RACCOLTA DI ARTICOLI SULLA SCUOLA
FELICE MAGNANI
PREFAZIONE
Le istituzioni democratiche non sono cementificazioni museali prigioniere del tempo, ma punti di partenza per una rivisitazione dinamica, capace sempre di trovare sempre nuovi modi e possibilità di incrementare la conoscenza, la possibilità di umanizzare percorsi che hanno bisogno di manutenzioni per essere al passo coi tempi, per saper rispondere alle aspirazioni di un mondo che si muove, che vuole cambiare, che desidera trovare nuove soluzioni e nuove risposte ai mille perché che nascono dall’immensa duttilità umana di cuori e di menti che navigano alla ricerca di novità che li possano arricchire, che sappiano dare delle risposte convincenti a un’intelligenza animata dalla perseverante curiosità di creare, inventare, di ottimizzare quella forza e quell’energia che l’essere umano porta dentro di sé e che hanno un naturalissimo bisogno di essere attivate per non cadere nella ruggine di un tempo che rischia di cancellare tutto. Parlare della scuola significa entrare in uno dei più grandi spazi creativi che l’essere umano abbia creato per mettere a frutto i beni ricevuti in dono, scuola come laboratorio di creatività e di benessere, scuola come luogo di crescita umana e spirituale, scuola come luogo di conoscenza, dove ogni essere umano, a qualsiasi ceto appartenga, scopre quella parte della sua vocazione che lo aiuta a vivere, a dare un senso compiuto alla propria esistenza, scuola come vissuto di rapporti interpersonali, come luogo di apprendimento e di approfondimento, scuola come luogo di assunzione di norme e regole educative che sovrintendono ai rapporti umani. La scuola resta il punto di forza di una società che vuole cambiare in meglio, che vuole valorizzare i propri figli, che crede nella possibilità di attivare la conoscenza umana in tutte le sue forme possibili, pensando all’uomo come punto di partenza e punto di arrivo, una scuola che sappia orientare e dosare, valorizzare e orientare, una scuola che non dimentichi mai di essere unico, vero, grande esempio di amabilità educativa, dove ciascuno scopre la propria identità e la trasferisce in una esistenza che sia sempre più ricca e interessante, sempre più capace di dare un senso compiuto alle cose, ai punti interrogativi alle migliaia di quei perché che assillano l’animo umano nella sua ricerca esistenziale. Una scuola che sia sempre di più capace di armonizzare, di equilibrare, di dare risposte convincenti a giovani che le vanno cercando, una scuola che non profumi di classismo, che non crei steccati e differenze sociali, ma che insegni la capacità di fare, di creare, di valorizzare, di saper stare nella società con gli occhi puntati verso una solidarietà costante, che faccia comprendere quanto la bellezza e la felicità siano il frutto quotidiano di una collaborazione partecipativa da parte di tutti. La scuola è il punto di partenza per il mondo di un essere umano, è il primo passo che induce alla scoperta di un pensiero, di un modo di essere, di una identità, la capacità di sentirsi al centro di una storia meravigliosa, di una vita che offre a tutti indistintamente a possibilità di saperla amare, anche tra le mille difficoltà che possono capitare. La scuola va amata profondamente, va anche modificata, cambiata in meglio, ha bisogno di cure costanti, di gente che la sappia apprezzare e stimare per tutto quello che è in grado di offrire, ha bisogno di famiglie che la sappiano valorizzare, che ne siano fieri, che la sappiano stimolare e soprattutto che sappiano trasferire l’importanza della scuola nel cuore dei propri figli, perché a loro volta la sappiano collocare nel cuore dei figli che verranno, perché è la sintesi di tutta quella ricchezza educativa che è patrimonio degli esseri umani, è l’unico, vero, modo possibile di costruire una comunità che possa attingere alla casa comune, quella che contiene i segreti per la costruzione di una vita di cui ciascuno si senta alfiere e soddisfatto protagonista.
UNA SCUOLA CHE METTA AL CENTRO L’EDUCAZIONE E COME ELEMENTO QUALIFICANTE, CHE SAPPIA RISPONDERE ALLE ASPIRAZIONI DI UNA SOCIETA’ CHE VUOLE GURDARE AVANTI CON FIDUCIA E CON LA SPERANZA CHE LA CULTURA NELLA SUA ACCEZIONE SEMPRE PIU’ AMPIA E PROFONDA DIVENTI DAVVERO IL MOTORE DI UN GRANDE CAMBIAMENTO CULTURALE E SOCIALE. UNA SCUOLA CHE VALORIZZI IL DOCENTE, METTENDOLO NELLA CONDIZIONE DI ESERCITARE AL MASSIMO LIVELLO LA PROPRIA PROFESSIONE E CHE SAPPIA ORIENTARE I GIOVANI VERSO UNA SEMPRE PIU’ ATTENTA CONOSCENZA DEL PROPRIO RUOLO NELLA SOCIETA’. UNA SCUOLA CHE SAPPIA PROTEGGERE E POSIZIONARE IL PROPRIO FONDAMENTALE RUOLO EDUCATIVO NELLA SOCIETA’ ITALIANA, RAFFORZANDO IL SENSO DI RESPONSABILITA’ INDIVIDUALE, IL RISPETTO DEI DIRITTI FONDAMENTALI E LA CONSAPEVOLEZZA DI APPARTENERE A UNA COMUNITA’ NAZIONALE. UNA SCUOLA CHE SAPPIA RIPOSIZIONARE IL SENSO DELLA LEGALITA’ E QUELLO DELLA GIUSTIZIA, NEL PIENO E FONDAMENTALE RISPETTO DELLA COSTITUZIONE ITALIANA.
Siamo quasi agli sgoccioli. La scuola si prepara ancora una volta ad accogliere l’onda d’urto di una comunità scolastica che dovrà vedersela con una riforma che, se verrà approvata, toccherà tutte le parti sensibili di un sistema che troppo spesso ha vacillato sotto i colpi di un lassismo e di un qualunquismo che hanno messo in seria crisi tutto il sistema educativo, soprattutto nella parte che riguarda l’educazione nelle sue componenti scolastiche, sociali, morali, culturali e valoriali. In un clima di generale disorientamento si sono persi di vista quei valori primari che ne hanno delineato la storia dal dopoguerra ad oggi. Ci siamo trovati così di fronte a un sistema che ha perso sistematicamente di vista i ruoli, che si è dimenticato strada facendo il senso di parole come diritti, doveri, autorità, autorevolezza, rispetto, legalità, giustizia e dove spesso i ruoli sono stati scambiati per campi di forza, dove la verità doveva stare sempre dalla parte del più forte, di colui che manifestava apertamente la propria carica aggressiva, infischiandosene del prossimo, del rispetto e della legge, pensando di poter esercitare un potere personale capace di destrutturare l’immagine stessa del corpo docente. Abbiamo assistito ad atti di violenza di ogni tipo: professori picchiati, insultati, presi di mira da una delinquenza minorile mai vista prima, insegnanti donne costrette a ripararsi dalla violenza di genitori privi di qualsiasi forma di rispetto, abbiamo assistito a violenti atti di bullismo, ad atti di vandalismo di ogni ordine e genere, ci siamo resi conto che la paura aveva preso il sopravvento e che la Costituzione aveva perso via via la sua forza persuasiva, abbiamo capito quanto la società fosse in balia di un sistema in cui si evidenziava con sempre maggiore evidenza quella violenza che impediva al corpo docente di poter svolgere con la giusta serenità il proprio dovere. Una scuola allo sbando insomma, carente proprio in quella parte in cui avrebbe dovuto eccellere, l’educazione, la capacità di formare uomini e donne capaci di interagire con una realtà in rapida trasformazione. E’ in questa ridda di intemperanze e di confusione che la violenza ha preso piede, si è inserita con prepotenza nell’animo di chi credeva che nella vita si potesse fare tutto e il contrario di tutto, è in questa grave situazione che in molti casi i docenti si sono sentiti isolati, abbandonati, resi incapaci di far fronte a ragazzi e famiglie perfettamente allineati contro l’istituzione scolastica e le sue regole. E’su questo palcoscenico di violenza e di abbandono che spesso i docenti hanno cercato nella pensione una via di fuga, la possibilità di sfuggire a un massacro quotidiano, perpetrato da giovani e famiglie che si sono nascosti spesso dietro le pieghe di una legge sempre più ostaggio di false forme di buonismo e di una in certi casi scellerata accondiscendenza. Una scuola da cambiare dunque, una scuola senza speranza, incapace di formare, di indicare ai giovani l’unica via possibile per l’acquisizione di una libertà vera, capita, ragionata, vissuta, amata, rispettata, una libertà che potesse restituire all’umanità di ciascuno quella straordinaria voglia di vivere che l’ha sempre contraddistinta. Si è parlato molto in questi mesi di riformare profondamente il sistema scolastico, di potenziare la professione docente anche sul piano economico, di restituire alla scuola la sua forza educativa, la sua capacità di saper mettere al centro la persona con i suoi bisogni e le sue necessità, per questo e per molto altro il governo si è deciso al ripristino del voto di condotta, con il 5 scatterà infatti la bocciatura, si è presa in considerazione l’idea di responsabilizzare al massimo livello la famiglia, di rafforzare l’aspetto punitivo con iniziative atte a rafforzare il senso di responsabilità individuale e collettivo, una scuola meno opprimente, più concretamente aperta ai rapporti interpersonali, alla consapevolezza individuale e a quella collettiva, alla creatività sociale, più tesa alla valorizzazione del tempo, alla creazione di attività legate alle nuove discipline, con particolare attenzione all’ambiente, al sistema energetico, alle attività sociali, una scuola che non sia solo apprendimento meccanico e mnemonico, ma laboratorio attivo di iniziative utili per la formazione della persona, per il suo progressivo inserimento nella società, per la sua presa di coscienza, nel quadro di una riconsiderazione di quei valori fondanti che stanno alla base di una nuova e più consolidata coscienza civica. Una scuola che perde una parte della sua natura classista per mettere sul piatto la sua capacità di interagire con una società in rapida trasformazione, dove nuove discipline e nuovi interessi giocano un ruolo importante. E’ così che l’educazione riposiziona al centro la persona con le sue aspirazioni, le sue scelte, la sua voglia di produrre e di creare in un clima di ritrovato buon senso, dove la corretta condotta di tutti è in grado di sviluppare quell’armonia che sovrintende la voglia di collaborare e di fare, di intraprendere e di preparare nuovi progetti. Una scuola più integrata e più aperta, capace di accogliere nei propri spazi tutti coloro che spesso non sanno dove e come impiegare il proprio tempo, una scuola che sia sempre propositiva, che sappia guardare oltre la museale staticità degli aventi, che sappia rispondere con fermezza alle aspirazioni di quelle persone che la vivono e la rappresentano, una scuola che sappia dire no all’antagonismo, alla violenza e che sappia orientare positivamente quella volontà giovanile che è sempre stata e continua ad essere strumento di elevazione morale e sociale di un popolo che vuole guardare avanti, per essere al passo coi tempi e con le loro proposte. Si è parlato molto anche di responsabilità famigliari, di diritti fondamentali, di responsabilità individuali, di consapevolezza e di appartenenza, di comunità nazionale, di illegalità e di legalità, di necessità che coprono tutto l’asse istituzionale scolastico, soprattutto in quelle parti che sono state esposte a un’intollerante prevaricazione giovanile. Una scuola che sappia valorizzare al massimo livello i propri insegnanti e soprattutto che li sappia tutelare, che li sappia difendere da una diffusa e irrazionale voglia di sopraffazione. Dunque il nuovo anno scolastico si apre guardando avanti, con la certezza che la politica sappia finalmente metter una pietra sopra le passate inadempienze e che sappia riposizionare quel senso di responsabilità individuale e collettivo che sta alla base di una ritrovata serenità di ruoli e di competenze. Una scuola che sappia riappropriarsi di quel bellissimo ruolo che le compete e che sta alla base di una autorevole ricostruzione educativa sulla quale costruire il futuro dei nostri giovani. Un scuola che sappia potenziare al massimo la propria classe docente.
SCUOLA, FONTE DI CRESCITA UMANA
Chi guarda lontano, cercando di costruire una realtà umana sempre più adeguata ai tempi deve partire dalla scuola, l’unica istituzione capace di educare e formare le generazioni alle quali verrà affidato il futuro del nostro paese. Chi l’ha vissuta sa quanto sia amata, quanta importanza rivesta nella promozione di una società capace di rispondere alle aspirazioni del mondo giovanile e non solo. La scuola non è luogo dove si consumano frustrazioni di vario ordine e grado, non è prigione di stereotipi che ne limitano la capacità creativa ed esplorativa, ma fonte di condizioni di crescita umana, morale, culturale e sociale delle giovani generazioni. E’ istituzione che genera fiducia, benessere, ricchezza morale e intellettuale, capacità di vivere appieno l’esuberanza di una vita che si trasforma rapidamente e che richiede sempre nuove forme di comunicazione, nuovi ordini relazionali, nuove prospettive. I ragazzi vogliono essere protagonisti di questa parte fondamentale della loro vita, vogliono vivere senza reticenze e senza falsi allarmismi la loro naturalissima vocazione al fare, all’agire, allo sviluppo critico, al dialogo, al confronto, alla gestione di quella libertà che diventerà il perno attorno al quale costruiranno la loro esistenza. Via le paure quindi, il nozionismo manieristico incapace di ravvivare le ricchezze che ciascuna persona porta nella propria mente e nel proprio cuore. Scuola che non teme di essere seriamente se stessa in ogni momento, capace di saper cogliere e accompagnare con entusiasmo le ansie, le incertezze, le curiosità, la voglia di crescere di giovani che si guardano attorno per prendere le misure con quella realtà della quale sono parte integrante. Scuola che sappia guardare al mondo esterno, alle sue difficoltà e alle sue bellezze, dove l’osservazione diventa crescita, promozione, recupero e padronanza, dove le domande ricevono risposte chiare e concrete, dove s’impara a convivere con quel tutto che circonda la nostra esistenza. Scuola di vita che respira il respiro del mondo, che promuove incontri e confronti con persone, personaggi, uomini e donne che vivono in prima persona il mondo e le sue sfumature. Scuola paladina di una cultura che conserva per rilanciare, che ricerca l’universalità del bene per realizzarlo, che sa essere locale e globale, che si candida a diventare centro propulsore di una realtà che taglia le distanze e promuove l’universalità dei messaggi, mettendo in campo il bello che incontriamo ogni giorno. E’ tra i banchi che si sviluppa il futuro del mondo, è nella capacità di riconoscersi esseri umani oltre i colori della pelle che si compie il sogno di una globalità rispettosa e propedeutica, è nella certezza di essere persone sempre che si evolvono più coscienti e consapevoli. Scuola dove le materie letterarie corrono di pari passo con la musica, l’arte, il teatro, il cinema, la pittura, il canto, la scultura, lo sport, l’educazione civica, le lingue straniere, la poesia, la matematica, la logica e la fantasia, la psicologia e la filosofia, dove ogni conquista è il frutto di un incoraggiamento al lavoro, alla bellezza della ricerca, alla novità di un sistema che riconosce a ciascuno il diritto alla dignità. Scuola itinerante che non ha paura a mettersi in gioco, salvaguardando quei valori che hanno la capacità di diventare strumenti di elevazione e di promozione di civiltà. Scuola che salvaguardi la naturale predisposizione alla gioia, la voglia di non fuggire mai, capace di rispondere alla richiesta di civiltà di ragazzi motivati dall’ansia di riconoscersi e imparare. Scuola di merito, dove il lavoro è fatica e premio, dove ciascuno è convinto che occorra dare sempre il massimo. In un mondo che condanna spesso i ragazzi a vivere in strutture incapaci di generare felicità, la scuola chiede di essere riconosciuta e amata per le sue qualità rigenerative, per la sua forza contributiva, per la sua capacità di generare amore e conoscenza. E’ in questa attesa di protagonismo responsabile che si candida a essere il volano di una società nuova, capace di saper rispondere in modo esauriente alle radicali trasformazioni educative del nuovo millennio.
LA SCUOLA, UNA COMUNITA’ IN DIVENIRE
Si ha la netta sensazione che la scuola sia un altro mondo, che non interessi più di tanto, se non quando diventa teatro di eventi esplosivi che richiamano l’attenzione mediatica, come il tristissimo fenomeno del bullismo o quello di genitori che picchiano insegnanti o quello di giovani alunni che minacciano o peggio ancora alzano le mani su insegnanti fragili e indifesi, lasciati in balia di disordini infernali. La scuola ha una profonda vocazione educativa, è il luogo in cui la società nasce, cresce e si sviluppa, aprendo le porte della consapevolezza etica, morale, sociale, civile e dove s’inizia a capire quali siano realmente i comportamenti da adottare per rendere più interessante e aperta la vita di relazione partendo dal valore della cultura, dalla sua capacità di modificare in meglio i comportamenti. Non tutte le opinioni concordano sulla valenza educativa della scuola, c’è infatti chi la vede e la pensa più come opportunità d’istruzione che non educativa in senso stretto, mentre c’è chi ritiene che le materie di studio abbiano una pluralità di risvolti che si legano sia alla conoscenza, alla formazione e che il tutto navighi sotto la stella dell’educazione. Mi è capitato spesso di leggere e commentare poesie e di aver colto gli aspetti educativi di una attività letteraria che si lega alla formazione di uno spirito attento alla sua vocazione espressiva, morale, sociale, politica e ambientale. Non c’è momento o attività culturale che non abbia una sua ricaduta sociale, che non riverberi nella capacità di creare nuovi contatti, proiezioni, pensieri o modi di essere. La scuola nella sua complessità e nella sua offerta copre l’anima del discente, del docente e quella della società in cui entrambi vivono e operano, in molti casi la mettono a nudo, ne scandiscono la ricerca, ne mettono a fuoco la tensione, ne ravvivano la proiezione, sviluppando parti di una cultura educativa che altrimenti rimarrebbe fuori dal circuito della ricchezza dell’essere umano e delle sue risorse. Nella scuola si compendia la propensione umana alla ricerca e alla conoscenza, c’è nel cammino scolastico il sale di una dimensione educativa che si esplica nella forza di una cultura aperta e solidale, capace di rinnovarsi e di rinnovare, di dettare nuove forme e nuovi contenuti, di approdare sempre a variabili formative di grande spessore umano. La scuola è sostanzialmente una comunità coesa, lo è nella misura in cui sa orientare con determinazione l’energia che porta dentro e quella con la quale viene a contatto. Il problema è che rimane spesso <a mezzo il guado>, non sa come partire e dove arrivare esattamente, si lascia condurre e fatica moltissimo a prendere in mano con decisione le redini di un rapporto educativo che è straordinariamente bello e suggestivo, ma che spesso non sa come uscire da un eccesso di sensibilità democratica, quella che se ben condivisa può essere argine alle mille incongruenze di un’ indisciplina diffusa. Orientare, responsabilizzare, far crescere il desiderio di imparare, di valutare, di studiare, sono aspirazioni sufficientemente propositive per creare un tipo di scuola che sappia dare risposte precise a un’umanità spesso in balia dell’incertezza, della voglia di sconfinare, di smaterializzare anche ciò che per anni ha retto il contrasto con varie forme di crisi esistenziale. Oggi la scuola avverte il peso di trasformazioni epocali, dove spesso non basta più definire e restringere il pensiero, bisogna lasciare che si tenda, che si liberi dai vincoli che lo hanno tenuto prigioniero nel tempo. La scuola ha il dovere di superare il suo confine tradizionale, di approdare a liti in cui lo scontro diventa confronto, capacità di cogliere e unire la pluralità di messaggi che s’irradiano nel panorama culturale nazionale e mondiale. Forse è finito il tempo del piccolo mondo antico, della siepe dell’infinito, della vena malinconica, della forza e della bellezza del sapere individuale e ne sta iniziando uno in cui si guarda con più interesse alla globalità delle risorse e della creatività, un’epoca in cui la scuola si deve aprire, deve riavviare un’identità applicativa molto più ampia e molto più attenta, capace di competere con i fermenti antropologici e umanitari di un mondo molto più ampio di quello che abbiamo conosciuto.
UNA SCUOLA DA RIVISITARE
Di scuola si è sempre parlato pochissimo, anche se in qualche caso si sono tentate riforme all’acqua di rosa, che hanno tolto o aggiunto, ma senza aver ben chiaro lo stato di necessità sociale di una nazione in cui la mummificazione del passato impediva di poter guardare bene in viso il presente e il futuro. In molti casi ha perso di vista la sua spinta educativa, l’idea di far uscire allo scoperto l’orgoglio e la fierezza di una cultura fatta apposta per sviluppare l’ampiezza sociale del senso critico, si è trovata di fronte il mondo e la necessità di stabilire un dialogo vero, serrato e profondo, un dialogo che permettesse agli esseri umani di testare sul campo la necessità di conoscersi meglio. Si è passati da un provincialismo classista a una concezione mondialista, dove il valore non era più solo appartenenza o proprietà, ma dove il tema fondamentale diventava conquista sociale del valore, capacità di educare gli animi all’interazione e all’integrazione, alla possibilità di creare ponti e di approfondire modi diversi di concepire e adattare la cultura a un sistema sociale radicalmente nuovo. Una cultura più fondata sulla mobilità, sul dinamismo intellettuale, sulla possibilità di fare esperienze sul campo, sulla necessità di un apprendimento linguistico che facilitasse i rapporti interpersonali tra le diverse parti del mondo. E’ sui grandi valori della cultura che si gioca il futuro delle società, è sulla collaborazione e sull’incontro che i rapporti si rafforzano e si stabilizzano, è sulla comprensione umana che si gioca il futuro delle nuove generazioni. La scuola è anche quella che fa capire che oltre i muri delle diversità esistono spazi di uguaglianza dentro i quali sarà forse possibile costruire quel mondo di cui tutti parlano, ma che resta per molti un orizzonte senza confini. Non una scuola chiusa e arroccata, privilegiata, ma una scuola aperta, dove l’attività fisica si sposi a quella mentale, dove il giudizio risenta di una forte umanità, permettendo ai giovani di scoprire i propri valori e le proprie tendenze, una scuola che sviluppi le proprie attitudini in ambienti idonei, che sappia riscoprire il senso della bellezza, della musica e dell’arte, che sappia far vivere sul campo tutte quelle emozioni che spesso restano stigmatizzate nei video digitali. Si tratta di riattivare il valore sociale di una comunità scolastica che si muove tra persone che stanno crescendo e che hanno bisogno di mettersi alla prova, di scoprire di che pasta sono fatte, di costruire anche solo una parte di quel mondo nel quale dovranno poi esercitare le loro attitudini. Si tratta di rifondare una scuola che sappia riconoscere i propri errori e che sappia lavorare seriamente per cercare di vitalizzare al massimo le risorse dell’essere umano, promuovendo una ricerca continua, un dinamismo passionale, la capacità di poter fare e costruire senza la paura di sbagliare, una scuola che non incuta paura, ma una grandissima voglia di fare e di fare con grande entusiasmo, fuori dai muri dell’omertà e di una costituzionalità in alcuni casi più formale che sostanziale. Forse la scuola va costruita insieme al tempo che corre e alle grandi trasformazioni umane, sociali e culturali che caratterizzano la storia recente e quella passata. Meno burocrazia amministrativa e più sostanzialità pratica, meno superficialità ideativa e più volontà costruttiva, superando quelle barriere che hanno impedito alla scuola di essere realmente quello che è, ricerca in perenne divenire, confronto e studio, sperimentazione e trasformazione, luogo dove le idee si confrontano per far crescere visioni più attente alla crescita e allo sviluppo dello spirito umano, alla sua capacità di dare corpo e sostanza a quel piccolo mondo che ci appartiene e dentro il quale dobbiamo continuamente trovare risorse ed equilibri. Chi ha vissuto la scuola sa quanto sia stata condizionata nelle sue parti più significative, quelle nelle quali la libertà assume un significato umano di grande spessore sociale, perché non esiste nulla di talmente immobile da non poter subire le giustificate trasformazioni di una intellettualità che si muove e armonizza, che bussa molto spesso alla porta per ricordarci che la conoscenza è molto più ampia e profonda di quanto non immaginiamo e di quanto sia importante attivare quel campo della ricerca, lasciato nella maggior parte dei casi in balia di un attivismo classista più rivolto all’interesse personale che a una sostanziale apertura mentale di uomini e donne alla ricerca di una dimensione umana, sociale e morale da pensare e da vivere senza l’assillo di ingiunzioni impositive, scaturite da una società più impegnata a difendere se stessa, che a intraprendere un solidale cammino di matura libertà individuale e collettiva. Una scuola dunque onnicomprensiva, molto ben inserita nel contesto sociale, capace di esserne parte attiva e innovativa, capace di suggerire e consigliare, di sedersi al tavolo della sollecitazione civile aiutandone la diffusione e lo sviluppo. Una scuola che punti decisamente su una visione di mondo aperta sui grandi orizzonti e sulle grandi culture, pronta a fungere da supporto alle aspettative umane, capace quindi di anticiparle e di farle conoscere, una scuola in costante divenire, capace di cambiare e di inventare, di essere al passo coi tempi e mai serva di nessuno, in particolare di quelle pastoie burocratiche che ne hanno limitato nel tempo lo slancio ideativo e operativo, una scuola che sappia essere positivista e idealista, liberale e umanamente capace di interpretare le esigenze degli esseri umani, senza sottoporli necessariamente a inutili imposizioni, ma attenta stimolatrice di nuove armonie tra necessità pratiche e spirituali, tra ciò che è inevitabile e ciò che invece non lo è. Una scuola che non muore di giudizi o di pregiudizi, ma che è sempre pronta a mettersi in discussione, cosciente della propria missione educativa, al centro della quale c’è sempre lui, quell’essere umano che si guarda attorno per godere di quella generosa ricchezza che ha ricevuto in dono da chi lo ha voluto protagonista della vita umana e delle sue ricchezze.
LA SCUOLA E LA CULTURA SPORTIVA
Quale contributo può offrire l’esperienza scolastica alla cultura sportiva? Un grosso contributo, se tra scuola e sport si crea una relazione stabile, significativa e autorevole, fondata sul riconoscimento giuridico/istituzionale dell’attività motoria e dello sport nello sviluppo armonico della personalità. La cultura sportiva è innanzitutto cultura di vita. Dunque tra le due non c’è distinzione, differenza, contrapposizione o antagonismo, ma identificazione, complementarietà e integrazione. La nostra Costituzione è molto esplicita, lo è al punto che pur non facendo nessun riferimento diretto all’attività motoria e allo sport, enuncia norme che ne legittimano l’esistenza. Lo fa con la prudenza di chi uscendo da una visione muscolare vuole ricomporre il valore di un esercizio non imposto, ma condiviso, scelto, nell’ambito di una libertà che nasce e cresce nella sua naturale convergenza all’associazionismo, all’ aggregazione, alla possibilità di esprimere nel modo più ampio e profondo il senso di una democrazia che cerca nel “nuovo ordine” costituzionale il desiderio di ricompattare i valori fondamentali dell’uomo e del cittadino La cultura sportiva è soprattutto cultura dell’armonia, della capacità di saper unire la conoscenza di sé a quella degli altri, a quella del mondo che ci ruota attorno, in una posizione di scelta libera e responsabile. Solo chi si conosce, chi ha una chiara percezione del proprio corpo, del proprio livello emotivo e affettivo sa predisporsi ad una lineare dialettica umana, sa costruire modelli affidabili e credibili di democrazia esistenziale. E’ in questa prospettiva che si fa strada quella cultura dello sport che mira a restituire all’uomo ciò che l’autoritarismo, la guerra, il razzismo, la violenza e il consumismo le hanno tolto. La scuola può essere il volano della cultura sportiva, ma deve essere messa nella condizione di saper e di poter fruire di tutto ciò di cui la cultura sportiva è portatrice. Per troppo tempo, infatti, è mancata una apertura vera e profonda allo sport, capace di fornire strumenti necessari allo sviluppo di una personalità armonica, indipendente, sicura, capace di inserirsi nel cuore della vita. Viviamo l’epoca di una cultura che ricerca nuove dimensioni e nuove collocazioni. La scuola può fare moltissimo per la cultura sportiva, ma deve adottare una diversa visione dell’attività motoria e dello sport, deve abbandonare ogni forma di frustrazione e dedicarsi alla capacità dell’essere umano di saper rispondere adeguatamente alle richieste soggettive e oggettive del nuovo mondo. Se non riconosciamo la nascita di un nuovo mondo, non saremo in grado di sviluppare forme di conoscenza adeguate. E’ in questa fase difficile che occorre riscoprire lo spirito dell’Olimpiade, la capacità di saper corrispondere sul piano umano e sportivo la “teologia” del villaggio olimpico, dove ciò che conta è il sistema delle relazioni umane, la voglia di conoscersi, di dialogare, di stabilire contatti, di ricreare in grande il sistema della famiglia umana, dove la forza sta nella capacità di saper andare incontro all’altro, in un rapporto consapevole di diritti e di doveri, di competenze e di volontà, di conoscenza e di rispetto. Vivere la cultura sportiva significa vivere concretamente la bellezza di valori, talenti e risorse che promuovono, consolidano e potenziano l’evoluzione umana, la sua capacità di affrontare con sicurezza i rapporti e le relazioni sociali. La scuola può davvero stimolare la cultura sportiva, ma deve poter essere riconosciuta come realtà dinamica, variabile, capace di saper assemblare valori e risorse, di rinnovarsi, di cogliere le opportunità di una società che muta rapidamente. Una scuola che si apre a un concetto di cultura più ampio, dove le risorse rivestono un ruolo determinante nella formazione di una personalità armonica ed equilibrata, capace di consapevolezza e di coscienza. In qualche caso varrebbe la pena soffermarsi sul significato della parola cultura, spesso usata come strumento discriminatorio, come forma elitaria del sapere umano, come strumento di potere, di esercizio di dominanza e di manipolazione. La scuola ha proprio il compito di creare le basi per una civiltà della crescita consapevole, alla quale la cultura sportiva fornisce un contributo essenziale di comprensione e di conoscenza. La scuola è il luogo in cui le discipline crescono, si liberano da tutte le forme pregiudiziali che le caratterizzano. La cultura sportiva s’incarna nelle vite degli atleti che l’hanno creata, vissuta e promossa. Diventa protagonista concreta della storia personale delle persone e della comunità, perché ne vive gli umori e le aspirazioni. Si tratta di creare una scuola che stimoli il dinamismo operativo, la voglia di fare, di costruire, di vivere concretamente la propria identità, di essere protagonisti interattivi del sapere, combattendo la sedentarietà scolastica che ha caratterizzato la scuola del passato. Si tratta di rompere il muro della paura, perché la paura genera immobilismo fisico e mentale, incapacità di sviluppare forme evolute di conoscenza di sé e del prossimo. Scuola della consapevolezza, della stima e dell’apprezzamento, dell’incoraggiamento a intraprendere, scuola della concretezza e della fantasia, dove i talenti sviluppano sempre nuove forme di conoscenza. Scuola della dignità, dove anche la sconfitta diventa passaggio obbligato di crescita e di sviluppo fisico e mentale, dove ciascuno trova spazio e tempo per autodeterminarsi come persona e come cittadino. Scuola dell’integrazione umana, che sa raccogliere e orientare le aspirazioni, il senso della fratellanza, della reciprocità, della condivisione e della critica costruttiva che ci permette di migliorare sempre un pochino di più la nostra condizione umana. Scuola che educa a conoscersi, a rispettarsi, a riflettere sulle ricchezze del mondo, sulla capacità di godere e apprezzare le cose belle della vita. Una scuola che sa mettersi in discussione, che sa riconoscere le proprie inadempienze, che sprona l’essere umano a pensare, a creare, a diventare protagonista della sua vita. Scuola della comprensione e della tolleranza, dove le discriminazioni diventano ricchezza individuale e collettiva e dove le diversità sono solo momenti di rafforzamento dell’identità di ognuno. Scuola dove il particolare e l’universale s’incontrano in un clima di crescita comune.
LA BUONA SCUOLA
Non è facile amarla da subito, perché è esigente e spesso intransigente. Non solo propone, ma impone. Insegna il rispetto, l’onestà, l’amore per la cultura, la fede nella scienza, insegna a diventare grandi soprattutto nello spirito, aspettando che la conoscenza la illumini, le insegni ad apprezzare la bellezza in tutte le sue forme. Nella scuola abbiamo imparato a conoscere qualcosa di più di noi stessi e del prossimo, quel vicino con cui abbiamo condiviso lunghe ore di una mattinata o di un pomeriggio. A scuola abbiamo imparato a guardarci dentro, a scoprire chi siamo, che tipo di rapporto abbiamo con il mondo che ci circonda, osservandolo con attenzione e studiandolo nelle sue più disparate sfumature. Abbiamo imparato a stabilire rapporti, a dialogare e a competere positivamente con altre persone, a scavare nelle nostre perplessità e nei nostri dubbi per renderli più accessibili, meno misteriosi, abbiamo educato il nostro modo di essere, lasciandoci guidare dalla mano e dal cuore esperto di maestri e maestre, professori e professoresse con i quali abbiamo condiviso una parte fondamentale della nostra vita. La scuola non è mai stata perfetta, ha commesso i suoi errori. La sua umanità si è lasciata a tratti sorprendere dalla forza intrigante di una natura umana dotata spesso di contraddittorie forme caratteriali, ha pagato il prezzo di troppa sicurezza, spesso non è stata compresa nelle sue aspirazioni primarie, quelle che l’avrebbero resa meno severa, meno legata a schemi, stereotipi e archetipi, una scuola più scuola dunque, più attenta alla vita, meno legata all’idea che al suono di una campanella si dovesse scappare via lontano, quasi si uscisse da una prigione. Forse una scuola meno prigione e più ragione, meno personale e più societaria, più attenta all’evoluzione del mondo, pronta a coglierne il dinamismo, a proiettarlo in una visione, a riempirlo di nuova umanità, di certezze da coltivare, d’ immaginazione, una scuola di umori, di invenzioni e di fantasie, di emozioni e di vissuti, creati, cercati e proposti, una scuola della verità e di un sano pragmatismo, capace di essere guida, di aprire prospettive, di far crescere una gioventù più dentro la storia, più pronta all’inserimento e alla programmazione, più cosciente della propria natura e delle responsabilità sociali, una scuola più vicina alla storia, soprattutto quella che ci accompagna giorno dopo giorno tra alterne vicende. Quando la scuola è buona? Forse quando sa conciliare l’aspirazione umana con le cose di questo mondo, lasciando aperta una via che conduca ancora più lontano, dove il confronto si anima e si determina fuori dai conflitti sociali, in un rapporto di empatia, confermando l’idea che il giudizio non sia mai forma esaustiva di verità. La scuola buona è cammino cosciente alla ricerca di identità, ma è anche visione condivisa con quel mondo che le ruota attorno e con il quale si trova spesso a doversi interfacciare. Una scuola capace di capire e di interpretare, di vedere oltre la siepe, di coltivare la presunzione di poter diventare sempre l’ago della bilancia di una crescita umana e sociale che riguarda tutti, una scuola che unisca e che animi, che consenta di ricercare, che apra le porte di un infinito in cui si rendano necessari punti fermi per poter continuare. Una società cambia se sa coltivare la scuola, se le concede di essere ciò che vorrebbe veramente essere, stimolatrice di curiosità, di certezze, di volontà, di aspirazioni capaci di far amare ogni giorno di più il grande dono dell’intelligenza. A volte s’impara ad amare la scuola quando si è avanti negli anni, quando guardando indietro ci si accorge di quanto sia stato utile quel tempo in cui un grazie e un prego, un buongiorno e un arrivederci ricompattavano le volontà, il desiderio di diventare grandi e di operare , di essere in linea con le attese del mondo. Nella scuola non c’è mai stato razzismo, perché la scuola ha insegnato ad amare, a lavorare, a stare insieme, a condividere, non ha mai innalzato steccati, non ha mai coltivato la vendetta o il rancore, ha sempre cercato di aprire la via alla scoperta di una cultura ampia, sociale e solidale, in cui ciascuno si potesse riconoscere. La scuola è davvero buona quando a distanza di anni la senti ancora cucita addosso come l’abito della domenica, per questo vorresti frequentarla di nuovo, parlare con quell’insegnante che ti ha fatto un po’ da madre e un po’ da padre, facendoti capire che la vita non è uno scherzo e che bisogna imparare a riconoscerla e ad amarla un pochino sempre di più. E’ in questo familiare tepore affettivo che prende forma il valore individuale e sociale della scuola, la sua grandissima capacità di includere e di aprire l’animo alla straordinaria bellezza del mondo.
CHE TIPO DI SCUOLA?
La scuola italiana ha assolutamente bisogno di rinnovarsi, per farlo deve mettersi davanti allo specchio e visualizzare con spirito critico la propria storia, non tralasciando nulla. Lo deve fare con grande umiltà, animata dalla volontà di essere all’altezza della situazione. Chi l’ha vissuta come alunno prima e come insegnante poi sa perfettamente quanta e quale ricchezza ci sia in quella stupenda relazione che lega le persone che lavorano nella scuola, per la scuola. Si tratta di uomini e donne che interagiscono crescendo insieme, portando alla luce il DNA dell’essere umano, la sua bellezza, la sua vocazione introspettiva e cognitiva, la sua volontà di aprirsi alla luce del sole. La scuola è il momento più esaltante del cammino di una persona, un cammino dove ciascuno impara a conoscere e a conoscersi, dove la scoperta diventa entusiasmo quotidiano. Nulla della cultura scolastica è statico, tutto è in divenire, ogni momento è espressione di una volontà che va oltre il gioco delle investiture, perché nella vita non esiste nulla che non interagisca sistematicamente con la macchina del tempo. Tutti i fenomeni che balzano alla ribalta della cronaca, come le varie forme di bullismo che animano quotidianamente la televisione e i giornali, sono il sintomo di una scuola che diventa antagonista, oppositiva, che non compie il salto di qualità necessario per stillare l’energia positiva, quella che ha necessità di essere scoperta, orientata, di trovare spazio e tempo per la crescita. In molti casi la scuola è vecchia, superata nei metodi, nella forma e nei contenuti, non è in grado di generare entusiasmo. Se la scuola non genera entusiasmo, non va incontro alle esigenze del genere umano, rimane vincolata a varie forme di radicalismo dottrinale, allora diviene inesorabilmente luogo di espiazione e lascia spazio a frustrazioni di vario ordine e natura. La scuola è innanzitutto luogo, prima ancora di essere momento, è dove i giovani s’incontrano per stabilire nuove forme di socialità, dove la relazione genera conoscenza e dove l’essere umano impara a riconoscere lo spazio e il tempo della vita. Nella sua lunga storia la scuola ha trovato ospitalità in fatiscenti strutture conventuali, in costruzioni irriverenti dello spirito giovanile e in molti casi ha creato la sindrome claustrale, dominata da ombre e penombre, da varie forme di desiderio di evasione. Molti giovani si sono sentiti chiusi, hanno respirato l’impossibilità di vivere la libertà come strumento di appropriazione e di creazione. La scuola ha bisogno di aria, di contatto, di attualità, di voglia di vivere, di luoghi che permettano alla natura umana di attivare le sue dinamiche, la voglia di essere protagonista in assoluto della sua crescita. Scuola non è costrizione, ma assunzione quotidiana di personalità, di relazione con il mondo, con le cose e con le persone. Scuola non è imposizione ma ricerca e la ricerca per realizzarsi ha bisogno di luoghi dove crescere e svilupparsi in un rapporto sintonico e armonico con la realtà. Dunque occorre guardare avanti con uno spirito nuovo, più adatto alla crescita del cittadino, più in sintonia con lo spirito evolutivo dell’educazione, uscendo da vincoli che in molti casi hanno il sapore della omologazione. Una scuola nuova deve diventare soprattutto la città dell’uomo, senza mai diventare coercitiva e oppositiva, senza mai reprimere quel volo della fantasia che muove la cultura verso nuovi orizzonti.
IL POTERE NELLA SCUOLA?
Per troppo tempo il potere è stato quello della nota sul registro, delle punizioni corporali, delle sospensioni, dell’impossibilità di ottenere valutazioni ragionate. Il problema non è quale potere debba avere il preside, ma come il potere del preside permetta all’istituzione di essere garante di un ordine educativo capace di corrispondere alle aspirazioni individuali e collettive. Il preside, proprio per la sua investitura istituzionale, dovrebbe già essere figura di riferimento capace di realizzare e armonizzare un efficace ordine organizzativo e relazionale. Il problema non è essere bravissimi manager, ma saper condurre con saggezza e buon senso il sistema scuola. L’esperienza insegna che bravi dirigenti e bravi insegnanti hanno saputo sviluppare forme positive di armonizzazione scolastica, al contrario dirigenti e insegnanti incapaci hanno creato drammi e tragedie difficilmente sanabili. La riforma deve andare verso tutti, presidi, insegnanti, personale non docente e alunni, rafforzando la vocazione alla mission scolastica. Chi sceglie di fare l’insegnante dovrebbe già avere le carte in regola per esercitare al meglio il potere di cui è garante, così come il preside e il personale non docente. Dunque il problema è a monte. L’autorità <è> in chi ha scelto di esercitarla e in chi la conferma con la giusta autorevolezza. La scuola funziona se la società in cui è inserita funziona, se la famiglia, la società civile e lo stato danno garanzie di legittimità costituzionale. E’ solo una questione di senso di responsabilità da parte di tutti.
LA SCUOLA? UNA MERAVIGLIOSA PALESTRA DI APPRENDIMENTO E DI EDUCAZIONE, MA BISOGNA FARLA AMARE
Nei paesi e nelle città ci sono luoghi che hanno il sapore di un vero e proprio miracolo d’amore, espressione di quella sapienza umana che si sposa spesso a forme d’intelligenza superiore, quella che inducono alla meraviglia e allo stupore, che lasciano spesso il tempo a una meditazione profonda sulla nostra essenza, su chi siamo e cosa facciamo, cercando spesso di stabilire un filo diretto tra quel mondo materiale in cui siamo costituzionalmente costretti e quello spirituale che ci spinge a cercare verità altrove, dove spesso il piacere più grande sia anche quello di immaginare, di sognare, di lasciare libero sfogo al sentimento e alla certezza che qualcosa di più grande e di più perfetto possa davvero esistere. Il primo grande impatto di natura sociale è dunque la scuola. E’ lì che abbiamo iniziato a capire che la cultura non è solo una forma di sostentamento individuale, cibo quotidiano della nostra anima, ma soprattutto forma bellissima di esplorazione comunitaria, qualcosa di talmente straordinario che supera ogni forma di barriera o di pressione, qualcosa che mette tutti sullo stesso piano e che concede quindi alla libertà personale di diventare un bene ancora più grande, che si realizza con il contributo di tutti. Quando la scuola diventa realmente uno spaccato vero della società? Quando la sa vivere, interpretare, rappresentare, quando la relazione supera le barriere dell’individualismo, per diventare relazione corresponsabile. A scuola la cultura si forma nella sua accezione più ampia, si confronta direttamente, si guarda attorno, cerca di cogliere, di porgere e di supportare, si lascia accarezzare, leggere, approfondire, guidare, orientare, si mette in relazione con il pensiero e la fisicità dell’altro, si confronta, ricerca, scopre, esplora, non bada tanto al valore estetico dell’apprendimento, bensì alla sua risultanza, a ciò che esprime e a ciò che può costruire, imparando che il bene non è solo un problema di natura individuale, ma assioma in cui confluiscono nuovi pensieri e nuovi stupori a cui tutti indistintamente concorrono. A scuola tutto viene messo in movimento, il cuore, l’intelligenza, l’anima, la voce, il comportamento, la capacità di cogliere quello che altri non sanno cogliere, perché la forza del sapere sta proprio in questo, nella sua capacità di diventare senso, aggregazione, socialità, consapevolezza comune, attenzione, voglia di fare e costruire, di dare un volto alla ricchezza interiore che ogni persona scopre strada facendo, grazie alla sapiente guida del maestro o della maestra. La più grande risorsa? Diventare maestri di se stessi includendo chi ci sta attorno, vivendo il sapere come servizio alla comunità, sentendo la necessità di ampliare e di costruire, di abbellire e migliorare quel mondo che con cui abbiamo quotidianamente la possibilità di interagire, per migliorarci. Oggi si parla moltissimo di scuola, se ne parla perché un virus ha tentato di disattivarla nelle sue forme classiche, spogliandola della sua reciprocità, del suo essere comunicazione umana, creando unione e consapevolezza comune. E’ proprio quando la società va in crisi che la scuola risorge, dimostrando che la forza del sistema comunitario della cultura supera di gran lunga i disastri di un mondo che si ribella, con la pretesa di imporre la propria volontà. Ma quale scuola è più appetibile? Quale è più capace di rispondere agl’interrogativi di una mente in crescita? Di una società che cerca nell’aggregazione la fonte della propria identità? Quale scuola sa essere base di decollo per un radicale e profondo rinnovamento sociale? Può la scuola da sola cambiare il volto di una società, restituendole quell’entusiasmo e quella volontà senza le quali rischierebbe di entrare in una crisi senza sbocchi? Mentre il virus contagia e annienta e la lotta assume contorni del tutto simili a quelli di una guerra, torna a farsi sentire la necessità di aprire le porte delle scuole, di stimolare la volontà comune di mettere al centro l’apprendimento, la conoscenza, la voglia di creare relazione, rapporto, connessione. Non basta tutta la tecnologia del mondo a sostituire la socialità, quella vera, quella che nasce da un confronto sistematico, in cui la parola è spesso figlia di una riflessione comune, di una ricerca, della voglia di stare insieme, di condividere, di conoscersi, di parlare, di scrivere, di sorridere, di dimostrare che il mondo va esplorato e conosciuto, va vissuto con chi sa orientare le energie, chi sa creare gli entusiasmi, chi sa sviluppare il desiderio di imparare e di andare oltre i muri dell’individualismo e quelli dell’egoismo. Improvvisamente la scuola torna a essere il centro di una grande rivoluzione umana e culturale, che sappia cogliere le aspirazioni di un mondo stanco e demotivato. Chiamare in causa la scuola oggi significa prendere atto di quanto sia importante volgere lo sguardo verso quei giovani che rappresentano il futuro del mondo, un futuro che tende a convergere, a far prevalere i valori profondi della convivenza civile, quelli che annullano le barriere e favoriscono una presa d’atto comune su ciò che veramente conta nella definizione di una storia umana capace di unire e di sollecitare le sue parti nobili, come il rispetto dell’ambiente, il rispetto della vita, la lotta alla povertà, la fratellanza degli stati, la capacità di unire le intelligenze e di metterle al servizio del pianeta e delle sue necessità. La scuola rimane il punto di partenza di una grande rivoluzione, ma proprio per questo ha bisogno di essere capita e valorizzata, ha bisogno di essere aiutata a uscire da quell’anonimato nella quale è stata relegata nel corso degli anni, come se non avesse bisogno di una costante rianimazione, di un dinamismo solidale. Per troppo tempo la politica l’ha sottovalutata, lasciandola in balia di un pressapochismo drammatico. Valorizzare la scuola non è solo un problema di tecnicismi o di rivoluzione telematica, è soprattutto un problema di natura educativa, dove ciò che veramente conta è prima di tutto l’essere umano, le sue necessità, i suoi problemi, il suo desiderio di sentirsi amato e protetto, valorizzato e stimolato. Se la pandemia avrà stimolato il pensiero positivo della politica allora qualcosa di buono e di positivo si potrà ottenere, ma il banco di prova è proprio ora, è questo il momento in cui occorre aprire i giovani alla speranza, dimostrando loro che il mondo è di tutti e che bisogna saperlo ravvivare sempre, soprattutto quando è in difficoltà e ha bisogno di sostegno. E’ in questa direzione che il maestro si deve muovere, sapendo di poter contare su una società che lo attiva e lo sostiene, mettendogli a disposizione tutto quello di cui ha bisogno.
IL MONDO DELLA SCUOLA E’ MOLTO PIU’ AMPIO
Abbiamo spesso giudicato la scuola come una fortezza, luogo dove l’ignoranza si trasforma in sapere, dove l’essere umano cresce e matura lontano dagli schiamazzi di una società convulsa. L’abbiamo strenuamente protetta, coltivata, frequentata, ma sempre come se si trattasse di un altro pianeta, dove in molti casi si insegna quello che la società civile dimentica, presa com’è dalle sue ambizioni, dalle sue inibizioni e dalle sue presunzioni. Nell’universo della vita la scuola occupa un posto di grande rilievo, ma chissà perché non è sempre amata e desiderata come dovrebbe, di solito viene guardata con sospetto, persino con un pizzico di paura, come se la conoscenza fosse figlia di una violenza, come se alla scuola mancassero quel cuore materno e quell’autorità paterna che animano la coesione sociale della famiglia. In molti casi la scuola è rifiutata, non è compresa, diventa antagonista, si erige a spirito giudicante di una società troppo lontana e individualista per entrare di diritto nella bellissima complessità della crescita umana. Nell’autorevolezza del sapere si consuma l’umanità docente, quella parte che, della scuola, costituisce l’anima pensante. L’insegnante si trova e continua a trovarsi spesso solo, immerso nelle contraddizioni di un mondo dominato dalle mille ambiguità di un costume retrivo, impreparato, incapace di cogliere al volo l’energia trasformante, il bisogno d’innovazione, di libertà, di diritto, la voglia di immergersi nella vita per capirla meglio, per accompagnarla e per essere accompagnati, in un cammino di reciproca comprensione. La scuola deve spesso soccombere dinnanzi a un fronte critico senza idee chiare, vittima spesso di un irrefrenabile dinamismo sociale, umano, morale, economico, societario. La scuola è rimasta forse prigioniera della sua storia, di un passato remoto che non ha saputo rendersi prossimo, uscendo una volta per tutte da varie forme di approssimazione. Si è lavorato troppo poco sulla forza emancipativa della persona, sulla sua capacità di essere pensiero e azione, apprendimento e applicazione, sulla necessità di uscire definitivamente da schemi troppo vincolanti per permettere al sapere di farsi verità, di dimostrare sul campo quanto l’intelletto possa armoniosamente convivere con quel mondo che lo circonda e che lo interroga con sistemica perseveranza per sapere sempre qualcosa di più della sua identità, dei suoi limiti e delle sue risorse. Amiamo la scuola, ma la vorremmo diversa, più attenta, aperta, dialogante, più inclusiva, più capace di cogliere e anticipare, di correre in parallelo con quel mondo che la circonda, una scuola sempre più capace di trasformare le straordinarie ricchezze dell’animo umano e della sua universalità, una scuola che sa farsi capire anche da chi parla una lingua diversa, che sa farsi protagonista di una ricerca costante, collaborando attivamente con quel mondo che la circonda e di cui diventa figlia, dopo essere stata madre. La scuola è un mondo molto più ampio e appetibile di quello che abbiamo conosciuto, è un concerto quotidiano di anima e di energia, di volontà e di curiosità, di gioia e di soddisfazione, di generosità e di applicazione, basta saperla far uscire allo scoperto senza precluderle la possibilità di diventare protagonista di una storia che si costruisce giorno per giorno, una storia in cui l’umanità dimostra tutta la sua ricchezza e la sua animosità, la sua voglia di unire la bellezza del pensiero spirituale a quella di un pensiero più fisico, più attivo, capace di far ritrovare quel senso della bellezza che spesso sfugge quando non viene coltivato con la dovuta passione.
NELLA SCUOLA, L’AMORE CONTA
“Se un docente non ama i giovani, non diventerà mai un vero insegnante”, me lo diceva un vecchio professore. Dunque l’amore è la chiave di lettura dell’animo umano. Durante la mia professione ho imparato a mia spese che, prima di spiegare Leopardi o Manzoni, occorreva creare una disponibilità fisica e mentale, quell’armonia conciliativa che favorisce il passaggio emotivo della comunicazione. Ho conosciuto docenti molto preparati, che non riuscivano a insegnare. Il loro vero problema era il rapporto con i ragazzi, l’incapacità di stabilire il contatto, di accendere la luce. L’esperienza vissuta con i giovani di un collegio mi ha fatto capire molte cose, ma ho imparato strada facendo, mettendomi spesso in discussione e cercando dentro di me le risposte adeguate. Scavare, significa compiere un percorso di autoanalisi, rivisitarsi, perché i segreti sono dentro di noi. La mia esperienza personale è stata contrassegnata da episodi che sono diventati gl’ indicatori di tutta la mia attività. I docenti, in qualche caso, si limitano a un giudizio fondato sulla temporaneità di un’interrogazione o di una valutazione aritmetica, magari dettata in parte dall’inquietudine o da un impulso temporaneo. A volte si pensa che i giovani insegnanti siano i meno attrezzati, la verità è che ci sono docenti che non cambiano, neppure dopo trent’anni d’insegnamento. Ho conosciuto colleghi che distinguevano la scuola in bravi e cattivi, in intelligenti e “cretini”, in educati e maleducati, limitando il loro intervento a un freddo passaggio di nozioni, di giudizi e di sanzioni. Ho conosciuto docenti bravi e bravissimi e altri che si nascondevano dietro esacerbati formalismi, togliendosi di torno gli alunni difficili, colpevoli di impedire la loro cattedratica esibizione. Credo che l’amore a tutto campo sia la chiave che permetta di conoscere e di capire l’animo umano, favorendo quel passaggio di conoscenze che definisce e alimenta i rapporti interpersonali, soprattutto a scuola.
OGGI TUTTI SI LEGANO ALLA SCUOLA, MA PRIMA?
Pensare alla scuola significa andare alle origini del sistema educativo del nostro paese, rimettendo al centro la famiglia con i suoi bisogni, le sue necessità, le sue aspirazioni e le sue difficoltà. In questi anni, molto prima del Covid, siamo stati spettatori di un’assoluta mancanza di attenzione nei confronti della scuola, ci siamo resi conto di quanto l’attenzione dello Stato in questa direzione fosse labile e in alcuni casi addirittura assente. Abbiamo assistito impotenti ai crolli di intere strutture scolastiche e alla morte e al ferimento di numerosi alunni, abbiamo assistito all’uso improprio delle strutture scolastiche, alla loro inadeguatezza, abbiamo urlato la nostra rabbia, abbiamo scritto, ci siamo lamentati, ma non siamo riusciti a scuotere lo studiato torpore del potere. Siamo stati tutti quanti vittime di una politica che ha pensato più a se stessa e pochissimo agli altri, soprattutto a quei giovani che della società e dello Stato sono la parte nobile, quella che ha bisogno di vivere una dimensione educativa eccellente per poter essere testimone di valori fondamentali come il senso di responsabilità, il rispetto, l’onestà, l’attenzione, la collaborazione, la conoscenza come fonte di impegno e spirito di sacrificio, come ricerca costante di verità. Ci siamo lasciati irretire da chi non ha pensato a rinnovare le strutture scolastiche, da chi ha pensato molto di più alla partita elettorale che a quella di civiltà. Scuole vecchie dunque, fatiscenti, vecchi casermoni mai rinnovati, scuole prive di verde, di infrastrutture, con scarsissimi servizi igienici, scuole prestate al consumo di gente interessata, scuole scolorite, senza palestre decenti, scuole con crepe evidenti, scuole piazzate lungo una strada con evidenti segni di problemi acustici, scuole con aule anguste, prive di rispetto igienico e sanitario, scuole raffazzonate, rimesse in campo giusto per evitare di rimetterci la faccia, scuole senza aule adeguate per il tempo pieno e senza il materiale necessario per realizzare un tipo di cultura e di educazione più adeguata ai tempi, più aderente alle richieste di un mondo del lavoro in repentino cambiamento. Scuole che non hanno pensato che gli alunni non sono topi da tenere in gabbia, ma esseri umani che hanno un estremo bisogno di respirare a pieni polmoni, di fare movimento, di poter esprimere la propria energia in un ambiente adeguato, dove tranquillità e benessere vanno di pari passo con una mirata attività sportiva e con strutture capaci di supportare l’energia giovanile, mettendo a disposizione tutto quello che è necessario per fornire un taglio educativo adeguato alle loro necessità. Mentre il Covid impazza e sollecita cambiamenti strutturali radicali, il mondo si sveglia e si rende conto che le scuole italiane hanno un sacco di problemi di tutti i tipi. Improvvisamente ci si rende conto che i banchi sono vecchi e superati, che le aule devono essere strutturate secondo nuovi criteri di disposizione ambientale, che in tutti questi anni ci si è dimenticati della scuola, dei suoi bisogni e delle sue necessità, che gli edifici sono inadeguati e inefficienti, con pericoli evidenti, ci siamo dimenticati che gli spazi sono fondamentali e che i ragazzi hanno bisogno di trovare il giusto rapporto con l’ambiente in cui devono vivere gran parte della loro giornata. Sembra quasi che il Covid abbia preso le difese dei giovani, mettendo sul tappeto un’incuria che durava ormai da anni. E’ come se il mondo avesse preso all’improvviso coscienza di avere dei doveri molto precisi e che la Costituzione non fosse un giocattolo per esibizioni interessate, ma un ordine di doveri e di diritti da osservare e da mettere in pratica. Le leggi non servono se restano carta straccia, hanno bisogno di essere imparate, capite, interpretate e rispettate, hanno soprattutto bisogno di uomini e donne che le sappiano applicare prima a se stessi perché diventino insegnamento per gli altri. Chi ha insegnato nelle nostre scuole sa quanta negligenza e quanto oscurantismo abbiano fatto passare in second’ordine la cultura educativa, quella vera, quella che ha bisogno di incarnarsi, di diventare sistema per cambiare davvero le persone e la società. Chi è stato per molto tempo nella scuola sa quanto poco sostegno abbiano avuto i ragazzi disabili, con inserimenti instabili, con insegnanti in alcuni casi incerti sul da farsi, con problemi di relazione con chi non era preparato a sostenere un rapporto paritario, trovandosi anche nell’impossibilità di poter accedere ai piani superiori, di poter stabilire un rapporto collaborativo con una realtà scolastica non abituata a una comunicazione fondata più sull’umanità dei rapporti che sul giudizio grammaticale. La scuola ha dunque bisogno di una ristrutturazione profonda, che parta dalle fondamenta, ha bisogno di essere ripensata nella sua identità muraria, nella sua collocazione ambientale, ha bisogno di giovarsi del rispetto per l’essere umano, ha bisogno di avere spazi adeguati, ha bisogno di molto verde, di aree dentro le quali sviluppare un’adeguata attività fisica nella pace e nel silenzio, lontano dai rumori assordanti che ne corrompono la tranquillità e la bellezza, deve diventare un luogo amato e non un luogo da cui fuggire, deve avere tutto quello che è necessario per far diventare grandi le persone in un sistema educativo sicuro, adatto, capace di generare pensieri e riflessioni, associando l’attività culturale a quella fisica e garantendo spazi di libertà cosciente, capace di far crescere l’identità personale e quella comunitaria. La scuola è un preziosissimo luogo di crescita che ha il compito di aiutare i giovani a trovare la via di una ricca maturità personale, ma perché ciò avvenga ha bisogno di un esteso apparato amministrativo che la valorizzi, che la ripensi, che la metta in condizione di essere veramente quello che è, il luogo in cui i giovani possono vivere con gioia la bellezza di una parte fondamentale della vita, capendone fino in fondo l’importanza e la finalità.
SCUOLA E VITA
Ci sono diverse cose che si dovrebbero imparare per essere di aiuto in caso di calamità. In molti casi si arriva dopo, quando i disastri sono già compiuti, quando riesce umanamente difficile se non impossibile, risolvere i problemi. Non è mai troppo tardi però per dare un senso più vero e compiuto alle cose che facciamo, a quelle che predichiamo, per rompere quella posizione di stallo e di immobilismo che ci impedisce di prevenire, di fare in modo che i disastri, quando arrivano, trovino una popolazione preparata ad arginare le forze impazzite della natura. Forse è il caso di ricominciare dai giovani e dalla scuola, creando le condizioni perché la scuola stessa sia veramente il luogo sicuro dove la parola diventa sostanza ed esempio e dove la città si configura nella sua modernità, nella sua capacità di saper essere all’altezza delle difficoltà che la attendono. Forse per troppo tempo abbiamo dato spazio a una teoria del sapere troppo fine a se stessa, troppo ancorata a un individualismo nozionistico che non trovava riscontri diretti nella realtà. Ci siamo lasciati cullare da stuzzicanti forme di pensiero senza guardare in faccia le cose per quello che erano, senza essere guidati consapevolmente a pensare che in molti casi la vita dipende da come abbiamo imparato a difenderla, a proteggerla, a custodirla, a configurarla e a promuoverla. Capita spesso che si agisca con troppa superficialità, pensando che il peggio non debba mai succedere e che sia sufficiente quello che abbiamo fatto, che tutto si risolva sull’onda di una collaudata sicurezza all’italiana. Sapersi difendere, tutelare, proteggere è importante, presuppone che si adottino tutti gli accorgimenti del caso, partendo da un profilo urbanistico all’altezza. Non basta costruire, bisogna sapere dove, come, perché, bisogna adottare tutti gli accorgimenti necessari per evitare che un’interpretazione confidenziale, superficiale e scriteriata determini disastri incalcolabili, bisogna dare indicazioni precise, bisogna che le disposizioni di legge vengano rispettate, bisogna insegnare nelle scuole che vivere in un borgo o in una città richiede risorse e misure e che tutto deve rientrare in un ordine preciso, studiato, collaudato, definito. Non è possibile che si possano costruire una villa o un condominio lungo il corso di un fiume o che si possa costruire in una zona conosciuta per la sua precarietà, è risaputo che le case debbano essere costruite secondo precisi criteri antisismici, ma per questo ci vogliono piani e ordinamenti chiari, semplici e precisi. Ci sono fiumi e torrenti che non vengono mai dragati, tombini che non vengono ripuliti, cementificazioni che alterano il sistema vascolare della terra e spesso le concessioni edilizie non tengono conto dei pericoli reali. Studiare, osservare, capire, vivere sul campo la realtà, fare in modo che la scienza venga studiata e applicata, che i ragazzi siano messi in condizione di conoscere qual è la via della sopravvivenza e quale contributo possano fornire per una città sempre di più a misura d’uomo. La scuola deve aiutare a costruire l’altra città, quella di una modernità sicura, quella che metta in condizioni le persone di non essere perennemente schiave dell’imprevedibilità naturale, di una incertezza cronica. C’è un grande bisogno di concretezza, di insegnare che la città o il paese sono parte fondamentale di una vita comune, di un bene che appartiene a tutti, si sente la necessità di fare in modo che diventare grandi significhi essere sempre un pochino più attenti a quello che ci circonda, a come viene realizzato, amato, difeso e protetto. La storia serve anche a questo, ad essere pronti a sostenere gli eventi, a rispondere all’imprevedibilità naturale con il buon senso, la razionalità, la capacità di essere leali e corretti sempre, soprattutto quando ne va della vita umana.
SCUOLA E FAMIGLIA, LA BASE DEL SISTEMA EDUCATIVO
Sono in molti oggi a riconoscere che senza un solida base educativa non si va da nessuna parte e quando si parla di educazione diventa inevitabile riflettere su quei due pilastri straordinari su cui il sistema educativo nasce, prende forma, si sostanzia e decolla verso il futuro della società. Famiglia e scuola sono state e sono tuttora il nostro fiore all’occhiello, la nostra sicurezza, la nostra bussola e, anche se sono sferzate da venti di scirocco e navigano spesso in balia di tempeste e temporali, rappresentano il nostro punto di riferimento. Lo sono sempre di più e lo saranno, perché alla fine della follia l’uomo cerca sempre il porto in cui ritemprarsi, in cui riannodare i fili, ristabilire un equilibrio, un’armonia, scoprire di nuovo la sua identità. Famiglia e scuola sono, in ogni parte del mondo, il punto di partenza, i luoghi in cui i figli imparano l’arte del vivere, ascoltando la voce suadente di una mamma, osservando la forza e il coraggio di un padre, ascoltando l’insegnamento di qualcuno che conduce fuori quei patrimoni di sentimenti, emozioni, conoscenze che madre natura ha voluto regalarci, con la certezza che saremmo stati bravi a riconoscerli e a farli diventare il nostro strumento di crescita positiva. Dopo l’ubriacatura di una democrazia non sempre democratica, votata più alla ricerca dell’effimero e dell’impossibile, forse ci stiamo convincendo che le verità che ci stanno a cuore sono vicino a noi e dentro di noi da sempre, da quando abbiamo capito che vivere significa soprattutto apprendere, imparare, scoprire, ricercare, andare oltre la spettacolarità di un’immagine, per far uscire allo scoperto l’interiorità della persona umana, quella fonte straordinaria di bellezza, di ricchezza e di gioia che è parte integrante della nostra natura. Rimettere al centro l’uomo con i suoi bisogni e le sue speranze, ma anche con le sue doti e le sue ricchezze, è il lavoro più straordinario, perché è fonte inesauribile di scoperte, di gratificazioni, di voglia di essere e di fare, di rilanciare quel dono meraviglioso che è la vita. In un mondo dove la vita stessa è stata violentata e distrutta, famiglia e scuola devono prendere in mano le redini di una rivincita fondata sull’amore, sulla certezza che la fonte vera di tutto è dentro ognuno di noi, nella nostra identità, nella nostra volontà di condividere ciò di cui siamo venuti in possesso. Forse è arrivato il momento di pensare di più ai figli, a ciò di cui hanno più bisogno, alla loro voglia di essere capiti, seguiti, aiutati, indirizzati, amati. La solitudine e l’indifferenza sono i mali peggiori della società di oggi, dove l’egoismo dell’opulenza depreda e distrugge la voce del bisogno individuale, arricchendo sempre di più chi è già ricco e che malgrado tutto continua imperterrito ad affondare la sua protervia e la sua intolleranza. E’ sulla famiglia e sulla scuola che bisogna investire, è sul sistema educativo che rinasce e prende forma il futuro di un paese martoriato dai mali della corruzione, delle delinquenza e dell’ignoranza, è sulla scuola che i cittadini ripongono la loro fiducia, perché la conoscono benissimo essendoci passati e perché sanno con quanto amore i maestri e le maestre, i professori e le professoresse dedichino la loro professionalità a quei giovani che un giorno saranno alla guida del paese.
A SCUOLA LO SGUARDO SI APRE
Stare con i giovani, parlare con i giovani, confrontarsi con i giovani, percorrere ogni giorno insieme una parte del cammino della vita è qualcosa di veramente straordinario. Nella scuola c’è l’anima del mondo, un fluttuante sistema di esperienze, consigli, incontri, confronti, scoperte, sperimentazioni, programmi e obiettivi. La scuola è un grande laboratorio da cui emergono stili, metodi, anime, voci, pensieri e dove spesso la narrazione va di pari passo con l’evoluzione di un mondo che non finisce mai di stupire, di regalare ghiotte occasioni di conoscenza e di sapienza. A scuola s’impara a smontare per costruire, per mettere ordine in quel turbinio di idee e pensieri che alimentano la fonte del sapere. E’ bella quando non è ripetitiva, fiscale, scontata, quando risveglia invece di pianificare, quando si ricorda che la vita è in perenne movimento e che una Costituzione, per quanto storicamente bella e socialmente utile, è sempre soggetta alle mutazioni e alle interpretazioni di un’intelligenza che opera costantemente in chiave dinamica soprattutto nel campo della cultura. Nella vita della scuola ci sono energie e forze che s’incontrano per rilanciare nuove armonie e nuovi equilibri sui quali fondare l’economia di una cultura che stimola, sollecita, ravviva e armonizza. E’ a scuola che il nostro spazio si definisce, assumendo identità e dignità, è passando attraverso la scuola che la società detta le sue regole diventando paladina di valori e di esperienze, è nella scuola che i colori risaltano per quello che sono, nella loro luce naturale, quella che è toccata in sorte a ciascuno perché ne rendesse merito. Una società rinasce sempre dalla scuola, si forma quando la parola s’incarna per rendere più agevole la capacità di indagare quel variegato sistema delle relazioni che anima il nostro io. Di scuola se ne dovrebbe parlare di più. Dovremmo sorprenderci a pensarla e a ricordarla, rimettendo al centro la bellezza di quei rapporti umani che sono la rivincita sulle aridità e sulle desertificazioni della vita. Di scuola si dovrebbe vivere sempre per mantenere solleciti i rapporti interpersonali, per approfondire i dinamismi di un sistema che si apre sempre di più al dialogo e al confronto. La scuola è un tempo indefinito, dove insegnante e alunno procedono, permettendo all’insieme di convergere, di fare posto a quel volto sorridente di chi scopre strada facendo il senso di un amore disinteressato, attraverso il quale l’insegnamento e l’apprendimento diventano bene comune, aperto a chiunque voglia esprimere il suo livello di convivialità.
IL FUTURO DELLA SCUOLA ITALIANA
Essere critici non vuol dire essere pessimisti o peggio ancora negatori della verità, ma osservatori del mondo, con l’occhio di chi lo ama e che in virtù di questo amore lo vuole rendere migliore. Credo che la scuola debba recuperare la sua serenità, non debba sentirsi schiava di convenzioni create per soddisfare egoismi personali. Il carattere essenziale del sapere è la sua universalità e la libertà è il suo vincolo. Una libertà che scava nella persona per condurla alla scoperta della bellezza, dei suoi valori, libertà come ricchezza, consapevolezza, stupore, convinzione, fiducia, rispetto, senso di responsabilità e fantasia. La scuola deve ritrovare la sua fantasia, la sua capacità di far sorridere, di far crescere una gioventù convinta che la vita sia un bene straordinario. Occorre ricreare la cultura della vita e ridurre l’illusione che tutto si possa col denaro. Molti dei nostri guai derivano da una concezione errata della ricchezza, da una mistificatoria politica del profitto, da chi pretende di usare un bene che per sua natura non può e non deve diventare mercificazione o peggio ancora prostituzione. La scuola italiana deve convincersi che l’uomo tende naturalmente ad armonizzarsi con tutto ciò che lo circonda, per conoscersi e conoscere, per rendere più gradevole la sua temporanea permanenza sul pianeta. Quale deve essere, dunque, il fine dell’istruzione?, forse la felicità della persona, certamente la realizzazione della sua dignità. La scuola deve essere soprattutto scuola di vita. Per questo è necessario motivare, fare in modo che essere insegnante sia qualificante e che l’educazione e la formazione abbiano un ruolo primario nella costruzione della città dei valori. L’educazione è la base e l’istruzione è l’energia che la corrobora, che la rende patrimonio di tutti. Se un bravo docente pianta la scuola vuol dire che qualcosa non ha funzionato nella scuola stessa, vuol dire che il sistema respinge, allontana, non permette di crescere, di far maturare i talenti, di credere con passione nel proprio lavoro. La scuola italiana cambierà quando si tornerà a premiare il merito e tutto ciò che ne consegue. La scuola italiana cambierà quando il sistema si accorgerà che per cambiare bisogna partire dalle giovani generazioni, dalle loro aspirazioni, dalla loro voglia di cambiare il mondo, dalla loro fame e sete di crescita armonica rivolta alla vita, al mondo che li circonda, a una crescente voglia di conoscersi per conoscere, di poter vivere serenamente lo spazio e il tempo di una maturazione che guardi all’essere umano nella sua dimensione più grande, dove ogni materia è il punto di partenza di un viaggio che continuerà nella vita civile. La scuola italiana è una scuola che bada più a sopravvivere che a vivere, una scuola che assomiglia di più a una prigione dalla quale occorre fuggire per ritrovare la libertà personale. E’ un mondo che chiede di rinnovarsi, di leggere con modalità diverse il grande libro della vita, fuori da quei retaggi che ne hanno incollato la crescita, deve diventare una finestra aperta sull’universo, capace di far tesoro del passato per liberare le energie presenti nella mente e nell’animo umano, quelle energie che diventano creatività, genialità, capacità di scoprire, di stupire, di meravigliare, di sorprendere, invece di appiattire, come se il sapere fosse sempre uguale, noioso, ripetitivo, legato a convenzioni, a strutture, a convenienze, a umori provenienti ora da destra ora da sinistra. La scuola non è una prigione, è un luogo di crescita umana, culturale, civile e per questo vuole vivere in luoghi adatti, dove lo spirito sia libero di esprimersi, di dilatarsi, di stabilire un giusto rapporto di relazioni e di conoscenze.
LA SCUOLA? UNA MERAVIGLIOSA PALESTRA DI APPRENDIMENTO E DI EDUCAZIONE, MA BISOGNA FARLA AMARE
Nei paesi e nelle città ci sono luoghi che hanno il sapore di un vero e proprio miracolo d’amore, espressione di quella sapienza umana che si sposa spesso a forme d’intelligenza superiore, quella che inducono alla meraviglia e allo stupore, che lasciano spesso il tempo a una meditazione profonda sulla nostra essenza, su chi siamo e cosa facciamo, cercando spesso di stabilire un filo diretto tra quel mondo materiale in cui siamo costituzionalmente costretti e quello spirituale che ci spinge a cercare verità altrove, dove spesso il piacere più grande sia anche quello di immaginare, di sognare, di lasciare libero sfogo al sentimento e alla certezza che qualcosa di più grande e di più perfetto possa davvero esistere. Il primo grande impatto di natura sociale è dunque la scuola. E’ lì che abbiamo iniziato a capire che la cultura non è solo una forma di sostentamento individuale, cibo quotidiano della nostra anima, ma soprattutto forma bellissima di esplorazione comunitaria, qualcosa di talmente straordinario che supera ogni forma di barriera o di pressione, qualcosa che mette tutti sullo stesso piano e che concede quindi alla libertà personale di diventare un bene ancora più grande, che si realizza con il contributo di tutti. Quando la scuola diventa realmente uno spaccato vero della società? Quando la sa vivere, interpretare, rappresentare, quando la relazione supera le barriere dell’individualismo, per diventare relazione corresponsabile. A scuola la cultura si forma nella sua accezione più ampia, si confronta direttamente, si guarda attorno, cerca di cogliere, di porgere e di supportare, si lascia accarezzare, leggere, approfondire, guidare, orientare, si mette in relazione con il pensiero e la fisicità dell’altro, si confronta, ricerca, scopre, esplora, non bada tanto al valore estetico dell’apprendimento, bensì alla sua risultanza, a ciò che esprime e a ciò che può costruire, imparando che il bene non è solo un problema di natura individuale, ma assioma in cui confluiscono nuovi pensieri e nuovi stupori a cui tutti indistintamente concorrono. A scuola tutto viene messo in movimento, il cuore, l’intelligenza, l’anima, la voce, il comportamento, la capacità di cogliere quello che altri non sanno cogliere, perché la forza del sapere sta proprio in questo, nella sua capacità di diventare senso, aggregazione, socialità, consapevolezza comune, attenzione, voglia di fare e costruire, di dare un volto alla ricchezza interiore che ogni persona scopre strada facendo, grazie alla sapiente guida del maestro o della maestra. La più grande risorsa? Diventare maestri di se stessi includendo chi ci sta attorno, vivendo il sapere come servizio alla comunità, sentendo la necessità di ampliare e di costruire, di abbellire e migliorare quel mondo con cui abbiamo quotidianamente la possibilità di interagire, per migliorarci. Oggi si parla moltissimo di scuola, se ne parla perché un virus ha tentato di disattivarla nelle sue forme classiche, spogliandola della sua reciprocità, del suo essere comunicazione umana, creando unione e consapevolezza comune. E’ proprio quando la società va in crisi che la scuola risorge, dimostrando che la forza del sistema comunitario della cultura supera di gran lunga i disastri di un mondo che si ribella, con la pretesa di imporre la propria volontà. Ma quale scuola è più appetibile? Quale è più capace di rispondere agl’interrogativi di una mente in crescita? Di una società che cerca nell’aggregazione la fonte della propria identità? Quale scuola sa essere base di decollo per un radicale e profondo rinnovamento sociale? Può la scuola da sola cambiare il volto di una società, restituendole quell’entusiasmo e quella volontà senza le quali rischierebbe di entrare in una crisi senza sbocchi? Mentre il virus contagia e annienta e la lotta assume contorni del tutto simili a quelli di una guerra, torna a farsi sentire la necessità di aprire le porte delle scuole, di stimolare la volontà comune di mettere al centro l’apprendimento, la conoscenza, la voglia di creare relazione, rapporto, connessione. Non basta tutta la tecnologia del mondo a sostituire la socialità, quella vera, quella che nasce da un confronto sistematico, in cui la parola è spesso figlia di una riflessione comune, di una ricerca, della voglia di stare insieme, di condividere, di conoscersi, di parlare, di scrivere, di sorridere, di dimostrare che il mondo va esplorato e conosciuto, va vissuto con chi sa orientare le energie, chi sa creare gli entusiasmi, chi sa sviluppare il desiderio di imparare e di andare oltre i muri dell’individualismo e quelli dell’egoismo. Improvvisamente la scuola torna a essere il centro di una grande rivoluzione umana e culturale, che sappia cogliere le aspirazioni di un mondo stanco e demotivato. Chiamare in causa la scuola oggi significa prendere atto di quanto sia importante volgere lo sguardo verso quei giovani che rappresentano il futuro del mondo, un futuro che tende a convergere, a far prevalere i valori profondi della convivenza civile, quelli che annullano le barriere e favoriscono una presa d’atto comune su ciò che veramente conta nella definizione di una storia umana capace di unire e di sollecitare le sue parti nobili, come il rispetto dell’ambiente, il rispetto della vita, la lotta alla povertà, la fratellanza degli stati, la capacità di unire le intelligenze e di metterle al servizio del pianeta e delle sue necessità. La scuola rimane il punto di partenza di una grande rivoluzione, ma proprio per questo ha bisogno di essere capita e valorizzata, ha bisogno di essere aiutata a uscire da quell’anonimato nel quale è stata relegata nel corso degli anni, come se non avesse avuto bisogno di una costante rianimazione, di un dinamismo solidale. Per troppo tempo la politica l’ha sottovalutata, lasciandola in balia di un pressapochismo drammatico. Valorizzare la scuola non è solo un problema di tecnicismi o di rivoluzione telematica, è soprattutto un problema di natura educativa, dove ciò che veramente conta è prima di tutto l’essere umano, le sue necessità, i suoi problemi, il suo desiderio di sentirsi amato e protetto, valorizzato e stimolato, messo nella condizione di scegliere la propria strada. Se la pandemia avrà stimolato il pensiero positivo della politica allora qualcosa di buono e di positivo si potrà ottenere, ma il banco di prova è proprio ora, è questo il momento in cui occorre aprire i giovani alla speranza, dimostrando loro che il mondo è di tutti e che bisogna saperlo ravvivare sempre, soprattutto quando è in difficoltà e ha bisogno di sostegno. E’ in questa direzione che il maestro si deve muovere, sapendo di poter contare su una società che lo attiva e lo sostiene, mettendogli a disposizione tutto quello di cui ha bisogno.
PER UNA SCUOLA PIU’ ATTUALE
Chi guarda lontano, cercando di costruire una realtà umana sempre più adeguata ai tempi deve partire dalla scuola, l’unica istituzione capace di educare e formare le generazioni alle quali verrà affidato il futuro del nostro paese. Chi l’ha vissuta sa quanto sia amata, quanta importanza rivesta nella promozione di una società capace di rispondere alle aspirazioni del mondo giovanile e non solo. La scuola non è luogo dove si consumano frustrazioni di vario ordine e grado, non è prigione di stereotipi che ne limitano la capacità creativa ed esplorativa, ma fonte di condizioni di crescita umana, morale, culturale e sociale delle giovani generazioni. E’ istituzione che genera fiducia, benessere, ricchezza morale e intellettuale, capacità di vivere appieno l’esuberanza di una vita che si trasforma rapidamente e che richiede sempre nuove forme di comunicazione, nuovi ordini relazionali, nuove prospettive. I ragazzi vogliono essere protagonisti di questa parte fondamentale della loro vita, vogliono vivere senza reticenze e senza falsi allarmismi la loro naturalissima vocazione al fare, all’agire, allo sviluppo critico, al dialogo, al confronto, alla gestione di quella libertà che diventerà il perno attorno al quale costruiranno la loro esistenza. Via le paure quindi, il nozionismo manieristico incapace di ravvivare le ricchezze che ciascuna persona porta nella propria mente e nel proprio cuore. Scuola che non teme di essere seriamente se stessa in ogni momento, capace di saper cogliere e accompagnare con entusiasmo le ansie, le incertezze, le curiosità, la voglia di crescere di giovani che si guardano attorno per prendere le misure con quella realtà della quale sono parte integrante. Scuola che sappia guardare al mondo esterno, alle sue difficoltà e alle sue bellezze, dove l’osservazione diventa crescita, promozione, recupero e padronanza, dove le domande ricevono risposte chiare e concrete, dove s’impara a convivere con quel tutto che circonda la nostra esistenza. Scuola di vita che respira il respiro del mondo, che promuove incontri e confronti con persone, personaggi, uomini e donne che vivono in prima persona il mondo e le sue sfumature. Scuola paladina di una cultura che conserva per rilanciare, che ricerca l’universalità del bene per realizzarlo, che sa essere locale e globale, che si candida a diventare centro propulsore di una realtà che taglia le distanze e promuove l’universalità dei messaggi, mettendo in campo il bello che incontriamo ogni giorno. E’ tra i banchi che si sviluppa il futuro del mondo, è nella capacità di riconoscersi esseri umani oltre i colori della pelle che si compie il sogno di una globalità rispettosa e propedeutica, è nella certezza di essere persone sempre che si evolvono più coscienti e consapevoli. Scuola dove le materie letterarie corrono di pari passo con la musica, l’arte, il teatro, il cinema, la pittura, il canto, la scultura, lo sport, l’educazione civica, le lingue straniere, la poesia, la matematica, la logica e la fantasia, dove ogni conquista è il frutto di un incoraggiamento al lavoro, alla bellezza della ricerca, alla novità di un sistema che riconosce a ciascuno il diritto alla dignità. Scuola itinerante che non ha paura a mettersi in gioco, salvaguardando quei valori che hanno la capacità di diventare strumenti di elevazione e di promozione di civiltà. Scuola che salvaguardi la naturale predisposizione alla gioia, la voglia di non fuggire mai, capace di rispondere alla richiesta di civiltà di ragazzi motivati dall’ansia di riconoscersi e imparare. Scuola di merito, dove il lavoro è fatica e premio, dove ciascuno è convinto che occorra dare sempre il massimo. In un mondo che condanna i ragazzi a vivere in strutture vecchie e fatiscenti, incapaci di generare felicità, la scuola chiede di essere riconosciuta e amata per le sue qualità rigenerative. E’ in questa attesa di protagonismo responsabile che si candida ad essere il volano di una società nuova, capace di saper rispondere in modo esauriente alle radicali trasformazioni educative del nuovo millennio, valorizzando al massimo la cultura come insostituibile strumento di crescita umana, morale, sociale e sportiva.
PER UNA SCUOLA DIVERSA
Portare i giovani nel cuore della vita non solo a parole, dovrebbe essere il compito di una scuola che vuole essere soprattutto scuola di vita e che misura quindi la sua capacità di produrre in relazione all’inclusività umana nella prassi comunitaria. Per troppo tempo gli alunni sono rimasti prigionieri di un banco, di quattro muri, di frustrazioni da orario, di scuole assolutamente inadeguate dal punto di vista strutturale. Per molto tempo i programmi hanno castrato il tempo, hanno lasciato i giovani in un limbo da quale riusciva difficilissimo staccarsi per diventare grandi. Le materie sempre uguali come se fossero le uniche investite d’autorità per far crescere menti e cuori in nome di una cultura in molti casi utile soltanto a soddisfare l’ego di qualcuno. Forse il tempo di una scuola troppo convinta di se stessa sta per scadere, forse sta arrivando quello in cui i valori si allargano e si estendono fino a consumare gli ultimi lembi di nazionalismo nozionistico. Dante e Petrarca, Leopardi e Manzoni, Pascoli e D’Annunzio, avranno ancora la capacità di far breccia nelle dinamiche intellettuali del futuro, sapranno parlare ancora al cuore e alle menti di giovani provenienti da paesi e culture diverse? Sapranno altresì concorrere alla formazione di una volontà universalistica, dove le culture dovranno fondersi in nuove proposte di fratellanza umana. Sarà in grado la scuola di diventare il collante di un mondo che cammina molto in fretta e che richiede nuove forme di convergenza umana, religiosa, politica e intellettuale? Le scuole italiane sono sempre più scuole multirazziali e le culture s’incontrano per conoscersi, confrontarsi, amarsi e rispettarsi all’interno di una dialettica che punta decisamente sulla capacità di creare evoluzione, comprensione, dialogo, non più rivendicando una supremazia, ma ottimizzando quel materiale umano che uomini e donne hanno saputo far crescere e sviluppare nel corso del tempo, in ogni angolo del pianeta. Salvaguardare il particolare può ancora essere un punto di partenza, ma solo se il particolare saprà cogliere l’energia di un mondo che è alla disperata ricerca di valori comuni capaci di far fiorire un ordine nuovo, un ordine in cui tutti si possano riconoscere, migliorare e scoprire.
AIUTIAMO LA SCUOLA A ESSERE SCUOLA
Chi ha vissuto per molto tempo nella scuola ne conosce i bisogni, le necessità, la vocazione, il ruolo fondamentale che occupa nell’educazione e nella formazione di cittadini capaci di affrontare con onestà e coraggio le chiamate della società civile e della vita in generale. La scuola è il momento in cui l’essere umano impara a guardarsi dentro, a stabilire nuove relazioni e nuove corrispondenze, a ritagliarsi una fetta di autonomia che gli permetta di osservare il mondo con occhio critico, capace di giudizi personali, frutto di maturazioni in cui convergono i consigli, i suggerimenti e le abilità di chi è preposto a mediare tra l’apprendimento culturale e la sua attuazione pratica. La scuola ha svolto e continua a svolgere un ruolo di primo piano nel sistema educativo nazionale, ruolo che si conferma nel suo essere forza d’integrazione, di assimilazione, di evoluzione morale, sociale, professionale e culturale. La scuola è l’unica, vera, arma democratica, quella che crea umanità e solidarietà, sensibilità e sviluppo sociale, è la molla che permette alla storia umana di ricompattarsi ogniqualvolta dimentica il suo ruolo guida nella società, la sua capacità di riconfigurare e ridefinire, aprendo la via a nuovi approdi. Uno dei limiti della scuola è la scarsissima attenzione che le istituzioni le riservano e lo si vede a occhio nudo, osservandone da vicino lo stato fisico: scuole prive delle più elementari norme di sicurezza, scuole obsolete, fatiscenti, inadatte a contenere l’esuberanza giovanile, scuole vecchie, ampiamente superate da un sistema educativo che ha bisogno di spazi, di luoghi idonei per ospitare le attività degli alunni, dove sia possibile sviluppare interessanti iniziative legate all’ educazione. Viviamo in un tempo in cui spesso le scuole non sono dove e come dovrebbero essere o vengono addirittura usate come altro rispetto ai loro scopi e alle loro finalità. La scarsissima attenzione verso la scuola come struttura fisica ne ha quasi sempre caratterizzato la storia, fatta spesso di indifferenze, dimenticanze, trascuratezze, abbandoni e di una plateale disattenzione da parte di chi avrebbe dovuto tutelarne e promuoverne la forza educativa e quella formativa. Si è spesso sentita la mancanza di una scuola inserita in un ambiente idoneo, che favorisse le attività dei ragazzi, il loro desiderio di spazio, la loro voglia di vivere adeguatamente i mille impulsi che una scuola attiva sa sollecitare e indirizzare. Quante volte i docenti hanno lamentato la mancanza di laboratori, di sale multifunzionali, di spazi in cui creare l’attenzione pratica alla cultura, quella che si lega alle attività manuali e a quelle creative, quante volte la politica ha preferito inseguire e rattoppare invece di adottare una visione ampia delle innovazioni e dei cambiamenti, quante volte si sono viste scuole con spazi invivibili, bagni inadeguati, crepe sui muri, spazi irrisolti, quante volte diventava impossibile aprire le finestre e far entrare l’aria pura della primavera, a causa dei gas di scarico delle macchine e dei camion, quante volte i ragazzi avrebbero voluto fare un bagno di verde, invece di rimanere quattro ore di fila ancorati a spiegazioni, letture, interrogazioni, quante volte la scuola ha messo in luce i propri limiti educativi, la propria incapacità di essere o di diventare quello che avrebbe voluto per colpa di disattenzioni della classe politica o a causa di regolamenti interni spesso privi di una significativa visibilità educante. Aiutare la scuola a essere scuola significa prima di tutto e soprattutto amarla, capire che è nella scuola e grazie alla scuola che i giovani imparano il valore umano della conoscenza, dell’ordine e della disciplina, della volontà di fare bene, di apprendere e migliorare la propria condizione e quella della comunità nella quale vivono. Aiutare la scuola a essere della scuola significa prima di tutto avere ben chiaro il valore stesso della scuola, ciò che è e ciò che rappresenta, l’importanza che riveste nella definizione di una società che vuole cambiare, dimostrando i propri talenti e le proprie risorse. Aiutare la scuola significa riconoscerne e rispettarne il valore educativo e quello formativo, la capacità di saper preparare cittadini pronti a sostenere il confronto con un mondo in rapida evoluzione. Aiutare la scuola significa assegnarle quell’ identità che è solo dei docenti e degli alunni, evitando, nei limiti del possibile, di trasformarla in qualcosa che non le appartiene.
SI PARLA POCHISSIMO DI SCUOLA
I grandi temi occupano le pagine dei giornali e tutto il complesso mediatico che affolla il nostro sistema della comunicazione. Economia, finanza, sistema bancario, governo, partiti, reddito, burocrazia, investimenti, taglio delle tasse, imprenditoria, povertà, Europa, potere politico e potere religioso, litigiosità politica e sociale, sicurezza, immigrazione, tutti temi fondamentali, ma che rischiano di far passare in secondo piano quel sistema educativo su cui si regge il futuro della nostra nazione. Di scuola si parla pochissimo e solo in circostanze particolari, quando la politica o il sistema sociale hanno bisogno di visibilità per amplificare il loro potere. Il problema è che nonostante alcune innovazioni di carattere burocratico, la buona scuola soffre ancora di problemi di fondo, come ad esempio la sua capacità di essere all’altezza di un reale cambiamento di valori su cui appoggiare tutto il sistema dell’istruzione del nostro paese. La scuola è prima di tutto un ambiente di lavoro e come tale deve essere in grado di soddisfare le aspettative del lavoratore. Basta dunque con edifici obsoleti, vecchi, inadeguati, pericolosi e avanti con progetti strutturali e infrastrutturali adeguati all’emancipazione di un sistema moderno, capace di sollecitare il mondo giovanile a una presa di coscienza reale. I giovani hanno bisogno di capire che la scuola non è solo un edificio dentro il quale si è costretti a stare per apprendere, ma è molto di più, è una realtà in cui si organizza la scoperta della vita, capace di creare le condizioni di una crescita costituzionalmente valida, aperta alla realizzazione di una personalità viva, sintonica con le aspettative individuali e con quelle sociali, capace di intercettare le attenzioni di un mondo alla costante ricerca di nuovi equilibri e di nuove armonie. Al cambiamento di natura ambientale ne corrisponde uno di natura psicologica. Chi non ricorda edifici senza spazi adeguati, la precarietà delle aule o la mancanza di palestre per l’educazione fisica, la ricerca di spazi verdi dove poter giocare una partitella, oppure un sistema disciplinare assolutamente contrastante con le necessità e i bisogni degli alunni. Chi non ricorda il frastuono di macchine e camion nella vicinanza di un semaforo, il rumore dei claxon, lo stridio delle franate, la mancanza di attrezzature, chi può dimenticare il disordine, la mancanza di servizi adeguati, l’impossibilità di lasciarsi andare a un’attività libera, creativa, capace di sollecitare curiosità, immaginazione, fantasia, dinamismo. In molti casi ci si è trovati prigionieri di realtà scolastiche inadeguate, dove diventava difficile costruire una libertà vera, a misura d’uomo. In molti casi siamo stati testimoni di fughe dall’edificio scolastico, di affannose ricerche di libertà fuori da costrizioni e imposizioni incoerenti con l’immagine di una configurazione ambientale dignitosamente adeguata. Rivedere l’organizzazione scolastica significa prima di tutto entrare nell’ordine della psicologia giovanile, cogliendone le attese, la disponibilità e la vocazione. I valori hanno sempre un inizio ed è sull’inizio che occorre fermare l’attenzione, se si vuole che i percorsi sia consequenziari, coerenti, costruttivi, non sulle brevi, ma sulle lunghe distanze. Ridare un volto anche fisico alla scuola significa dimostrare di amarla e soprattutto di amare quei giovani che, nel suo interno, vivono gran parte della loro giornata. Ripensare la scuola significa riabilitarla anche sul piano estetico, strutturale e funzionale, in modo tale che possa rispondere alle necessità e ai bisogni di un mondo giovanile che vive una realtà molto diversa rispetto al passato e che sente fortemente il bisogno di un’ evoluzione in cui siano ben presenti l’immagine del bello, dell’utile, del ben organizzato. I giovani non sono così lontani dai valori, forse li desiderano più di quanto si possa immaginare, ma capiscono benissimo che spesso le loro aspirazioni non vengono prese nella giusta considerazione, vivono in un mondo in cui gli adulti non danno l’esempio e non si pongono neppure più il problema di come occorra comportarsi. Nonostante le esplosioni argomentative della civiltà tecnologica, il livello di comprensione umana dei problemi rimane molto basso, sfuggono le subordinate e le coordinate, sfugge la capacità di lettura dell’animo umano e soprattutto manca una coerenza che raccolga in una unità operativa e sintonica le attese di chi sta dall’altra parte della barricata. Oggi i problemi sono l’Europa, la campagna elettorale, chi prende più voti, chi riesce a stupire, chi dimostra di essere il più bravo o la più brava, ma nella maggior parte dei casi ci si dimentica che la rinascita parte da vicino, da casa nostra, dalla capacità che dimostriamo nel saper fare le cose, mettendole in pratica. Prima di arrivare lontano è necessario lavorare e lavorare bene sul vicino, mettendo in pratica fino in fondo quelle doti di educazione, genialità, creatività, intelligenza e fantasia che ci vengono quotidianamente riconosciute in tutto il mondo. L’Italia è qui vicino a noi, è qui che attende, che vuole ripartire con il concorso di tutti, senza insulti, senza arroganze varie, senza prevaricazioni di sorta, è qui che vuole dimostrare quanto sia fondamentale il suo contributo per la costruzione di una unità europea davvero cosciente della propria storia e capace di portare una nota di sensibilità cristiana nel mondo che l’attende. E’ nel livello di umanità che i nostri ragazzi imparano ad apprendere e a crescere, è nella fermezza con cui le persone si preoccupano della loro condizione che capiscono di essere ascoltati, è in una presa di coscienza nuova che la scuola può ambire a rimettere in sesto un sistema educativo abbandonato per troppo tempo a se stesso.
INIZIA LA SCUOLA, UN NUOVO MONDO EDUCATIVO SI APRE
Quando iniziava la scuola sentivamo un brivido nelle gambe, il cuore batteva più forte, mamma e papà erano inquieti, attenti, cercavano in tutti i modi di rendere meno ansiosa l’attesa stirando, preparando, finivano le vacanze e iniziava l’impegno quello vero, soggetto al giudizio severo dell’insegnante. L’insegnante era un mito, lo era anche se era severo, con una voce attenta e solenne, sempre pronta a riprendere, ma anche ad amare con la dovuta passione. Era la nostra guida quotidiana. Con lui trascorrevamo mattinate intere, lo ascoltavamo, qualche volta lo facevamo arrabbiare, ma sempre evitando l’esagerazione. Il suo giudizio era decisivo, non c’era genitore che non lo accettasse, il suo ruolo era indiscusso sempre, nessuno avrebbe osato mettere in discussione una parola, un’azione, un gesto del maestro o della maestra, neppure la punizione era soggetta a critiche, anche quando poteva essere scambiata per una forma di violenza. L’insegnante era un mito perché sapeva farsi rispettare e lo faceva dall’alto della sua personalità, una personalità viva, audace, capace di affabulare anche i più reattivi e i più scontrosi, sempre pronto a interagire e a relazionare con ampiezza di vedute, con l’arguzia tipica di chi sa trasformare il male in una straordinaria occasione di bene. L’insegnante era quasi sempre ben vestito, aveva un modo di porsi leale, non amava le smancerie, le parole inutili, cercava sempre di correre sul filo della correttezza e dell’educazione. I genitori amavano gli insegnanti, affidavano loro i propri figli con grande fiducia, sapevano di poter contare su quelle splendide figure che sapevano trasformare l’inquietudine giovanile in curiosità, voglia di crescere, di apprendere, di diventare grandi e di poter concorrere alla crescita della famiglia, della comunità e del paese. Non c’era confidenza, i ruoli erano molto ben definiti e non era possibile andare oltre, ciascuno sapeva esattamente che cosa doveva fare e che cosa doveva dire, ma soprattutto sapeva come fare e cosa dire e come dirlo, che tipo di atteggiamento assumere di fronte a una persona più grande e con un ruolo ben determinato. Non potevi dare del tu, non te lo saresti neanche sognato, perché a casa prima di tutto ti avevano fatto capire, con le buone o con le cattive, che l’educazione era il perno di una società che si definiva civile e di cui bisognava rispettare alcune regole fondamentali. Le regole non erano servili imposizioni o forme di assolutismo impositivo, erano modi stabiliti insieme per rendere più armonica ed equilibrata la vita stessa delle persone. Certo c’è sempre stato il prevaricatore di turno, ma la società era coesa, unita, solidale, non permetteva che si andasse oltre quel buono che rappresentava il senso vero e profondo di una comunità. Il genitore non si metteva mai contro l’insegnante, sapeva perfettamente che ciascuno aveva il proprio ruolo e che doveva esercitarlo e rispettarlo. La decisione dell’insegnante era inappellabile, anche quando metteva in crisi equilibri che sembravano inossidabili. Tutti cercavano di concorrere al bene comune, ciascuno con le proprie forze, con molta determinazione, l’obiettivo era infatti una società consapevole, capace di capire che cosa fosse importante e che cosa invece fosse inopportuno e inadeguato. Pur nella sua riconosciuta prassi istituzionale, l’insegnante era un perfetto conoscitore dell’animo umano, sapeva come e dove posizionarsi, quali parole e come offrirle all’interlocutore di turno, sapeva molto bene come rimettere in moto un motore spento, privato della sua naturale propensione movimentista. Conoscere l’animo umano porta vantaggi insperati, proprio quando sembra che l’incomprensione superi i livelli di guardia, aiuta moltissimo a scrutare nel cuore per capire quale intervento possa essere più giusto per rimettere le cose a posto. E chi più dell’insegnante sa riconoscere una necessità, un bisogno, un’inquietudine o una crisi, chi più dell’insegnante che vive quotidianamente con i suoi allievi sa riconoscerne i loro bisogni e le loro necessità?Quante volte li abbiamo fatti arrabbiare e quante volte, nonostante tutto, ci hanno perdonato, senza mai scomodare inutili forme di pietismo politico. I giovani amano la fermezza, non vogliono essere compatiti o considerati per quello che non sono, desiderano verità e lealtà, un atteggiamento vero, capace di far capire da che parte stiano di casa la giustizia e la legalità. Insegnare non è facile. Non è facile confrontarsi ogni mattina con venti o trenta ragazzi pieni di energia, sempre pronti ad alzare una mano, a sollecitare una risposta, a capire di che pasta sia fatto quel mondo che l’insegnante cerca di presentare. La scuola è una grande risposta di umanità, un’immensa ricchezza di valori e di proposte educative, è quel mondo in più che aiuta a stare meglio nel mondo, scoprendo strada facendo di quali ricchezze sia stato dotato l’essere umano. Chi diventa grande in fretta non dimentica mai la scuola, la ricorda con affetto, anche quando magari non è stata quella che avrebbe voluto. C’è sempre un momento in cui la scuola torna a diventare famiglia e l’insegnante veste i panni della mamma o del papà, per veicolare meglio un messaggio educativo, in fondo l’educazione, pur nelle sue diversità, è una storia e come ogni storia è anche somma di momenti e di verità racchiusi in un cammino piuttosto lungo. Ricordare i nostri insegnanti è un dovere, è un dovere che riguarda tutti, perché se una comunità impara le virtù della coesione, del rispetto, dell’armonia, dell’educazione, lo deve anche a tutti quei docenti, uomini e donne, che con tanta passione e con tanto amore hanno cercato di concorrere alla sua crescita umana, morale, sociale, culturale. Dunque torniamo a scuola con lo spirito giusto, con la voglia di apprendere e di capire e di mettere in pratica quegli insegnamenti che i nostri docenti, insieme alle famiglie, sanno trasmettere, pensando soprattutto al bene dei giovani e della comunità nella quale vivono.
DARE SLANCIO E VIGORE ALLA SCUOLA
Sono tempi difficili, in cui risulta sempre più complicato dare il giusto peso e la giusta misura alle cose che contano davvero, quelle sulle quali s’innesta il presente e il futuro della nostra società. La scuola è da ormai molto tempo che soffre per una crisi che ha radici profonde nel nostro tessuto sociale, una crisi che colpisce la famiglia, la politica, il sistema delle relazioni sociali, la vita in generale. Di solito i problemi non arrivano all’improvviso, si accumulano col passare del tempo, a causa dell’incuria di chi è preposto alla sua tutela e alla sua cura. In questi anni infatti abbiamo assistito a una vistosa perdita di autorità e anche di autorevolezza, un problema di carattere generale che ha avuto serie ripercussioni sulla vita delle persone, in particolare di quelle che guardano con fiducia alle linee guida di un sistema che si propone per l’accorta disposizione di quella storia sulla quale ha fondato la sua sicurezza. La scuola è in crisi per diversi motivi: la solitudine del corpo docente, la sua impossibilità di poter vivere degnamente la propria condizione familiare e sociale, la sua perenne sottovalutazione, a causa della quale nessuno più si occupa dei suoi bisogni, delle sue necessità, del suo bisogno di sentirsi stimata, amata e protetta. La scuola vive uno stato di subalternità rispetto alla società civile, a uno sviluppo tecnologico esasperante, non riesce più a imporsi, a far capire che il punto di partenza di una democrazia sana è proprio lei, con la sua capacità di formare, educare, riconoscere, trasformare l’impotenza in capacità di sviluppare nuova energia, con la quale costruire dalle fondamenta la base di un nuovo mondo, in grado di generare intelligenza, curiosità, sviluppo, umanità, sensibilità, capacità di fare e di dare. L’insegnante è pagato poco, è considerato poco, non trova quel rispetto che è condizione essenziale per un’ autonomia reale, capace di consegnargli quella dignità e quella identità che merita. E’ spesso intimidito dall’opinione pubblica, dai media, dalle famiglie, dai ragazzini, non riesce più a trovare punti d’appoggio veri, capaci di restituirgli la sua funzione. C’è dunque una condizione morale, ma anche una di natura giuridica, costituzionale, c’è la necessità di restituire all’insegnante quell’immagine che giova alla sua promozione sociale, al suo essere centro di una grande trasformazione educativa e culturale di un sistema che in questi anni ha sofferto di disistima e di trascuratezze di ogni genere. Rimettere al centro la scuola e la cultura giovanile, restituire alla società civile le sue coordinate formative è fondamentale, se si vuole ricostruire un modello di società vivibile, credibile e affidabile. Ritrovare la scuola, valorizzarla, riconsegnarle autonomia e indipendenza, riproporla come fondamentale momento di crescita individuale e collettiva è compito di una società che si onora di essere definita, civile.
FAMIGLIA E SCUOLA, DUE BENI DA CONSOLIDARE E POTENZIARE
C’è un mondo giovane che bussa alla porta e che chiede di essere ascoltato e capito. E’ un mondo che è stato spesso trascurato, vittima di una globalizzazione in cui hanno preso campo le economie, le banche, i sistemi finanziari e dove l’essere umano ha assunto un ruolo sempre meno rilevante, costretto in molti casi a peregrinare per il mondo in cerca di benessere. Anche nelle società un tempo avanzate, ricche e attente, i danni della globalizzazione hanno stravolto la vita sociale, i sistemi costituzionali, le regole, le leggi, creando un mare di problemi irrisolti. In questo caos generale le nazioni hanno perso di vista i problemi reali, quelli sui quali contava il potere politico quasi senza accorgersene. Le scuole sono diventate fatiscenti e hanno cominciato a crollare, i bulli hanno cominciato a innescare varie forme di violenza, si è scoperto i genitori e i professori erano diventati antagonisti al punto da sfidarsi a suon di ceffoni e di denunce. In questo davvero poco encomiabile salotto mondano i ragazzi si sono sentiti forti al punto che si sono permessi di sfidare una classe docente visibilmente vittima di una società e di uno stato inadempienti, per non dire sordi e muti a qualsiasi richiamo di attenzione e solidarietà sociale. Scuola e famiglia, le due perle del sistema democratico italiano del dopoguerra sono state abbandonate al loro destino, salvo ricordarle sulle prime pagine dei giornali in occasione delle loro disgrazie. La crisi dell’una ha coinciso con quella dell’altra e insieme si sono trovate a rincorrere una solidarietà rimasta appesa al filo. Lo stato ha fatto pochissimo per prevenire, si è lasciato sorprendere, ha pensato a se stesso, si è buttato nella politica di parte per sopravvivere, ha pensato in proprio, ma non ha tenuto conto che il futuro era racchiuso nella famiglia e nella scuola, nella loro capacità di saper essere travi portanti di un mondo proiettato verso il futuro. In questo caos quotidiano, dominato da varie forme di disorganizzazione cronica, i giovani hanno cercato conforto in situazioni antagoniste, create apposta per disarcionare un sistema ritenuto ingiusto e repressivo. In realtà il sistema è stato libertario, non ha avuto il coraggio di affermare con decisione che la libertà è un valore straordinario, capace di cambiare le sorti del mondo. Di libertà vera si è parlato poco. Si è lasciato fare con quell’aria buonista che dice tutto e non dice niente, con quel modo di fare molto poco educativo che accondiscende per non pagare dazio, lasciando che il male sfogasse la sua ira, per dimostrare che tutto era sempre sotto controllo. Famiglia e scuola si sono affrontate in campo aperto, mettendo a nudo le precarietà di un mondo privo di coordinate stabili, incapace di rimettere in equilibrio la prua della nave nel mare in tempesta. Il problema vero è stato nella necessità di riaffermare con decisione la stabilità funzionale della famiglia e della scuola, la capacità di queste due straordinarie agenzie educative di tornare a essere sistema corrente, capace di ricollocare quella credibilità e quella affidabilità che hanno retto e stimolato per anni la ripresa del miracolo economico e sociale, italiano.
UNA SCUOLA A TEMPO PIENO PUO’ ESSERE LA SOLUZIONE?
Oggi si torna a parlare di scuola a tempo pieno, si sente fortemente la necessità di creare una cintura di sicurezza intorno a un mondo giovanile lasciato troppo spesso in balìa dell’indifferenza umana, a causa della quale si consumano le inadempienze di un mondo che crede sempre di meno nell’umanità delle persone, trattandole spesso come strumenti per raggiungere i propri fini e i propri scopi. Dunque si fa strada l’idea di una scuola che sia somma di vocazioni e iniziative, di attività e di creatività, di umanità e di cultura, che sappia rispondere in modo completo alle attese di una natura umana che rischia di perdere per strada la propria interiorità, cercando disperatamente una via di fuga dai mille problemi che si abbattono quotidianamente sui giovani, sui professori e sulle persone in difficoltà. Una scuola che diventi tempio di educazione e di civiltà, capace di stimolare senza opprimere, di coinvolgere senza stancare, di produrre concretamente soluzioni, che sappia far amare la famiglia, la patria, la religione, investendo su una cultura attiva, che sappia adattarsi all’innovazione e alla modernità senza perdere di vista la conservazione di valori e di esperienze, una cultura che sappia orientare concretamente e umanamente i giovani verso conoscenze che sappiano unire, coinvolgere, contemperando la cultura della vita a quella del lavoro, la voglie di fare con quella di pensare. Si tratta dunque di ricreare una scuola che sia intimamente legata e correlata alle potenzialità umane, quelle che emergono quando il cuore e la mente accompagnano di pari passo l’intelligenza pratica, quella che si lega alla voglia di interagire con la materia, senza diventarne schiavi. La scuola a tempo pieno è un tipo di esperienza che si è già abbondantemente vista in passato, si tratta di una iniziativa socialmente utile, che ha politicamente risposto a esigenze di natura associativa, legate alle difficoltà organizzative del sistema familiare e sociale. Una iniziativa utile, formalmente e sostanzialmente interessante, che va supportata da una visione in cui tutto si connette, partendo da quella parte strutturale e infrastrutturale che tante lacune ha avuto in passato. Tutti quanti siamo stati testimoni di scuole fatiscenti, obsolete, inadeguate, abbandonate a un ignobile destino che, in alcuni casi, si è ritorto contro alunni ignari, vittime dell’ignoranza di un mondo adulto molto più coinvolto nelle diatribe personali, che non nelle necessità e nei bisogni della famiglia, della scuola, del lavoro. Si è lasciato poco spazio alla coscienza come strumento di valutazione delle difficoltà e delle risorse, ci si è affidati alla bacchetta magica di una politica sempre meno capace di rispondere alle esigenze di una società in rapida evoluzione. Spesso le riforme sono state create ad hoc per dimostrare al proprio elettorato di esserci, mentre in realtà si trattava di approntare cambiamenti radicali, capaci di rinnovare sul serio un sistema rimasto legato a vincoli e a situazioni inadempienti. Una scuola a tempo pieno potrebbe essere una soluzione, ma va studiata, progettata, in modo tale che diventi realmente elemento di rinascita di una generazione che ha spesso abbandonato il mondo dell’educazione, dell’istruzione e della cultura al proprio destino, immaginando che il mondo fosse solo quello degli euro, delle economie, delle finanze, delle banche e delle tecnologie più avanzate. Formare il cittadino è un impegno molto più grande, si tratta di un impegno che fonde tutte le parti nobili della natura umana, quelle che sfociano in una coscienza corretta della vita, nella capacità di saper affrontare le dinamiche esistenziali con l’orgoglio e la fierezza di chi sa trasformare la cultura in relazioni e comportamenti adeguati. Un scuola a tempo pieno è possibile, ma non deve chiudere, non deve comprimere, non deve diventare un orto privato da coltivare in relazione a obiettivi di natura elettoralistica o di parte, deve proporsi come una grande operazione di libertà, nella quale trovino posto tutte le attitudini umane, in particolare quelle che aiutano ad aprire il cuore e la mente alla conoscenza del mondo.
I TANTI PROBLEMI DA AFFRONTARE PER UNA SCUOLA CHE SAPPIA LEGGERE LE DOMANDE DEI TEMPI
Se la politica volesse creare la svolta, dovrebbe partire dalla scuola e dai suoi problemi, guardando direttamente negli occhi i genitori, gli insegnanti, gli alunni, il mondo del lavoro con le sue richieste. Chi fa politica oggi deve avere una visione ampia, deve essere in grado di restituire dignità partendo da lontano, deve avere il coraggio di dare la giusta importanza a tutti coloro che hanno il delicatissimo compito di formare l’Italia del futuro. Le riforme del passato sono state circoscritte, si sono limitate a ristrutturazioni di contorno, hanno cercato soprattutto di mettere delle pezze, aspettando tempi migliori. Si è spesso pensato a problemi strettamente legati alle discipline, alle modalità, ai voti, ma ci si è dimenticati che la scuola è prima di tutto una grande palestra di vita, dove i ragazzi vivono gran parte della loro giornata lavorativa. Come ogni ambiente che si rispetti deve essere sicuro, bello, attrezzato, ubicato in luoghi adatti, capaci di attrarre la psicologia di persone che si guardano attorno per imparare come il mondo esterno interpreti le loro attese e le loro aspirazioni. Chi ha frequentato la scuola italiana si è trovato spesso in cameroni di ex college, di ex ospedali, di ex luoghi religiosi, in luoghi destinati originariamente a ben altro e soprattutto privi di quei margini di sicurezza che un luogo pubblico dovrebbe avere. Chi ha insegnato sa con quali profonde frustrazioni abbia dovuto convivere insieme ai ragazzi: spazi angusti e obsoleti, privi di aria, muri consunti da crepe e inadempienze varie, gabinetti inferiori di numero rispetto alla popolazione scolastica, mancanza di spazi adibiti alla ricreazione, palestre inadeguate, spazi inadeguati per i ragazzi disabili, ricordo che una giovane veniva portata a spalla da un bidello ai piani superiori. Docenti hanno insegnato in scuole dove c’erano due servizi per cinquantadue maschi e due per trentasette femmine. Scuole con aule mensa occasionali, non assolutamente a norma, con aule laboratorio che erano le stesse del mattino, prive dell’attrezzatura necessaria, con inadeguati servizi di aerazione, con cancelli sempre aperti, con scale ripidissime, strette e molto poco illuminate. Scuole affacciate su strade provinciali e statali, sottoposte al bombardamento di rumori proveniente dalla strada. Per molti anni si è andati avanti nella più assoluta inadeguatezza e in molti casi ci si domandava se anche quelle cose negative che cadevano sotto il nostro sguardo giornaliero non appartenessero anch’esse al mondo della scuola. Ci sono state scuole che sono crollate a pezzi sui corpi di bambini e ragazzi inermi, scuole che hanno fatto numerose vittime, lasciando tracce di disperazioni profonde in mamme e papà, scuole che ancora oggi vivono pessime condizioni manutentive, eppure ci se ne accorge solo quando i ragazzi tornano a scuola dopo le vacanze estive, quando si arriva al dramma, all’eccesso, all’assoluta mancanza di attenzione. Il mondo corre incontro ai drammi e diventa buonista all’occorrenza per dimostrare la sua volontà, ma si dimentica sempre più spesso dell’educazione, della scuola, dei docenti, degli alunni, del personale della scuola, si dimentica che il mondo va avanti e che chiede di essere monitorato continuamente, di essere modificato, ristrutturato e in molti casi costruito di nuovo. Si dimentica che vivere a scuola è vivere nella città dell’educazione, dove i ragazzi devono sentirsi a casa, vivendo i loro interessi e le loro attitudini in modo ampio e disteso. Quando si vedono ragazzini che fuggono dalla scuola dopo il suono dell’ultima campanella è un brutto segno, vuol dire che quella scuola non trattiene, respinge, vuol dire che non ha la capacità di soddisfare la volontà creativa dei giovani, la loro ricerca di libertà e allora vale la pena fare un esame di coscienza per cercare di capire se lo spirito è quello di cui la scuola ha realmente bisogno. Sale di lettura, sale d’ascolto, sale per il lavoro pratico, sale per le audizioni, per lo studio delle lingue, sale per le relazioni interpersonali, una scuola che parli con il mondo perché vuole conoscerlo, condividerlo e amarlo, una scuola che esce allo scoperto sul piano della ricerca individuale e di gruppo, una scuola capace di interagire con il mondo del lavoro, capace di non dimenticare il passato, ma di sentirsi saldamente ancorata al presente e proiettata verso il futuro. Una scuola che insegni il confronto delle culture, che non abbia paura di confrontarsi, di confermare il suo spirito critico, il suo dinamismo, la sua eterogeneità, la sua voglia di entrare a pieno titolo nella vita attiva, quella che forma il cittadino, che lo istruisce e lo educa a trovare se stesso e il suo rapporto con gli altri. Interagire, relazionarsi, stabilire rapporti interpersonali, inventare, creare, studiare le lingue in un rapporto diretto con giovani di altre nazioni, di altri continenti, una scuola che si sappia guardare dentro, che sappia prendere coscienza della realtà con il desiderio di cambiarla, di farla diventare più umana, senza sentirsi condizionata dal suono di una campanella o da spazi che riducono al minimo le aspirazioni, la voglia di fare, di leggere, di ascoltare, di comporre, di dare libero sfogo alla forza investigativa dell’essere umano. In questi anni ci siamo lasciati distrarre dai grandi tormenti epocali, siamo stati risucchiati da temi e problemi più grandi di noi, ci siamo lasciati coinvolgere e abbiamo scoperto quanto fossimo inadatti e incapaci di rispondere alle improvvise richieste di un genere umano alle prese con i mille drammi della vita, abbiamo dovuto prendere atto di quanto non fossimo pronti a rispondere alle chiamate di un mondo improvvisamente “impazzito”, alla ricerca di una nuova collocazione, di una civiltà che avesse il dono della disponibilità sociale, salvo prendere atto di quanto marciume avessimo accumulato quasi senza accorgercene nelle pieghe di un tessuto sociale virtualmente solido, ma sostanzialmente privo di solide fondamenta. Ci siamo resi conto troppo tardi che non era solo un problema di ritocchi o di interventi procrastinati nel tempo perché ritenuti non immediati, ma di autorità e di autorevolezza che erano venute a mancare, di ruoli e figure che avevano perso di prestigio, che erano andati deteriorandosi giorno dopo giorno. La scuola ha dovuto confrontarsi con mondi che non le riconoscevano più il suo primato, è stata messa in crisi da tutta una serie di poteri che l’hanno privata della sua consistenza etica ed educativa. La parola di un docente non era più determinante, in molti casi veniva sovrastata da quella dei genitori, che spesso si schieravano con i propri figli, contro gl’insegnanti. In alcuni casi è diventata la piazza di scontro di una politica che portava le sue esasperazioni e la sua ideologia laddove sarebbe stato necessario un contributo di ampia solidarietà etica e sociale. La scuola in molti casi è stata in retroguardia, ha dovuto difendersi, ha subito attacchi su diversi fronti, non è stata capace di controbattere adeguatamente e così gli esterni hanno preso piede e tutto il sistema educativo è retrocesso, il professore è stato molto spesso alla mercé di alunni, genitori, alunni, è stato il più bullizzato. Quando il sistema educativo traballa, tutto il resto fatica moltissimo a trovare una propria identità e il rischio è che l’autorità e l’autorevolezza vadano a farsi benedire, lasciando il campo nelle mani di chi s’impone con la forza fisica. La storia di questi anni pullula di prevaricazioni e di sovrapposizioni, di gravissimi atti di maleducazione, di un sistema dominato dalla paura, dalla non possibilità di poter esercitare in modo fermo e corretto un fondamentale compito democratico. Dunque c’è un grande bisogno di riappropriazione, di ridare un senso all’educazione, di ristabilire l’energia creativa della scuola intesa come lavoro, come realizzazione personale e di gruppo, una scuola che sappia rispondere alle trasformazioni di una cultura che è sempre più espansiva, che richiede abilità di vario ordine e natura, ma soprattutto una scuola che sappia educare i giovani, che sappia farsi rispettare, che parli il linguaggio del rispetto e dell’educazione, attivando quell’entusiasmo giovanile che è lì che attende di essere rivitalizzato e orientato, una scuola che sia perfettamente in linea con il mondo del lavoro, che stimoli, produca, indirizzi, che sappia essere la base da cui partire per vivere una condizione sociale migliore. Dunque un cambiamento radicale, in cui l’essere umano sia davvero impegnato in una vera e profonda trasformazione culturale e sociale, da protagonista e non da vittima designata, come qualche volta succedeva in passato.
COSA C’E’ CHE NON VA, NELLA FAMIGLIA E NELLA SCUOLA?
La famiglia è in crisi, non ci sono dubbi. Quali le cause? Andiamo per ordine. Il passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale impone profondi mutamenti al costume del nostro paese. La famiglia contadina era patriarcale, una piccola azienda fondata sulla mutua assistenza. I vecchi avevano un ruolo dominante e lo esercitavano alla luce del loro senso pratico, del vissuto personale, di un pragmatismo nato e cresciuto nel sudore e nella fatica quotidiana. Non c’era confine tra tempo e lavoro, le regole erano poche e ben chiare a tutti: sostenere la famiglia, crescerla solida, unita, consapevole della propria forza e della propria identità. I figli erano un patrimonio inestimabile, l’unica, vera, grande risorsa su cui la famiglia costruiva il suo futuro. Il valore era l’unità, lo era nella filosofia familiare e in quella lavorativa. La cooperazione era il simbolo della solidarietà economica e sociale. L’ultima fase è stata caratterizzata dal graduale superamento dello status padronale, fondato su vincoli molto simili a quelli vigenti nel sistema feudale e ci si è avviati verso forme di indipendenza che hanno permesso di allargare la sfera del benessere individuale e collettivo. Il passaggio alla civiltà industriale comporta un profondo mutamento d’immagine, di ruoli, di competenze, di tempi, di modelli di comportamento, di livelli relazionali. La famiglia inizia a sperimentare assetti aggregativi, determinati dalle nuove condizioni lavorative e dalla graduale acquisizione di una funzionale indipendenza dei componenti. La donna, che ha sempre condiviso con l’uomo il lavoro della terra e la cura degli animali domestici, mantenendo intatta la propria centralità familiare, assume un ruolo meno vincolante, proiettando verso l’esterno la sua personalità, il suo naturale desiderio all’affermazione delle proprie risorse umane e intellettuali. Prende coscienza della propria dimensione sociale, politica, religiosa, culturale e istituzionale. La famiglia non è più l’unico ambito in cui giocare la propria “costituzionalità”. Parole come diritto e dovere si alternano in una dimensione nuova e impongono un riassetto istituzionale della famiglia stessa. La sistematica trasformazione dei modelli economici determina un costante adeguamento da parte dei componenti, in particolare dei figli, costretti a vivere la maggior parte del loro tempo con i nonni o con personale sostitutivo. Viene a cadere l’immagine dei figli come potenzialità economica o forza lavoro, grazie anche all’obbligo scolastico, che muta radicalmente l’indirizzo socio-culturale, riconoscendo il primato della cultura del diritto su quella della sudditanza al vincolo paterno e materno. La democrazia si allarga e comporta un adeguamento di rotta da parte dei componenti della famiglia. Fa la sua comparsa la televisione, strumento di informazione e fenomeno socializzante. Nelle case arriva il benessere economico, sotto forma di oggetti di consumo popolare. La parità costituzionale dei membri dell’unità familiare determina una paritaria suddivisione dei diritti e dei doveri e, di conseguenza, il riconoscimento e la fruizione di spazi personali conformi al nuovo modello istituzionale. In molti casi ne fanno le spese i figli, costretti alla gestione autonoma e diretta dello spazio temporale e della propria condizione umana. L’autonomia, in molti casi, diventa solitudine e la mancanza di sviluppo relazionale determina una consistente regressione della socialità. Molte riforme, addotte come nuovi elementi di modernità e di democrazia, creano le basi per una progressiva alienazione del concetto di diritto e di dovere ed una progressiva appropriazione indebita del concetto di legalità. La famiglia allenta i propri vincoli, viene via via a cadere la “sacralità” come impegno etico e tutto si allinea su uno pseudo concetto di democrazia, creato dall’uomo a propria immagine e somiglianza, per sfuggire a quelle regole che ne avevano guidato i comportamenti nel corso degli anni. Cadono i vincoli che avevano marcato i confini del lecito e dell’illecito, del giusto e dell’ingiusto, subentra una gestione personale della vita, della famiglia, della scuola, della società civile, della coscienza civica e della moralità. La legge sul divorzio allarga le maglie, fornendo nuova linfa a chi vive la condizione dell’incertezza e del dubbio, creando un terreno libertario, favorevole ad una società sempre più indifferente ai fastidi della legge, del dovere, della legalità, dell’etica, della religione e di tutto ciò che in qualche modo limita il desiderio di profanazione della giustizia e delle sue regole. Gli adulti non sono più un esempio, cedono ai compromessi e trasformano l’impegno in un’ arbitraria gestione del proprio modo di essere all’interno della società civile. La famiglia cede sempre di pù alle lusinghe del benessere, come modalità di affermazione del proprio status e abbandona via via quei valori che l’avevano posta al centro del nostro ordinamento democratico e della vita stessa, perché la famiglia è stata, da sempre, il luogo deputato alla fruizione della vita e al suo consolidamento. La legalizzazione dell’aborto ha dato un altro colpo deciso al principio sovrano della legalità ed ha dimostrato quanto fosse precaria la filosofia educante del tempo, espressione di una cultura della vita profondamente in crisi. Contemporaneamente la scuola viene via via svuotata della sua autorità e consegnata alle famiglie italiane, impreparate a gestire una condizione giuridico-culturale-educativa complessa, non solo sul piano dei contenuti, ma soprattutto sul piano delle relazioni interpersonali e della comunicazione in generale. L’impatto della scuola con gli organi collegiali, imposti dalla politica, è disastroso sotto tutti i profili. Per molti genitori la riforma degli organi collegiali è stata la rivincita di chi si è ritenuto vittima di una classe insegnante e dirigente troppo legata a regole e imposizioni di vertice. Le riforme sono state lo strumento di rivendicazione sociale dell’ideologia politica che ha partorito le utopie sessantottine. La nomenclatura scolastica postsessantottina si è via via impossessata del potere, sviluppando forme di sperimentazione che hanno drammaticamente travolto ogni paletto educazionale. Tutto è diventato lecito e possibile, anche compiere gravissimi atti di vandalismo e di prevaricazione, consapevoli di avere la legge dalla propria parte. Le due principali agenzie educative italiane si sono trovate improvvisamente prive di un codice di comportamento e di qualsiasi “arma” di difesa personale, consegnate nelle mani di un “integralismo ideologico” assolutamente privo di scrupoli e molto attento a consolidare le proprie strategie. Scuola e famiglia si sono trovate l’una contro l’altra e la collaborazione si è trasformata in una lunga serie di conflitti, ricatti e di frantumazioni, di scontri e di guerre ad oltranza. A distanza di anni scuola e famiglia stanno pagando a caro prezzo la commercializzazione dei valori, l’abusivismo politico, un eccesso di sindacalizzazione, il revanschismo sessantottino, la progressiva desituazione del sistema democratico e delle sue leggi. Nella scuola si è passati da un eccesso di verticismo decisionista ad un eccesso di individualismo periferico, dedito a forme estreme di sperimentazione e di progressiva destrutturazione del sistema. Oggi la famiglia e la scuola italiana soffrono di malesseri radicati e profondi e la loro inaffidabilità è all’origine della generale decadenza del costume, dell’incertezza e dell’arbitrarietà che regnano sovrane ovunque, nel nostro paese. La politica è assolutamente incapace di dettare una linea di condotta, perché è vittima degli stessi vizi che hanno attaccato le due istituzioni chiave del nostro ordinamento istituzionale. E’ difficile ipotizzare oggi chi potrebbe ricostruire quello che è stato distrutto in questi anni di apparente sviluppo. Certamente occorre fare chiarezza e restituire a ciascuno le proprie responsabilità, in modo tale che non esistano dubbi in proposito. La scuola deve tornare ad essere della scuola e il docente deve essere sovrano nell’esercizio della sua delicatissima funzione. La scuola deve poter contare su regole vincolanti e molto chiare, soprattutto sul piano della giustizia e della legalità, in modo che chiunque compia atti o azioni illeciti, prevaricazioni e trasgressioni, sia sottoposto a sanzioni adeguate. La condotta deve avere uno spazio fondamentale, perché l’educazione è il perno attorno al quale gravitano la società civile e lo stato. La famiglia deve tornare ad educare, a sviluppare forme di attenzione adeguate e mirate. Lo stato ha il dovere di proteggere la famiglia, di responsabilizzarla con l’assunzione, anche a livello penale, di precisi impegni e responsabilità, soprattutto nell’espletazione della sua funzione educante. Scuola e famiglia devono interagire sulla base di valori e obiettivi comuni, mantenendo un dialogo aperto, dialettico e democratico, ma autonomo nell’esercizio della propria funzione e identità. Lo stato deve garantire l’autonomia di queste due fondamentali agenzie educative, fornendo tutta l’attenzione necessaria perché possano esercitare al meglio la loro naturale vocazione alla formazione dei futuri cittadini e cittadine. Viviamo in una società che ha polverizzato tutti i freni inibitori, istituzionalizzando il malessere, cancellando ogni forma di autorità e teorizzando l’impulso alla libertà come soluzione di tutti i mali. La diffusione della tolleranza etica e costituzionale delle famiglie alternative, da parte di una classe politica confusa e priva di solidi principi ispiratori, ha creato un grave malessere soprattutto nei giovani, sempre più fragili e incapaci di un’organizzazione sentimentale e mentale che favorisca una qualsiasi affinità elettiva solida e duratura nel tempo. Il mondo giovanile vive una perenne sperimentazione esistenziale, privo di certezze, legato ad una sostanziale inquietudine, mancante di quella condizione necessaria a garantire un ordine ed una credibilità alla loro vita. Scuola e famiglia non possono sostenere da sole il peso di una democrazia malata e priva di fondamenti etici, hanno bisogno di una società civile e di uno stato che si assumano con grande impegno le loro responsabilità, delineando con chiarezza i confini del lecito e dell’illecito, della giustizia e dell’ingiustizia, della legalità e dell’illegalità, di ciò che è buono e di ciò che è cattivo. Per ricostruire una famiglia ed una scuola capaci di rispondere alle numerose e complesse domande dei tempi, occorre che il paese possa contare su una politica capace di essere un esempio ed un modello credibili e su un sistema democratico che trovi nei cittadini i veri garanti della cosa pubblica.
LA SCUOLA, UNA COMUNITA’ COESA
Si ha la netta sensazione che la scuola sia un altro mondo, che non interessi più di tanto, se non quando diventa teatro di eventi esplosivi che richiamano l’attenzione mediatica, come il tristissimo fenomeno del bullismo o quello di genitori che picchiano insegnanti o quello di giovani alunni che minacciano o peggio ancora picchiano o intimidiscono insegnanti fragili e indifesi. La scuola ha una importante vocazione educativa, è il luogo in cui la società nasce, cresce e si sviluppa, aprendo le porte alla consapevolezza etica, morale, sociale, civile e dove s’inizia a capire quali siano realmente i comportamenti da adottare per rendere più interessante e aperta la vita di relazione partendo dal valore della cultura, dalla sua capacità di modificare in meglio i comportamenti umani. Non tutte le opinioni concordano sulla valenza educativa della scuola, c’è infatti chi la vede e la pensa più come opportunità d’istruzione che non educativa in senso stretto, mentre c’è chi ritiene che le materie di studio abbiano una pluralità di risvolti che si legano sia alla conoscenza, alla formazione e che il tutto navighi sotto la stella dell’educazione. Mi è capitato spesso di leggere e commentare poesie e di aver colto gli aspetti educativi di una attività letteraria che si lega alla formazione di uno spirito attento alla sua vocazione espressiva, morale, sociale, politica e ambientale. Non c’è momento o attività culturale che non abbia una sua ricaduta sociale, che non riverberi nella capacità di creare nuovi contatti, proiezioni, pensieri o modi di essere. La scuola nella sua complessità e nella sua offerta copre l’anima del discente, del docente e quella della società in cui entrambi vivono e operano, in molti casi la mettono a nudo, ne scandiscono la ricerca, ne mettono a fuoco la tensione, ne ravvivano la proiezione, sviluppando parti di una cultura educativa che altrimenti rimarrebbe fuori dal circuito della ricchezza dell’essere umano e delle sue risorse. Nella scuola si compendia la propensione umana alla ricerca e alla conoscenza, c’è nel cammino scolastico il sale di una dimensione educativa che si esplica nella forza di una cultura aperta e solidale, capace di rinnovarsi e di rinnovare, di dettare nuove forme e nuovi contenuti, di approdare sempre a variabili formative di grande spessore umano. La scuola è sostanzialmente una comunità coesa, lo è nella misura in cui sa orientare con determinazione l’energia che porta dentro e quella con la quale viene a contatto. Il problema è che rimane spesso <a mezzo il guado>, non sa come partire e dove arrivare esattamente, si lascia condurre e fatica moltissimo a prendere in mano con decisione le redini di un rapporto educativo che è straordinariamente bello e suggestivo, ma che spesso non sa come uscire da un eccesso di sensibilità democratica, quella che se ben condivisa può essere argine alle mille incongruenze di un’ indisciplina diffusa. Orientare, responsabilizzare, far crescere il desiderio di imparare, di valutare, di studiare, sono aspirazioni sufficientemente propositive per creare un tipo di scuola che sappia dare risposte precise a un’umanità spesso in balia dell’incertezza, della voglia di sconfinare, di smaterializzare anche ciò che per anni ha retto il contrasto con varie forme di crisi esistenziale. Oggi la scuola avverte il peso di trasformazioni epocali e dove spesso non basta più definire e restringere il pensiero, bisogna lasciare che si tenda, che si liberi dai vincoli che lo hanno tenuto prigioniero del tempo. La scuola ha il dovere di superare il suo confine tradizionale, di approdare a liti in cui lo scontro diventa confronto, capacità di cogliere e unire la pluralità di messaggi che s’irradiano nel panorama culturale nazionale e mondiale. Forse è finito il tempo del piccolo mondo antico, della siepe dell’infinito, della vena malinconica, della forza e della bellezza del sapere individuale e ne sta iniziando uno in cui si guarda con più interesse alla globalità delle risorse e della creatività, un’epoca in cui la scuola si deve aprire, deve riavviare un’identità applicativa molto più ampia e molto più attenta, capace di competere con i fermenti antropologici e umanitari di un mondo molto più ampio di quello che abbiamo conosciuto.
INDICAZIONI PER UN MIGLIORAMENTO DELL’ASSETTO SCOLASTICO.
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- Ripristino del voto di condotta, come strumento determinante ai fini della valutazione intermedia e finale.
2.Ripristino degli esami di riparazione.
- La scuola deve riacquistare una propria completa indipendenza rispetto al potere genitoriale e deve rispondere al controllo di una commissione che ne verifichi, periodicamente, il livello culturale ed educativo.
- Attivazione di carriere che incentivino il livello motivazionale del docente.
- Potenziare il livello meritocratico. Le scelte di carriere devono essere fatte sulla base di meriti acquisiti sul campo e di preparazioni specifiche condotte da personale specializzato, non per concorso. I concorsi si prestano a manomissioni di ogni tipo e non esplicitano le capacità reali di chi si orienta verso una carriera docente o dirigenziale.
- Avviare e potenziare la ricerca, come momento di crescita e di confronto delle esperienze e dei livelli cognitivi e applicativi all’interno del sistema scolastico.
- Inappellabilità della sanzione scolastica. Ciò che viene deciso dal personale docente e dirigente della scuola non deve essere soggetto a ricorsi di qualsiasi tipo. Il giudizio della scuola deve essere sovrano.
- La scuola deve poter disporre di un ordine sanzionatorio forte e adeguato.
- Preparazione adeguata dei docenti di classe e di sostegno ai diversamente abili, soprattutto sul piano comunicativo e relazionale.
- Potenziamento del ruolo meritocratico ai fini della carriera.
- Compensi salariali adeguati al ruolo docente e ai livelli europei.
- Insegnamento più articolato, con esperienze pratiche di vario tipo, in cui l’alunno possa sperimentare in prima persona.
- La nostra scuola è ancora troppo nozionistica e poco sperimentale. Soprattutto nei periodi dell’infanzia e dell’adolescenza, i ragazzi apprendono passivamente e non fanno esperienze pratiche, anche all’esterno della scuola. Per questi motivi è assolutamente necessario che la scuola si apra al territorio e viceversa, in un proficuo rapporto collaborativo e pratico con le realtà economiche presenti, al fine di sperimentare sul campo l’apprendimento teorico. Manca una concertazione vera tra mondo della scuola e mondo imprenditoriale, per inefficienze reciproche. Stabilire un rapporto diretto con le realtà economiche presenti sul territorio significa aprire spazi lavorativi futuri e sviluppare l’orientamento, la capacità di dare risposte concrete alle proprie aspirazioni.
- La maggioranza delle scuole italiane non rispetta gli elementari canoni strutturali e infrastrutturali. E’ necessario costruire scuole attrezzate, site in aree verdi, dove sia possibile esplicitare iniziative inter/pluridisciplinari. I docenti si trovano ad operare in spazi inadeguati, senza palestre e spazi sportivi adeguati, in condizione di estremo disagio. In molti casi le scuole sono state ricavate da strutture obsolete riadattate, ma non adatte alle esigenze di una scuola che si evolve e si trasforma per essere sempre di più all’altezza di necessità psicologiche, pedagogiche, sociali e operative in genere.
- La scuola va riorganizzata come spazio fisico e temporale.
- I docenti e i dirigenti devono essere preparati in modo adeguato nella gestione delle reciproche competenze. Le carenze maggiori riguardano la sfera comunicativa, quella che investe direttamente i rapporti relazionali all’interno della scuola. Il personale direttivo ha spesso problemi di tipo relazionale, con ricadute negative sulla funzionalità dell’azienda scolastica.
- Il concetto di scuola all’italiana è ancora legato ai quattro muri di un’aula. Occorre superare questa forma pregiudiziale ed entrare nell’ottica che la scuola è il mondo in cui viviamo, il territorio sul quale operiamo, le persone che incontriamo, la realtà che ci sta intorno. E’ doveroso creare un rapporto più diretto tra le diverse realtà operanti sul territorio.
- La scuola deve sviluppare l’attività creativa, la ricerca, la partecipazione, il confronto, deve cioè partire dal presupposto che i giovani non sono bottiglie da riempire, ma energie da orientare. Compito dei docenti è quello di fornire gli strumenti, ma occorre che siano i ragazzi a trovare le soluzioni.
- La scuola deve formare il nuovo cittadino, capace di esprimere una dimensione più ampia e approfondita dei rapporti e delle relazioni sociali. E’ in piccolo lo spaccato della società globale, quella che ci invita ad un confronto più serrato con le diverse culture e le diverse tradizioni con le quali ci troviamo a convivere e a relazionarci.
COSA C’E’ CHE NON VA, NELLA FAMIGLIA E NELLA SCUOLA?
La famiglia è in crisi, non ci sono dubbi. Quali le cause? Andiamo per ordine. Il passaggio dalla civiltà contadina a quella industriale impone profondi mutamenti al costume del nostro paese. La famiglia contadina era patriarcale, una piccola azienda fondata sulla mutua assistenza. I vecchi avevano un ruolo dominante e lo esercitavano alla luce del loro senso pratico, del vissuto personale, di un pragmatismo nato e cresciuto nel sudore e nella fatica quotidiana. Non c’era confine tra tempo e lavoro, le regole erano poche e ben chiare a tutti: sostenere la famiglia, crescerla solida, unita, consapevole della propria forza e della propria identità. I figli erano un patrimonio inestimabile, l’unica, vera, grande risorsa su cui la famiglia costruiva il suo futuro. Il valore era l’unità, lo era nella filosofia familiare e in quella lavorativa. La cooperazione era il simbolo della solidarietà economica e sociale. L’ultima fase è stata caratterizzata dal graduale superamento dello status padronale, fondato su vincoli molto simili a quelli vigenti nel sistema feudale e ci si è avviati verso forme di indipendenza che hanno permesso di allargare la sfera del benessere individuale e collettivo. Il passaggio alla civiltà industriale comporta un profondo mutamento d’immagine, di ruoli, di competenze, di tempi, di modelli di comportamento, di livelli relazionali. La famiglia inizia a sperimentare assetti aggregativi, determinati dalle nuove condizioni lavorative e dalla graduale acquisizione di una funzionale indipendenza dei componenti. La donna, che ha sempre condiviso con l’uomo il lavoro della terra e la cura degli animali domestici, mantenendo intatta la propria centralità familiare, assume un ruolo meno vincolante, proiettando verso l’esterno la sua personalità, il suo naturale desiderio all’affermazione delle proprie risorse umane e intellettuali. Prende coscienza della propria dimensione sociale, politica, religiosa, culturale e istituzionale. La famiglia non è più l’unico ambito in cui giocare la propria “costituzionalità”. Parole come diritto e dovere si alternano in una dimensione nuova e impongono un riassetto istituzionale della famiglia stessa. La sistematica trasformazione dei modelli economici determina un costante adeguamento da parte dei componenti, in particolare dei figli, costretti a vivere la maggior parte del loro tempo con i nonni o con personale sostitutivo. Viene a cadere l’immagine dei figli come potenzialità economica o forza lavoro, grazie anche all’obbligo scolastico, che muta radicalmente l’indirizzo socio-culturale, riconoscendo il primato della cultura del diritto su quella della sudditanza al vincolo paterno e materno. La democrazia si allarga e comporta un adeguamento di rotta da parte dei componenti della famiglia. Fa la sua comparsa la televisione, strumento di informazione e fenomeno socializzante. Nelle case arriva il benessere economico, sotto forma di oggetti di consumo popolare. La parità costituzionale dei membri dell’unità familiare determina una paritaria suddivisione dei diritti e dei doveri e, di conseguenza, il riconoscimento e la fruizione di spazi personali conformi al nuovo modello istituzionale. In molti casi ne fanno le spese i figli, costretti alla gestione autonoma e diretta dello spazio temporale e della propria condizione umana. L’autonomia, in molti casi, diventa solitudine e la mancanza di sviluppo relazionale determina una consistente regressione della socialità. Molte riforme, addotte come nuovi elementi di modernità e di democrazia, creano le basi per una progressiva alienazione del concetto di diritto e di dovere ed una progressiva appropriazione indebita del concetto di legalità. La famiglia allenta i propri vincoli, viene via via a cadere la “sacralità” come impegno etico e tutto si allinea su uno pseudo concetto di democrazia, creato dall’uomo a propria immagine e somiglianza, per sfuggire a quelle regole che ne avevano guidato i comportamenti nel corso degli anni. Cadono i vincoli che avevano marcato i confini del lecito e dell’illecito, del giusto e dell’ingiusto, subentra una gestione personale della vita, della famiglia, della scuola, della società civile, della coscienza civica e della moralità. La legge sul divorzio allarga le maglie, fornendo nuova linfa a chi vive la condizione dell’incertezza e del dubbio, creando un terreno libertario, favorevole ad una società sempre più indifferente ai fastidi della legge, del dovere, della legalità, dell’etica, della religione e di tutto ciò che in qualche modo limita il desiderio di profanazione della giustizia e delle sue regole. Gli adulti non sono più un esempio, cedono ai compromessi e trasformano l’impegno in un’ arbitraria gestione del proprio modo di essere all’interno della società civile. La famiglia cede sempre di pù alle lusinghe del benessere, come modalità di affermazione del proprio status e abbandona via via quei valori che l’avevano posta al centro del nostro ordinamento democratico e della vita stessa, perché la famiglia è stata, da sempre, il luogo deputato alla fruizione della vita e al suo consolidamento. La legalizzazione dell’aborto ha dato un altro colpo deciso al principio sovrano della legalità ed ha dimostrato quanto fosse precaria la filosofia educante del tempo, espressione di una cultura della vita profondamente in crisi. Contemporaneamente la scuola viene via via svuotata della sua autorità e consegnata alle famiglie italiane, impreparate a gestire una condizione giuridico-culturale-educativa complessa, non solo sul piano dei contenuti, ma soprattutto sul piano delle relazioni interpersonali e della comunicazione in generale. L’impatto della scuola con gli organi collegiali, imposti dalla politica, è disastroso sotto tutti i profili. Per molti genitori la riforma degli organi collegiali è stata la rivincita di chi si è ritenuto vittima di una classe insegnante e dirigente troppo legata a regole e imposizioni di vertice. Le riforme sono state lo strumento di rivendicazione sociale dell’ideologia politica che ha partorito le utopie sessantottine. La nomenclatura scolastica post sessantottina si è via via impossessata del potere, sviluppando forme di sperimentazione che hanno drammaticamente travolto ogni paletto educazionale. Tutto è diventato lecito e possibile, anche compiere gravissimi atti di vandalismo e di prevaricazione, consapevoli di avere la legge dalla propria parte. Le due principali agenzie educative italiane si sono trovate improvvisamente prive di un codice di comportamento e di qualsiasi “arma” di difesa personale, consegnate nelle mani di un “integralismo ideologico” assolutamente privo di scrupoli e molto attento a consolidare le proprie strategie. Scuola e famiglia si sono trovate l’una contro l’altra e la collaborazione si è trasformata in una lunga serie di conflitti, ricatti e di frantumazioni, di scontri e di guerre ad oltranza. A distanza di anni scuola e famiglia stanno pagando a caro prezzo la commercializzazione dei valori, l’abusivismo politico, un eccesso di sindacalizzazione, il revanSchismo sessantottino, la progressiva desituazione del sistema democratico e delle sue leggi. Nella scuola si è passati da un eccesso di verticismo decisionista ad un eccesso di individualismo periferico, dedito a forme estreme di sperimentazione e di progressiva destrutturazione del sistema. Oggi la famiglia e la scuola italiana soffrono di malesseri radicati e profondi e la loro inaffidabilità è all’origine della generale decadenza del costume, dell’incertezza e dell’arbitrarietà che regnano sovrane ovunque, nel nostro paese. La politica è assolutamente incapace di dettare una linea di condotta, perché è vittima degli stessi vizi che hanno attaccato le due istituzioni chiave del nostro ordinamento istituzionale. E’ difficile ipotizzare oggi chi potrebbe ricostruire quello che è stato distrutto in questi anni di apparente sviluppo. Certamente occorre fare chiarezza e restituire a ciascuno le proprie responsabilità, in modo tale che non esistano dubbi in proposito. La scuola deve tornare ad essere della scuola e il docente deve essere sovrano nell’esercizio della sua delicatissima funzione. La scuola deve poter contare su regole vincolanti e molto chiare, soprattutto sul piano della giustizia e della legalità, in modo che chiunque compia atti o azioni illeciti, prevaricazioni e trasgressioni, sia sottoposto a sanzioni adeguate. La condotta deve avere uno spazio fondamentale, perché l’educazione è il perno attorno al quale gravitano la società civile e lo stato. La famiglia deve tornare ad educare, a sviluppare forme di attenzione adeguate e mirate. Lo stato ha il dovere di proteggere la famiglia, di responsabilizzarla con l’assunzione, anche a livello penale, di precisi impegni e responsabilità, soprattutto nell’espletazione della sua funzione educante. Scuola e famiglia devono interagire sulla base di valori e obiettivi comuni, mantenendo un dialogo aperto, dialettico e democratico, ma autonomo nell’esercizio della propria funzione e identità. Lo stato deve garantire l’autonomia di queste due fondamentali agenzie educative, fornendo tutta l’attenzione necessaria perché possano esercitare al meglio la loro naturale vocazione alla formazione dei futuri cittadini e cittadine. Viviamo in una società che ha polverizzato tutti i freni inibitori, istituzionalizzando il malessere, cancellando ogni forma di autorità e teorizzando l’impulso alla libertà come soluzione di tutti i mali. La diffusione della tolleranza etica e costituzionale delle famiglie alternative, da parte di una classe politica confusa e priva di solidi principi ispiratori, ha creato un grave malessere soprattutto nei giovani, sempre più fragili e incapaci di un’organizzazione sentimentale e mentale che favorisca una qualsiasi affinità elettiva solida e duratura nel tempo. Il mondo giovanile vive una perenne sperimentazione esistenziale, privo di certezze, legato ad una sostanziale inquietudine, mancante di quella condizione necessaria a garantire un ordine ed una credibilità alla loro vita. Scuola e famiglia non possono sostenere da sole il peso di una democrazia priva di forti fondamenti etici, hanno bisogno di una società civile e di uno stato che si assumano con grande impegno le loro responsabilità, delineando con chiarezza i confini del lecito e dell’illecito, della giustizia e dell’ingiustizia, della legalità e dell’illegalità, di ciò che è buono e di ciò che è cattivo. Per ricostruire una famiglia ed una scuola capaci di rispondere alle numerose e complesse domande dei tempi, occorre che il paese possa contare su una politica capace di essere un esempio ed un modello credibili e su un sistema democratico che trovi nei cittadini i veri garanti della cosa pubblica.
UNA SCUOLA CON PIU’ FONDI, PIU’ ATTREZZATA, PIU’ CAPACE DI ESSERE COMPETITIVA IN EUROPA E NEL MONDO
La scuola è il punto di partenza di una democrazia seria, che vuole crescere, rafforzarsi, creare le condizioni perché il popolo sovrano abbia tutte le certezze necessarie che servono per aprirsi ai bisogni e alle necessità del mondo. Sono lontani i tempi di una concezione classista, di poteri marginali, di riforme fragili e superficiali spesso vincolate a espedienti di natura politico elettoralistica, siamo distanti anni luce dal tempo in cui alcune discipline alzavano i muri, lasciando nell’ombra quella parte di educazione determinante nell’acquisizione di una rappresentatività ampia e solidale, capace di definire una personalità e una società capaci di forte autonomia e di cosciente competitività con un mondo in crescita costante. Sono lontani i tempi di un aristocratico immobilismo, dove spesso la praticità veniva scambiata per basso profilo e il classicismo piaceva moltissimo alla quintessenza del potere, in particolare alle dinastie che contavano sul mondo classico per confermare un’oligarchia culturale destinata al dominio e al comando. Siamo usciti da una scuola perfetta nella sua sintesi nozionistica, ma ampiamente superata nella sua veste geopolitica, nella sua capacità di rendere competitiva la sua anima nobile, quella che non si ferma di fronte alle sfide, ma le sollecita e le affronta, mettendo in campo tutto quello che serve per aprire il cuore e la mente di una gioventù capace di pensare e di produrre, curiosa e operativa, desiderosa di indipendenza e di autonomia, di uscire dalle convenzioni pericolose, quelle che non permettono di formare una coscienza significativamente libera e attenta alle provocazioni dei tempi e delle società. Ristrutturare la scuola significa dotarla di una forte capacità autocritica, di metterla in condizione di poter operare in condizione di assoluta autonomia, consegnandole una forte indole investigativa, mettendole a disposizione tutto ciò che è necessario per una formazione la più ampia possibile, evitandole qualsiasi forma di subalternità. La scuola è operativa se può contare su un’ampia disponibilità economico finanziaria non solo da parte dello Stato, ma da parte di tutti gli enti territoriali che concorrono al buon funzionamento della società civile e delle sue risorse. E’ nella sua tensione aziendale che la scuola oltrepassa i muri e diventa unione capace di ricercare, innovare, produrre, trasformare la teoria in costruzione pratica, la curiosità in proposta, l’idealità in voglia di fare e di costruire, l’intelligenza nella capacità di progettare e di produrre. Una scuola dinamica, furba, attenta, che si protende verso l’acquisizione di una coscienza attiva che indaga, che crea le condizioni di un confronto, che si pone al servizio di una società per potenziarne la sensibilità immaginativa e ideativa. Una scuola vera, di supporto e di proposizione, che non si lascia intimorire da quantificazioni formali, ma che scava con arguzia nel cuore della vita, cercando i motivi di una bellezza che non cessa mai di essere vera, profonda, magica, unica, eterna. Superare l’ideologia classista significa sviluppare quel fine senso della libertà che permette di entrare in sintonia con quella cultura educativa che consente agli esseri umani di capire qualcosa di più della loro straordinaria avventura intellettuale. Non un intellettualismo di maniera, legato a stereotipi e ad archetipi, ma qualcosa di vivo, che affonda il lungo abbraccio della conoscenza nel mistero della vita umana, scoprendone quei sentimenti e quelle emozioni che ce la fanno apparire sempre un po’ diversa, più bella, più interessante, più capace di convincere che la verità possa essere ben oltre i muri dell’immobilismo. Una scuola che faccia riscoprire il valore della mente e del cuore, la necessità di ritrovare un equilibrio tra spirito e ragione, che sappia trasferire negli esseri umani il senso della missione e della fratellanza, che sappia andare oltre la stereotipia di un giudizio freddo e disinteressato, che sia capace di entrare nello sconfinato mondo della ricchezza interiore per coltivarla, farla conoscere, amare e apprezzare. Forse è finito il tempo di quattro muri freddi e di un cortiletto affacciato su una strada provinciale, quello di aule strette e invivibili, di spazi inadeguati, incapaci di dare risposte confacenti a giovani esuberanti, forse è arrivato il momento di usare in modo sapiente i soldi che arrivano dall’Europa, creando una scuola nuova, capace di animare, di assolvere alle mille curiosità che scuotono una natura umana fertile e generosa, ma spesso imbrigliata da mille incapacità e promesse mai mantenute. La scuola deve rinascere e, forse, la pandemia è servita anche a questo, a far riflettere chi doveva riflettere, chi doveva rimettere le cose al loro posto, puntando al cuore di attese per troppo tempo disattese, a una libertà che consenta ai giovani di mettere sul piatto le loro straordinarie energie mentali e morali.