Ci sono momenti in cui ti sembra di scoprire il mondo, è quando capiti nella bellezza del tuo lavoro e lo comprendi meglio, impari a volergli bene, a conoscerlo più a fondo, a scoprire che quello doveva essere il tuo e che non avresti potuto fare altro. Conoscere a poco a poco il lavoro, quello che devi ripetere ogni mattina è molto importante per renderti conto che se tu sei lì, in quel preciso momento della tua storia, c’è una ragione ben precisa, nulla è per niente infatti e tutto contribuisce a rafforzare la coscienza di chi sei e di quello che fai. Ma lavorare e lavorare bene non è facile per mille ragioni, perché c’è sempre qualcuno di mezzo che non ti ama, non ti comprende anzi, ti combatte, perché tu non stai dalla sua parte, il tuo modo di vivere o di educare non è uguale al suo e quindi diventi un avversario se va bene o addirittura un nemico da annientare se va peggio. Stare insieme nel lavoro non è facile e non è mai stato facile, ma è fondamentale, perché nella maggior parte dei casi è da una positiva interrelazione che l’azienda e la società producono i loro frutti. Per capire qualcosa di più e di meglio dovremmo leggere o rileggere la vita dei santi. C’è qualcosa della santità che va dritto al mondo del lavoro, come il servizio ad esempio, l’altruismo, la gioia di condividere, lo star bene insieme aiutandosi a vicenda, il riconoscere le potenzialità di ciascuno, l’idea che il lavoro consolidi e potenzi l’intelligenza umana, il suo essere parte attiva di quella divina. Lavorare insieme è avere la certezza che la vita si regga su una collaborazione di fondo che va oltre l’individualismo e che si completa nella certezza che ognuno abbia ereditato la sua parte di responsabilità, per cui deve fare bene, deve essere di aiuto all’altro, anche solo per dimostrare che la verità passa attraverso un ricco sistema di relazioni umane, di approdi umani in cui l’arroganza e la superbia si ripuliscono e lasciano spazio alla condivisione o alla distruzione.
Capire l’altro era la grande capacità di san Benedetto, metterlo nella condizione di essere parte importante di un grande meccanismo umano dove la diversità diventasse ricchezza e dove ciascuno ritrovasse il suo ruolo, quello che permette di vivere, di vivere bene e di far vivere bene gli altri. Nel pensiero benedettino l’azienda è una straordinaria realtà umana prima di tutto, perché è fatta di uomini e di autorevolezze riconosciute, di benessere che risiede prima di tutto nella capacità di stare insieme e di condividere, di sentirsi parte viva di una grande realtà, senza invidie, prevaricazioni, supremazie, dove ciascuno esercita con il rispetto di tutti il suo ruolo. Nella filosofia del santo di Norcia l’azienda non è mai fine a se stessa, non insegue l’idea di un primato, non si lascia abbindolare da varie forme di autoritarismo, perché la vera autorità è in chi la esercita come lavoratore della città di Dio. Ritrovare la santità nel lavoro è fondamentale per togliere tutte quelle incrostazioni che lo rendono antipatico, sprezzante, classista, emarginante, per restituirgli quella religiosa e umana bellezza del divenire umano che lo fa apparire anche più affascinante e attraente di quanto non sembri. La vera rivoluzione è quella di amare il lavoro al punto di trasformarlo in motore della condizione umana, senza aberrazioni o attivismi, senza eccessi di protezionismo. Viviamo in una società in cui il lavoro ha perso la sua carica etica, la sua umanità, tutto ruota attorno a una globalità dove diventa difficile stabilire e capire da che parte stia il valore della persona umana. La sensazione è che il business abbia superato l’umanità stessa e che in questa corsa sfrenata prevalga sempre l’arguzia del potente, di colui che gioca la propria partita sulle regole spietate di un materialismo che uccide l’autorevolezza, il merito, la fantasia, la voglia di essere se stessi. L’azienda è viva e produttiva quando i suoi componenti hanno ben chiaro quello che stanno facendo, quando si sentono motivati, apprezzati, aiutati, benvoluti, stimolati, quando sanno che potranno contare sulla solidarietà, quella che va oltre i particolarismi e i materialismi finanziari e che trova la sua massima espressione nell’animo umano, fonte di benessere costruttivo, elaboratore di armonia esistenziale e di autorevolezza umana. Il mondo del lavoro ha un estremo bisogno di essere valorizzato, di sapere che può contare sulla collaborazione, in particolare da parte di chi ha il dovere di emanciparlo dai condizionamenti, perché possa vivere e prosperare. Per troppo tempo le ideologie si sono appropriate del lavoro e dei lavoratori, arrogandosi il diritto di orientarli secondo strategie di natura ideologica e classista, per coltivare un campo d’azione favorevole ai propri interessi. Nella sua storia, il mondo del lavoro è stato spesso soggetto a strategie imprenditoriali che ne hanno minato la libertà, la capacità di sapersi configurare oltre i limiti e le misure. Abbiamo assistito a varie forme di appropriazione che hanno di fatto limitato la libertà del lavoratore, impedendogli di prendere coscienza del suo stato, di poter trovare nuove vie di corrispondenza e di affermazione, di crescere come persona e come cittadino, di sentirsi parte integrante della società civile, interlocutore attento di un mondo in costante evoluzione.