Questa è la storia di una passione e di un felice incontro. Passione legata a Dino Buzzati, incontro avvenuto anni fa in un’anticamera di uno studio medico fra la vedova del pittore Luciano Ferriani e Alberto Palazzi, allora studente universitario e grande lettore dello scrittore bellunese. Fu in quel contesto che la donna riferì di averlo conosciuto a casa sua, in quanto amico del marito e di avere “da qualche parte una cartellina con delle sue cose”. Frase magica che ha fatto sì che venissero scoperti questi inediti. “La signora Ferriani -scrive Palazzi- mi raccontò che era stato proprio suo marito a spingere Buzzati verso l’incisione”. Dichiarazione che trova conferma in un articolo di un quotidiano romano (forse “Il Messaggero”) in cui l’autore S. Gladio scrive: “Ferriani abita una casa nascosta in mezzo ai boschi della Valcuvia, circondata da gufi, che Buzzati, il quale si reca spesso da lui, definisce “sinistri”. Lo scrittore afferma di disegnare da sempre. Poi aggiunge: “Ma dal ’55 in modo particolare. Io disegno, al contrario di molti pittori professionisti, per dire qualcosa, per raccontare una storia. Ad incidere, è stato Ferriani ad indurmi nel ’59”. “Dilettante, ma incisore nato”, corregge energico Ferriani”, si legge nel contesto dell’articolo. La signora Ferriani durante l’incontro con Palazzi, aveva continuato dicendo che intenzione di Buzzati era quella di realizzare con il marito un libro d’arte, ma l’improvvisa morte del pittore interruppe il progetto. Palazzi, con il consenso della famiglia Ferriani, entrò in possesso di quella “cartella lievemente impolverata contenente una serie di lastre incise all’acquaforte e di un quaderno dove Buzzati, con la sua inconfondibile grafia, aveva annotato degli appunti. Ne rimasi folgorato. Appena in possesso delle lastre -continua- le portai al maestro incisore Marco Costantini, il quale, di ciascuna, me ne stampò una copia. Nel 1998 ne feci stampare altre copie da Roberto Giudici, titolare di una stamperia in Varese e, da allora, quelle lastre sono rimaste sempre chiuse in un cassetto. Alcuni anni orsono decisi di sottoporle all’attenzione dell’Associazione Buzzati di Feltre, ritenendo fosse quella la destinazione più opportuna, anche in vista di un’eventuale tiratura ufficiale. Non raccolsi tuttavia particolare interesse e la possibilità sfumò. E’ così che sono arrivato alla determinazione di realizzare personalmente quel “libro d’arte” -conclude Palazzi- che verosimilmente era nelle intenzioni di Buzzati, convinto, come sono, che esso possa portare un contributo significativo nella documentazione della sua produzione artistica”.
Federica Lucchini
“Raccontare delle storie è il mio mestiere, no? E queste, queste -gli mostravo i miei dipinti- non sono storie forse?”. L’espressione dello scrittore Dino Buzzati (1906-1972) introduce felicemente alle sue sei acqueforti incise a Caldana nel 1968 nella casa dell’amico Luciano Ferriani, pittore, scrittore, editore: “chicce” rimaste fino ad oggi inedite, che vanno a completare la sua vasta opera conosciuta. Il nostro quotidiano è il primo che ha il privilegio di farle conoscere, grazie alla disponibilità di Alberto Palazzi, direttore della rivista culturale “Menta e Rosmarino”, che detiene le lastre e ha realizzato la cartella intitolata “Magici racconti”, in dieci esemplari numerati da 1 a 10, più due esemplari numerati p.d.a.. Al solo vederla, si è consapevoli del privilegio e della raffinatezza che costituisce la “cornice” di queste “deliziose creazioni scaturite dalla levità di una libera e felice fantasia”, annota il suo curatore. Accostata a ogni opera, stampata su carta Graphia della Cartiera Sicars di Sicilia dal maestro incisore Giancarlo Pozzi nel 2016, c’è un’annotazione (breve racconto), estrapolata da alcuni appunti dello scrittore, rinvenuti, insieme, alle lastre, nella casa di Ferriani. “Una spiegazione che vorrebbe essere una burla -scriveva in altra occasione Indro Montanelli- e che invece è uno dei suoi più magici racconti”. Si ammirano con “devozione” quei tratti incisi che evocano il mondo incantato e incantevole dall’efficacia fascinatrice dell’autore. Aggiunge Palazzi: “In questo più che in altri lavori, il lirismo deriva da uno stato di infantile inconsapevolezza nel quale Buzzati sembra deliberatamente gettarsi quasi a voler ritrovare quell’impalpabile e ineffabile condizione che è caratteristica dell’infanzia”. I titoli immettono in un mondo che evoca la tradizione favolistica accompagnata dalle superstizioni e dalle simbologie della psicanalisi: qui ha trovato terreno fertile, grazie all’inesauribile capacità dello scrittore-artista di creare intrecci. “Quei manigoldi! -scrive in riferimento all’incisione “I dèmoni di Saluzzo”- Non incuteranno più terrore alle giovani pulzelle del luogo, non avranno più la possibilità di circuirle con le loro invereconde lusinghe, per poi impietosamente deflorarle. Ora ciascuno di loro ha un nome preciso e d’ora in poi non sarà difficile identificarlo. (Il primo in alto a sinistra è “Pronis” e non “Promis”, come erroneamente riportato nel disegno). Ne “La Battaglia” c’è una figura che colpisce. Infatti, scrive Buzzati: “Nella parte sinistra, in basso, si notano le truppe persiane di rincalzo. Procedendo verso destra: i frombolieri, i giannizzeri, i vessilliferi, i reparti d’assalto… Al centro dell’esercito, Leonida, quel valoroso. (Il cannone è frutto di una esagerata fantasia)”. E’ mancante il testo di accompagnamento da accostare all’acquaforte rappresentante figure spettrali che fuggono da un allucinato scenario di grattacieli. E’ priva di titolo ed è stata proposta senza testo e senza titolo. Anche il testo di accompagnamento da accostare a “Ferrovia sopraelevata” era mancante tra gli appunti lasciati da Buzzati e Palazzi l’ha desunto da “Ferrovia sopraelevata”, suo racconto musicale in sei episodi, edito da Luciano Ferriani: “In certe determinate notti, specialmente quando c’è nuvolo, un treno passa sopra la terra ad un’altezza di cinquanta sessanta metri. Esso sbuffa e mugola nel buio, è però difficile udirlo. Si tratta del treno dei diavoli che vengono sulla terra a fare incetta di anime. Qualcuno lo chiama scherzosamente “Il direttissimo delle anime”. Quanto a “il Castello di Gen” e “Nuvola a forma di mammella di vacca”, Buzzati ha scritto: “E’ tutto spiegato nel disegno. Non c’è proprio altro da dire”.
Federica Lucchini
Da Wikipedia
Dino Buzzati, all’anagrafe Dino Buzzati Traverso (San Pellegrino di Belluno, 16 ottobre 1906 – Milano, 28 gennaio 1972), è stato uno scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo, librettista, scenografo, costumista e poeta italiano. Fin da studente collaborò al Corriere della Sera come cronista, redattore e inviato speciale.
Autore di un grande numero di romanzi e racconti surreali e realistico-magici, tanto da esser stato a più riprese definito il “Kafka italiano”, viene considerato, insieme a Italo Calvino e Tommaso Landolfi, uno dei più grandi scrittori fantastici del Novecento italiano: il suo capolavoro, Il deserto dei Tartari (1940), è considerato dalla critica il vertice della narrativa esistenzialista italiana, insieme alle opere di Alberto Moravia (che tuttavia estrinsecano il genere in tutt’altra direzione).