ISMAELE
Un barbone è sempre un barbone, anche se lo chiamano clochard. Io me ne intendo di queste cose e so che l’ipocrisia della gente non ha limiti: prima ti tolgono tutto e poi quando sei finito su una strada pretendono di restituirti la dignità pronunciando una parola francese con quella erre che fa tendenza nei salotti buoni dove i ricchi politicamente corretti si sciacquano la bocca e la coscienza con i loro discorsi sul sociale dopo aver saccheggiato le casse dello Stato e le tasche dei cittadini… potrei andare avanti non so quanto con questi discorsi sconnessi; il fatto è che il passato mi brucia ancora e qualche brutta abitudine mi è rimasta, come quella della bottiglia di grappa posata sul tavolo accanto al computer. Sì, perché adesso ho persino il computer, sto in un monolocale con blocco cucina, divano letto e televisore a LED, ma non è stato sempre così. Certe serate d’inverno, quando non guardo il posticipo del campionato di serie A, ripasso il film della mia vita, sfortunata come quella di un ciclista che vuole pedalare per la sua strada e quando meno se l’aspetta incontra una macchina che gli viene addosso.
A questo punto vi domanderete chi sono io e io vi rispondo che non voglio più avere un nome e neppure un luogo e una data di nascita: queste cose le ho viste scritte troppe volte sulle cartelle di Equitalia, sulle ingiunzioni di pagamento e sul bollettino dei protesti. Chiamatemi Ismaele. Perché proprio Ismaele? Perché c’è un romanzo che inizia esattamente con queste parole e parla di oceani sconfinati, di navi che affrontano tempeste, di uomini che a bordo di una barca lottano contro le balene. L’avete letta tutti la storia della balena bianca e dell’equipaggio travolto dall’odio e dalla sete di vendetta del capitano Achab; ebbene, io sono Ismaele il naufrago, Ismaele il disperso che galleggia avvinghiato ad una bara vuota, Ismaele il sopravvissuto.
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