di Felice Magnani
In questi anni si è parlato spesso di valori, nel bene e nel male. Si é discusso sulla loro scomparsa, sulla loro inattualità, sulla loro fragilità, sul fatto che non abbiano ricevuto tutte quelle cure di cui avrebbero avuto bisogno. E’ forse venuta a mancare una riflessione accurata e profonda sui comportamenti, su quella parte dell’attività educativa che sembra essere diventata secondaria rispetto ai bisogni e alle necessità primari, legati soprattutto ai soldi, al lavoro, alla spesa, alle tasse, alla mancanza di una stabilità morale, sociale e politica. Questo quadro ha inciso in modo determinante sulla qualità della vita, sul valore stesso della vita, in molti casi sottomessa a una serie infinita di incongruenze e di mancanze che ne hanno fortemente debilitato la sostanza e il carattere. In questa mescolanza di problemi ha preso forma un’ assoluta mancanza di attenzione a quelli che sono stati i nostri valori portanti, quelli che hanno permesso non soltanto a noi, ma anche all’Europa e al mondo di poter capire che cosa fosse necessario fare per costruire una visione di mondo fondata sulla capacità di stabilire rapporti equilibrati tra necessità materiali e spirituali. Nella società sono quasi completamente scomparsi l’obbedienza, l’umiltà, il silenzio, l’autorità, l’autorevolezza, la fermezza, l’educazione, la formazione, il senso dell’agire, l’idea di quello che si fa, il motivo profondo di un’azione o di un atteggiamento, quali siano le competenze individuali e quelle più di natura comunitaria. Viviamo nell’approssimazione, nell’individualismo, nella ricerca spasmodica di qualcosa che compensi l’impossibilità di essere davvero quello che vorremmo. Viviamo in un mondo che costringe alla solitudine esistenziale, all’individualismo, alla distanza non solo fisica, ma anche morale, sociale, culturale senza che si formino gli strumenti necessari per poter guidare, condurre, orientare una situazione che potrebbe anche precedere la riconquista collettiva. Succede spesso che nella solitudine del silenzio l’anima ricominci la sua ascesa, quell’ascendere positivo che sollecita l’apertura verso nuovi mondi e nuove realtà. E’ nella riflessione che prende forza e si forma quel carattere estroverso e creativo di cui siamo portatori. Bilanciare la profonda discrasia che esiste tra pensiero e azione, tra idea e attività pratica, tra filosofia dell’avere e filosofia dell’essere, significa rimettere in moto un meccanismo movimentista che scuote la coscienza individuale e quella collettiva, permettendo all’umanità di ripassare la propria storia, riappropriandosi di tutto quello che ha perso per strada. Il Coronavirus Covid 19 ha messo l’uomo di fronte a se stesso, lo ha costretto a prendere atto di tutto quello che non va, lo ha messo nella condizione ideale per costruire una identità nuova e forse diversa, per capire dove ha sbagliato, per riabilitare quel giusto senso delle cose e della vita che era stato ampiamente sottovalutato e nella maggior parte dei casi sottratto per ragioni di personale convenienza. La pandemia ci ha fatto capire quanto la nostra società fosse impreparata a sostenere l’urto di agenti aggressori, quanto avessimo agito in modo troppo personalistico ed egoistico, quanto ci fossimo dimenticati di essere quello che siamo, realtà che vivono un’esperienza stupenda quasi senza saperlo, molto spesso senza averne chiara coscienza. Ecco che con il Covid spunta di nuovo la coscienza, quella sana consapevolezza del vivere che impedisce l’arroganza e che induce a riflettere riprogrammando. L’uomo solo, chiuso nella propria casa, inseguito dall’idea della sofferenza e della morte, ha avuto ed ha tuttora il tempo necessario per un’ analisi profonda dei propri comportamenti, può ora ricominciare a rimettere al centro ciò che vale, ciò che è necessario, ciò di cui non si può fare a meno per rilanciare il valore dei valori, quella vita umana che il Covid ha spezzato con brutalità, sottraendola ai suoi affetti, alle sue speranza, a quella bellezza di cui si sentiva figlia e in certi casi anche un po’ madre. Il pensiero della morte ha frenato il culto del consumismo, ha frenato l’euforia del superomismo, ha costretto il cuore a una profonda riconversione, lo ha soprattutto costretto a prendere atto di che tipo di dono sia la vita umana, quella che spesso trattiamo come strumento di padronanza, come qualcosa che diventa erroneamente nostra e di nessun altro, salvo poi implorarla quando ci rendiamo conto che tenta di lasciarci inaspettatamente, magari proprio sul più bello, quando anche tutto quel nero che ci impediva di vedere chiaro davanti a noi si tinge improvvisamente di colori, sentimenti, valori e affezioni che non avevamo mai provato prima e che all’improvviso ci fanno amare di nuovo il mondo, con i suoi pro e i suoi contro. Il Covid ci ha costretto a uno sguardo diverso, meno aggressivo e malevolo, meno padronale e superstizioso, meno arrogante e aggressivo, ci ha insegnato che gli occhi sono davvero lo specchio dell’anima e che con uno sguardo possiamo rendere felice qualcuno, qualcuno che non avevamo mai preso in considerazione nella giusta misura e che merita tutta la nostra cristiana comprensione. Lo sguardo del dopo Covid è più attivo e penetrante, più capace di andare oltre il solito aspetto fisico, è qualcosa che nasce dal profondo, dove ogni cosa, anche la peggiore, merita una considerazione, un pensiero appropriato, quella luce che si accende con sempre maggiore discontinuità. Lo sguardo del dopo Covid è figlio di quel grande e suggestivo mistero che è la vita, un bene che supera ogni tipo di digitalizzazione, di economia sommersa, di tasse e balzelli, di tradimenti e corruzione, un bene che urla spesso al mondo la sua ricchezza, la sua capacità di trasformare, di convertire, di rilanciare, un bene che per sua natura può davvero rendere l’uomo molto più felice di quanto in realtà non lo sia. Con la vita il Covid ci ha fatto riflettere sul tempo, su come trascorre rapido e veloce, su come sia breve lo spazio nel quale dobbiamo attivarci, su che cosa sia meglio fare per dare un valore positivo alla nostra presenza umana. Quante volte infatti sprechiamo il nostro tempo, lo gettiamo alle ortiche come se dovessimo vivere in eterno, quante volte teniamo il muso o non parliamo con le persone che ci stanno accanto, senza pensare che magari attendono una nostra parola o un nostro sorriso per ricominciare. Durante il Covid ci siamo persino chiesti che cosa fosse davvero la politica e se quelli che la professavano erano davvero coscienti fino in fondo della loro missione, ci siamo domandati che cosa avremmo fatto noi se fossimo stati al loro posto, quali pensieri, quali parole, quali azioni, quali comportamenti avremmo tenuto. Abbiamo cercato di fermarci a capire qualcosa di più della solita digitalizzazione, abbiamo cercato dentro di noi in quelle parti che di solito restano isolate e inascoltate. Con il Covid abbiamo rispolverato l’immenso valore della famiglia umana, la bellezza dello stare insieme non per convenienza o per eredità, ma animati dalla gioia di condividere un gioco, un racconto, un aiuto, parole di conforto, ci siamo immersi nella naturale bellezza di quel valore a cui spesso sfuggiamo per sfogare il nostro egoismo. Nella famiglia e con la famiglia abbiamo trascorso giornate che non immaginavamo, che non pensavamo e di cui forse ci eravamo dimenticati. Abbiamo ricominciato a guardare bene in viso, a cogliere tutto ciò che passa nello sguardo di una madre e in quello di un padre, abbiamo cercato di unire ciò che il destino spesso divide. Ci siamo resi conto che il mondo è di frequente tra le pareti di casa nostra e che i genitori non sono pezze da piedi da usare all’occorrenza, ma valori straordinari con i quali camminare, vivere, sognare, raccontare, recitare, lavorare. Con il Covid ci siamo scoperti fornai, pasticceri, pizzaioli, coltivatori e raccoglitori, siamo temporaneamente tornati alle origini della vita, quando bastava pochissimo, quando la parola aveva il dono della sacralità e bastava a suggellare un patto, una decisione o un’amicizia. Con il Covid abbiamo imparato di nuovo a obbedire, non per sottostare all’imposizione dittatoriale di qualcuno, ma per ascoltare e proporci per un atteggiamento di attenzione e di ascolto fiducioso della parola altrui. Abbiamo dovuto compiere piccolissimi esami di coscienza, a volte anche molto superficiali, ma sufficienti per capire che la vita in certi momenti può essere anche altro. Con il Covid abbiamo imparato il valore dell’unione anche nella distanza, abbiamo capito che essere uniti non è solo un problema di metri, ma di considerazione morale della persona, si è uniti quando insieme si rispettano le regole, ci si rispetta a vicenda, si insegna la bellezza dei valori e dei sentimenti, anche quando vorremmo farne a meno. E’ in questo clima terribile e straordinario allo stesso tempo che ci siamo soffermati e abbiamo capito che il male può davvero essere l’inizio di un futuro bellissimo che non pensavamo esistesse, ma che è dentro di noi, pronto a riprendere quota non appena sollecitato e amato con la cura e l’impegno necessari.