che godono di una certa notorietà. Giorgio Bellotti era il mio compagno di università durante il corso di laurea in economia e commercio; non un’università qualunque badate bene, ma “quella” università, da dove sono usciti i top manager, i commissari europei, i presidenti del Consiglio dei Ministri e da dove escono tutti coloro che sono destinati ad eccellere nella loro professione. Tutti tranne qualche eccezione, naturalmente, come il sottoscritto. E pensare che i miei vecchi si sono letteralmente svenati per farmi studiare in quella sede prestigiosa, privandosi perfino delle vacanze e delle cene in trattoria; loro che vivono ancora nella modesta villetta dove hanno ricavato uno studio per consentirmi di svolge- re indisturbato il mio lavoro. Mi fa comodo ritornarci ogni tanto, anche se ora trascorro la maggior parte del mio tempo lontano da casa e, tutto sommato, preferisco parlare poco delle mie faccende private. I genitori, si sa, fanno sempre troppe domande.
Ne facevano anche quando andavo a Milano per studiare, partendo al mattino presto e tornando nel tardo pomeriggio, come se un pendolare come me potesse improvvisare chissà quali trasgressioni tra un’ora di lezione e quella successiva; ma il babbo sosteneva che la mia generazione era esposta a tutti i pericoli di questo mondo, perché le cattive amicizie erano sempre in agguato, pronte a trascinare il giovane sprovveduto nelle imprese più scellerate. Non aveva tutti i torti, la grande città, in confronto a com’era quando lui ci andava a lavorare, stava già cambiando il suo volto. Una volta non c’erano in giro gli spacciatori, non c’era il racket, non c’era la movida e la gente pensava soltanto alla fabbrica o all’ufficio;
Continua