IL MONDO È UNA CASERMA
Il 52° Reggimento di Artiglieria Pesante Campale è stanziato nel bel mezzo della pianura lombarda immersa nella nebbia per almeno quattro mesi all’anno. Inverni difficili di cinquant’anni fa, niente riscaldamento nelle camerate, muri di sasso che trasudano umidità, vetri delle finestre che gelano dall’interno e per guardare fuori al mattino bisogna grattare il ghiaccio con le unghie. Questa è la caserma, circondata dal muro sovrastato di filo spinato, suddivisa in palazzine dove alloggiano i reparti, o meglio le “batterie”, cioè i nuclei di soldati adibiti al funzionamento dei “pezzi”. Roba grossa, lasciataci dagli americani dopo la fine della guerra: cannoni, obici e mortai fino a 300 millimetri di calibro posizionati su traini a tre assi con sei coppie di ruote gemellate e agganciati a rimorchio di enormi “trattori”, in pratica giganteschi camion con tutte le ruote motrici sui quali trovano posto il comandante di batteria e i serventi al pezzo.
Sebastiano Belmonte si alza dal comodo letto posto nella comoda stanza ubicata all’interno della palazzina riservata agli ufficiali; davanti allo specchio si rade accuratamente le guance contornando con il rasoio il pizzetto e i baffi sottili, indossa l’uniforme di servizio e il cappotto rigorosamente adattati dal sarto al suo fisico atletico, prova e riprova il saluto militare come glielo avevano insegnato all’Accademia: braccio orizzontale all’altezza della spalla, avambraccio inclinato ad angolo acuto in linea retta con le dita della mano tese fino a sfiorare la visiera del berretto rigido, poi, di scatto, sull’attenti con braccia irrigidite lungo i fianchi e sonora sbattuta di tacchi. Infine getta un ultimo sguardo compiaciuto alle due stelle cucite su ciascuna delle spalline del cappotto: tenente, anzi Signor Tenente e tra non molto, con l’atteso arrivo della terza stelletta, lui sarebbe diventato per tutti il Nobile Homo Capitano Sebastiano Belmonte.