Dal libro Cari Nipoti
ll matrimonio è un evento straordinario che va celebrato in modo straordinario, inventandosi magari una cerimonia insolita ed irripetibile, una cerimonia che vale la pena di raccontare ai nipoti, “un matrimoni de matt”.
Era il mese di agosto del 1979 quando due Caldanesi decisero di sposarsi; fin qui niente di strano, ad eccezione del fatto che “lui” insieme ad altri amici aveva fondato qualche anno prima un Comitato delle feste con lo scopo di organizzare eventi, celebrazioni e ricorrenze nel segno dell’allegria e della convivialità per tutti i Caldanesi.
In una calda serata estiva il Comitato si riunisce nella sala del Circolo; a convocarlo è stato proprio il promesso sposo, le presenze sono al gran completo, qualcuno inizia a mormorare, il Renzo dice al Dario: “Mo’ s’el g’ha in ment?”. “Lui” sgombra subito il campo dagli equivoci: “Ho deciso di sposarmi e c’è da organizzare la festa, anzi il festun”. Il Renzo: “Benone, cumincia a fa purtà de bev, se no se seca la gora”. L’Attilio, che della combriccola è il manegiun: “Va bene, ma dove? Quando?” Lui, lo sposo: “Allo chalet del Cerro, il 13 di ottobre”. L’Attilio: “Ma tu sei matto, allo chalet non c’è niente, c’è solo la casetta, manca tutto, e poi quanti sono gli invitati?” “Trecentoventi!” “Cosaaa? Trecentoventi? Impossibile!”.
Ne esce una discussione che sembra di essere al mercà de Saronn, poi l’Attilio fa tacere tutti: “Cerchiamo di capire, mancano tavoli, sedie, tovaglie, piatti, bicchieri, posate e tutto il resto. Qui non siamo come all’ultimo dell’anno in Società Operaia, centocinquanta persone al coperto, qui se piove…” Li lascio sfogare, tiro fuori un bloc notes e comincio: “Sarò matto, ma quando si fanno le cose, vanno fatte bene come siamo abituati a fare. In vacanza ho avuto il tempo di programmare tutto, ditemi se ho tralasciato qualcosa”. Il Luigi, l’anziano del gruppo: “Perché proprio allo chalet?” “Perché è sempre stato il posto delle feste e non solo quelle di Caldana; poi quando c’era la balera anche tu andavi a ballare” “Sì l’è vera, vegnevi sü anca mi”commenta il Pasqualino.
Bene, adesso silenzio, è il momento di spiegare il programma. “La pulizia dello chalet la fa l’impresa del Giampiero, i tavoli li procurano il Dario e il mio futuro cognato, le tovaglie le ricaviamo da un rotolo di stoffa che mi ha regalato il Luciano di Cuvio, le sedie me le presta la Pro Loco di Viggiù (con un’offerta) l’impianto elettrico lo fa il Giorgio con il cavo tirato dal Cerro (tutto in regola con l’Enel), il vino lo portiamo lì nelle damigiane (Chardonnay e Barbera), le cannette per riempire le bottiglie (perché devono essere sempre piene) le porta il Luigi…” “Chi l’è che fa ur cantinee?” “Tu che hai parlato!” Era il Luigi detto Maghin. “Ci sono 44 bottiglie di Barolo del 1970 che ho messo via per il dopo pranzo” “Perché proprio 44?”fa il Lino “Perché io sono della classe ‘44” “Poi per il brindisi c’è lo spumante Ferrari…” “Ciula che vin!” “Poi c’è anche da pensare all’acqua, dovrà arrangiarsi il Maghin e portarla bella fresca dalla Fonte
Signorina”.
Fin qui tutto bene. L’Armando chiede: “e il menu?“ Il Brambilla, grande chef dell’Albergo Milano di Orino, farà due primi e due secondi. Li porteremo qui col mio furgone, quello che abbiamo già usato per le altre bisbocce”. “Cusa gh’è de prim e de segund?” chiede il Pasqualino. ”Un secondo è con la puccia, quindi ci vuole la polenta;”l’alpino Armando con l’Antonio e il Felice la faranno sul posto, anche se dovranno arrangiarsi…intanto mia suocera sarà alle prese con le noci” “I noos?!” “Certo! Pan e noos mangià de spos. Ce ne sarà una cesta piena, tutte sgusciate e con i pezzetti di pane per faa una bucada”.
Pausa di riflessione: “Attilio, dagh de bev, el g’ha la gora seca”. Bevo un sorso e proseguo: “Per gli antipasti, salumi, tomini, acciughe e quant’altro dobbiamo prepararli noi, quindi faremo una riunione con le donne”. E le donne non si fanno attendere: “Ur mangià in dua er metum, in di piatt de plastica? E i furzelin? E i curtei? Farem mia un pic nic?” Me l’aspettavo la domanda e ho la risposta pronta: “Ho acquistato dal Fogola di Laveno piatti veri, non di plastica, posate, bicchieri e tutto quello che occorre; tenete presente che poi andranno lavati e resteranno al comitato e verranno buoni per le prossime feste”.
Il Renzo: “Ghe n’ha già in ment un’altra”.
Siamo alla torta: “La ordinerò agli amici Vittore e Pino della Pasticceria Milano”. Qualcuno chiede “E ur cafè?” “Quale caffè? Grappa e digestivi!”. Sembra ormai tutto chiaro, abbiamo finito. Il Renzo dice al Dario: “Va in cantina e tira sü ‘ne quai butiglia de crüel”. Ma l’Attilio raggela tutti: “Abbiamo finito un corno! Se piöv se fem?” Cala il silenzio. Ci vuole un giro di tavolo per raccogliere le idee. Il Dino: “Liberiamo il salone e facciamolo lì, così il problema è risolto”. Il Pasquale: “Gh’è rivàa el Bernacca!” Il Luigi: “Il tetto è marcio e piove giù”. Lui, lo sposo, il diretto interessato: “Semplice, matrimonio e pranzo rinviati per pioggia”. “Chel lì l’è matt, mai sentü ‘ne roba simil”. Sarò anche matto, ma non vedo alternative. Il don Giovanni è già avvisato e il Brambilla è disposto a rinviare tutto. Gli amici del Comitato accettano la proposta ed è il momento della bevuta finale, donne comprese perché “ur crüel l’è dolz”. Anche questa è andata, si può discutere su cosa fare e chi lo deve fare, ma quando c’è unione e buona volontà tutto finisce bene e in amicizia.
Il grande giorno si avvicina. Venerdì pioggia e sabato pure, secondo le previsioni del colonnello Bernacca. Alle otto di mattina, di sabato, squilla il telefono, è il don Giovanni, “Se fem?” ”Don, piove, rimandiamo a sabato prossimo” “Te se propi matt, quarant’ann de mesa ma u mai sentü ‘ne roba simil. Padre Edo è stato avvisato?” “Sì, ci penso io”. Padre Edo Mörlin Visconti è missionario in Uganda ed è rientrato a Caldana apposta per il matrimonio.
Dopo una settimana di tempo sereno, la giornata di sabato 20 ottobre 1979 si apre con una splendida mattinata di sole. Sarà una di quelle giornate che mettono il buon umore e ti fanno dire grazie di vivere. Prima del matrimonio vado allo chalet, il colpo d’occhio è magnifico: tutto in ordine, tutto perfetto, tutti indaffarati nei preparativi. L’Attilio da lontano mi grida: “Va, va a spusas, chi ghe pensum nünch”. Non riesco neppure a ringraziarlo, tanta è la commozione.
In chiesa celebrano don Giovanni e padre Edo; il portone resta aperto perchè i miei compaesani affollano anche il sagrato. All’uscita gli sposi sono attesi dagli applausi e dal lancio di riso.
Poi tutti allo chalet, dove ur Maghin e ur Gino dur Scér sono già pronti per dirigere il traffico e parcheggiare le macchine. Si comincia, come previsto, con pan e noos e un bianchin, poi l’Attilio invita tutti a sedersi ai tavoli. Più che il menu, ciò che ricordo è lo straordinario senso di libertà delle tavolate nel bosco: gli invitati che si alzano per parlare tra loro, gli amici che si ritrovano, i profumi delle erbe e dei fiori portati dalla brezza, senza dimenticare quello della polenta.
Un giorno così non può essere che un giorno felice.
È il momento della torta: sette piani rotondi, assomiglia a un grande pino valta un meter e mezz, bianca e rossa, tutta di pan di spagna rivestita di panna e fragole. Gli sposi sono pronti per fare il primo taglio, ma d’improvviso si presenta il solito Maghin con in mano una motosega: “Ciapa chesta, se no fem nocc”. Dicono che l’applauso degli invitati si è sentito fino al Forte di Orino. Si brinda con il Ferrari a suon di musica e qualcuno inizia a ballare su quel che rimane della vecchia balera.
C’è stato anche un seguito: gli impareggiabili amici del Comitato delle feste sono stati invitati dagli sposi in un ristorante di Angera, questa volta al coperto e cui gamb sotta ur taul. Era il minimo che potevo fare per ringraziarli del loro impegno e della loro generosità.
E, per concludere, sarei felice se qualche nipote del mio paese, un giorno mi invitasse al suo matrimonio. Dove? Nel salone! Adesso che è così bello e, soprattutto, adess ch’el piöv giò pü.