C’è un edificio -la cappelletta dedicata alla Madonna delle Grazie- situato lungo l’arteria principale di Biandronno, che costituisce una presenza familiare per gli aumobilisti. A maggio -mese mariano- è meta di rosari, a Natale di addobbi. Un poco più lontano, adiacente la provinciale, c’è una stele in sarizzo, sormontata da una croce. Qualche decennio fa era stata tolta, riposizionata per volontà dell’allora primo cittadino Augusto Vanetti. “Oltre essere un simbolo religioso -ricorda- per la tradizione popolare rappresentava, assieme alla cappelletta, la testimonianza di una antica storia, sempre tramandata di padre in figlio e che, soprattutto in questi giorni di emergenza, è significativo raccontare alle nuove generazioni”. Certo, racconta di modalità di comportamento oggi assolutamente impraticabili, ma il comune denominatore tra l’attualità e il passato sta nella paura, nella speranza e nella solidarietà, vissute allora come oggi. I nostri antenati hanno affrontato difficoltà che sembrano insuperabili, come nella prima metà del Seicento quando con l’invasione dei lanzichenecchi si diffuse la peste, di manzoniana memoria, che colpì anche la nostra zona. Ne sono testimonianza i registri parrocchiali, zeppi di croci, sebbene il nome dell’epidemia non venisse citato. Il loro coraggio ha dato a noi la possibilità di vivere. Ed è in questo ottica che viene ripresentata la leggenda della donna della peste, come viene comunemente ricordata dagli anziani di Biandronno. La fisionomia del paese era quella di oggi: la chiesa, la piazza, la via principale che l’attraversava nella sua interezza, circondata da terreni coltivati ai bordi dei quali si estendevano i boschi. Un giorno, giunse nella piazza una anziana malferma, vestita di stracci, che nei paesi attorno era stata accusata di portare disgrazia e scacciata. I biandronnnesi, in un primo momento, la guardarono con sospetto e paura, ma poi il buonsenso prevalse sulle malelingue. Non chiedeva altro che essere rifocillata. Gli abitanti andarono a gara a dimostrarle affetto e generosità. Venne considerata una di loro. “Ma un giorno -interviene Pietro Parola, presidente del Centro Culturale di Biandronno, che cura le tradizioni del paese- la donna annunciò che, con grande dispiacere, doveva lasciare il paese perché il destino la chiamava altrove. Gli abitanti le donarono provviste e l’accompagnarono tutti assieme fuori dal paese fino al bivio che conduce a Travedona”. Qui, scese lentamente dal carro, e dopo aver ringraziato la popolazione che l’aveva aiutata, chiese che venisse conficcato in terra un palo sulla cui cima venne posta una pagnotta. “Tra poco -disse- questo pane verrà in parte ricoperto dalla muffa: i paesi che si troveranno nella sua direzione verranno colpiti da una terribile pestilenza. Il paese rivolto verso la parte del pane rimasta bianca non sarà toccato”. Quando sopraggiunse l’epidemia, Biandronno capì e per gratitudine nei confronti dell’anziana fece erigere una cappella alla Madonna o una stele con la croce (qui la tradizione si divide) nel punto in cui lei aveva fatto porre il pane. Una variante della leggenda, ripresa da Roberto Fassi e Angelo Calamia in “Lago per tre”, edito nel 1983, riporta che la donna salì su un carro di biandronnesi diretti al mercato di Varese. Quando giunsero alle porte della città nello scendere disse loro di aver salvato il paese da una grande calamità. Gli uomini compresero quando i paesi attorno al lago di Varese furono contagiati dalla peste e Biandronno rimase immune.
Riportare alla luce queste storie in un periodo di grave emergenza vuole solo evidenziare quanto nella memoria collettiva sia rimasta traccia di periodi bui, che non hanno però interrotto la catena delle esistenze che ci hanno preceduto. Grazie a loro noi siamo qui e con altrettanta fiducia nella vita, affrontiamo le difficoltà.
Federica Lucchini