QUANDO LA TERRA PROFUMAVA DI VEGETAZIONE E DI FANTASIA
di felice magnani
Per capire il senso della storia bisogna scavare nella scatola dei ricordi, dove spesso il passato si copre di polvere e non trova più corrispondenze, salvo essere osservato e giudicato alla luce di convinzioni di carattere personale o ideologiche o di partito o di una strana forma di presunzione, in virtù della quale nulla di quello che è ormai lontano serve più a illuminare il presente. In tutto questo si riscontra una superficialità strisciante, dovuta al fatto che quello che si è appreso nell’iter scolastico non è stato forse ben collegato, si è gonfiato a strappi, a seconda delle convinzioni personali del conduttore. Si è perso per strada il profumo della storia, quello che nasce da una somma di volontà che navigano quotidianamente verso una civica presa di coscienza, fondata soprattutto sulla bellezza di valori per i quali valeva e vale ancora la pena spendere volontà, fantasia, generosità, attenzione, impegno e spirito di sacrificio. Nell’educazione di una volta ai rapporti era riservata una parte fondamentale, si iniziava con una preghiera, si continuava adottando il silenzio come forma di avviamento a una comprensione profonda, si cantavano le canzoni del Piave, l’Inno di Mameli, i canti degli Alpini, si adottava il gioco come forma di stimolazione mnemonica e culturale, si camminava in fila per le vie di un centro storico mantenendo un ordine preparato. Si respirava l’obbedienza. La politica stava fuori dalla porta e forse ancora più lontano, nessuno, pur respirando a pieni polmoni, ne sentiva la vicinanza e men che meno il respiro prevaricatore, quello che si sostituisce all’impegno maieutico, per dimostrare che il mondo è solo quello e non ne possono esistere altri. Per anni abbiamo respirato il profumo di una libertà che s’incarnava nella vena poetica di un professore innamorato di poesia e di romanzi, di racconti e di storie,di fiabe e di favole, di anime e di cuori che indicavano senza chiaroscuri da che parte s’incontrava la bellezza. Una bellezza pacata, serena, capace di educare e trasformare, sempre pronta a definire meglio una riflessione o una osservazione. La gara sapiente era quella che incrociava quel labirinto di emozioni e di sensazioni che portavi dentro e da cui non riuscivi a liberarti. Improvvisamente poi, quasi per un tocco magico, capivi che eri anche diverso da come ti avevano dipinto, scoprivi un’altra faccia della tua forma e della tua sostanza, prendevi atto che potevi anche essere più bravo, più intelligente, più ricco di fantasia, meno generico e più razionale. Era il frutto della magia della scuola, di quell’atmosfera nella quale il tuo essere si liberava e contemporaneamente liberava la sua immensa facoltà di navigare indisturbato in quel mare della conoscenza interiore che la famiglia aveva temporaneamente castrato, immaginando che quei figli fossero ancora troppo ingenui o troppo piccoli per capire. La storia di un popolo, prima ancora di essere storia comunitaria, è storia personale, è ricerca costante d’identità, è voglia di capire che cosa abbia prodotto un certo comportamento, è entrare nel vivo della vita per comprenderla meglio, per trovare il giusto rapporto relazionale, per predisporre la natura a un nuovo incontro, quello con una realtà più grande, non sempre facile da accreditare, meravigliosa proprio perché complessa. E’ nella dialettica che si sommano le differenze, quei modi di essere e quei caratteri che avevamo dati per scontati, ma che in realtà avevano e hanno una grande fame e una grande sete di relazioni e corrispondenze per delinearsi e definirsi, per farci capire di che pasta siamo fatti e di che pasta è fatto quel mondo nel quale ci siamo buttati a volte con impeto e a volte con diffidenza e con un po’ di timore, per evitare di perderci. Dunque andare alla ricerca della propria storia è un passo fondamentale per capire chi siamo, ma la storia, proprio perché in continuo divenire, va collocata nella sua giusta dimensione, immaginandola come una straordinaria sequenza di fatti, di azioni, di volti e caratteri che ci vengono incontro per aiutarci a comprendere meglio i perché della nostra vita personale e i perché di quella che coinvolge direttamente o indirettamente il nostro essere comunità. Chi non conosce il senso della storia difficilmente potrà capire quale sia la direzione di marcia da intraprendere, ecco perché la scuola svolge una straordinaria azione di conversione, ma soprattutto di osservazione e di convergenza. Attraverso l’indagine critica s’impara a mettere sotto la lente d’ingrandimento tutto ciò che in certi casi ci viene dato per scontato, quasi come se improvvisamente la storia fosse diventata proprietà personale o eroica creazione di qualcuno. La storia ha una sua consequenziarietà, una sua lettura grammaticale, ha i suoi punti fermi che, per essere fortemente capiti, hanno bisogno di essere analizzati senza cadere nello spirito di parte, quello che la spoglia e la depotenzia, fino a farla diventare una succursale del proprio potere d’acquisto. In molti casi la cultura si è fermata, non ha fatto il passo decisivo, forse per paura o forse per egoismo o forse ancora per vigliaccheria, non ha avuto il coraggio di ammettere che la verità ha sempre più di una faccia e che è figlia della libertà, di una libertà che apre le porte di un approfondimento perenne, che non teme i confronti, i giudizi stessi della storia, ma li ricerca, li sottopone a un’accurata analisi di verità, non badando all’interesse privato o a nascondere quello che può far male, ma cercando sempre una via mediana, una via che consenta alla curiosità e alla volontà di esplorare senza veli e senza remore tutto ciò che l’uomo ha costruito nel corso della sua storia. Viviamo spesso una cultura stereotipata, dove il brutto nasce brutto e muore brutto, mentre quello che viene offerto per bello, bravo e buono rimane sempre tale, perché è figlio legittimo di un potere consolidato, al quale fa comodo che la si pensi secondo la sua volontà unica. I grandi sistemi dittatoriali hanno incastrato la storia, l’hanno resa afona, orfana, l’hanno spogliata di personalità propria, l’hanno costretta a subire l’arroganza e la presunzione, quasi fino alla disperazione, si sono appropriati suo potere per consolidare il proprio e orientare demagogicamente la cultura popolare, quella che spesso non ha la forza di rispondere con il giusto peso alle nequizie di sistemi fondati sulla negazione della libertà personale e sulla castrazione storica e secondo i quali fuori da questa non ci possono essere vita e pensiero. Anche se i massimi sistemi sono caduti miseramente in disgrazia, il loro pensiero sopravvive, la loro vocazione alla negazione e alla contraffazione della libertà continua a mistificare e a depistare, rendendo difficile l’emancipazione. Sembrerà incredibile, ma l’onnipotenza del potere tende ancora a cancellare tutto ciò che non rientra nella sua sfera di competenza. Ci sono momenti in cui la storia si ripresenta nelle sue versioni peggiori, quelle che evocano l’odio, il rancore, la violenza, la cancellazione dell’avversario, si tratta di una storia a cui è stato impedito di crescere e di mostrarsi per quella che realmente è, un faticoso e passionale cammino di redenzione personale e di comunità. Forse è il caso di richiamare in causa la cultura e di affidarle il compito di una revisione reale, in modo tale che essere liberi non significhi esser perseguitati, ma messi nella condizione costituzionale di poter esprimere il proprio impegno e il proprio punto di vista, senza il timore di dover continuamente ricorrere alla “furbizia” umana.