Conosciamo sul serio i giovani che ci vengono incontro? E’ un interrogativo opportuno da parte di chi dovrebbe avere il compito di educare l’animo alle cose belle della vita. Un ragazzino di dieci anni, alla domanda: “ Con chi ti trovi meglio?”, risponde: “Con i miei genitori”. A quella successiva: “ E perché?”, risponde: “Perché mi danno tutto” (tutto quello di cui ho bisogno). E’ una risposta seria, piena, compiuta, che non ammette sospensioni o incertezze, è una risposta che contiene tutto, perché è tutto. E’ incredibile come i ragazzini conoscano il mondo meglio di tanti adulti, come siano attenti, dotati di punti di osservazione che solo loro hanno, in virtù di un acume leggero e intonso, capace di cogliere, individuare ed esprimere le parti meno esplorate della natura umana. E allora, ci si domanda, come mai tanta maleducazione e tanti problemi? Come mai il fenomeno del bullismo? Come mai i minori campeggiano sulle pagine dei giornali e in televisione? Come mai si arriva al punto in cui destabilizzano intere città, urlano e imprecano, bestemmiano e aggrediscono, distruggono, diventano paladini della delinquenza organizzata e del malaffare? Come mai una società democraticamente attrezzata come la nostra non è in grado di indicare una via che permetta loro di crescere in armonia con le regole, le leggi, l’educazione, la famiglia, la scuola, la società e lo stato. C’è qualcosa che non va, qualcosa di cui riesce difficile capire l’origine e la provenienza.
Non accorgersi che il mondo giovanile sia in affanno significa non capire che gli adulti abbiano delle precise responsabilità che devono affilare, per ricreare la volontà comune di fare bene, di capire le cose, di trovare soluzioni, di mettersi in ascolto di una voce, quella del cuore, che è stata sottovalutata da una società cha ha avuto e che ha la presunzione di sapere sempre tutto, di avere una risposta pronta per tutto, salvo rammaricarsi di non aver indagato abbastanza sulla natura della sua sofferenza e della sua tristezza, quando va in crisi. La voce del cuore non è secondaria, non lo è in politica, non lo è nella cultura, non lo è nella scuola, non lo è in famiglia e non lo è soprattutto là dove la ragione e il progresso falliscono, dimostrando che una comunità non può vivere di illusioni e di valori virtuali, di voci che non hanno voce. Quando capita di ascoltare un ragazzino di dieci anni che ti regala il senso della famiglia e quello della pienezza di un tutto come la vita, lo devi ascoltare con attenzione, perché in quella risposta c’è racchiuso il mondo che abbiamo perso di vista, sul quale abbiamo costruito la nostra indeterminazione. Quando un giovane ti dice che la famiglia è il luogo migliore della sua crescita esistenziale vuol dire che in quell’animo e in quel cuore sono convenuti gli insegnamenti di una comunità che, per quanto piccola, è riuscita a far passare con tutta la sua forza una tipologia molto positiva dell’amore, che occupa tutti gli spazi, anche quelli meno conosciuti. Quando si dice tutto si determina l’universalità di un messaggio. Il tutto di quel ragazzino è la risposta a un mondo educativo spesso superficiale e indifferente. In quel tutto c’è la parte di mondo che attende di essere esplorata. Forse vale la pena fermarsi un momento e riflettere su chi realmente siano quei giovani che ci richiamano sui valori veri e profondi della vita. C’è chi lo fa spesso con amore e fermezza, perché ha imparato la lezione, ma c’è chi è indifferente e non si preoccupa, sperando forse nei miracoli, senza sapere che la stabilità educativa è la base su cui fondare una società forte e coesa.