Ogni papa rappresenta una storia, storia di uomini che diventano chiesa, interpretando con fedeltà i doni del Vangelo. Chi ha vissuto molto ne ha visti tanti, li ha ascoltati, ne ha seguito le voci, le omelie, i racconti e soprattutto li ha visti all’opera, nel loro essere pastori di una chiesa sparsa nel mondo, a volte con tanti problemi, a volte desiderosa di ascoltare una parola di santità per rimettersi in cammino. Inutile dire che ogni papa corrisponde a un passaggio della vita di ognuno e i passaggi si contraddistinguono per come le persone si sanno rapportare, per lo stato d’animo che stanno vivendo, per una simpatia innata che scatta a pelle per definire meglio un incontro, per una frase o un gesto che danno vigore alle virtù cristiane di un pontefice. A scuola ce lo hanno presentato spesso come un capo di stato con un carisma in più, quello di essere vicario di Cristo e quindi destinatario legittimo di un’eredità che ha cambiato radicalmente i destini del mondo. Il capo dunque di uno stato esteso e autonomo, capace di legiferare, amministrare la giustizia, prendere decisioni circa i comportamenti dei sudditi, gestire la politica dei confini e quella ancor più delicata dei rapporti interni e di quelli esterni con le potenze europee che in un modo o nell’altro avevano rapporti diretti o indiretti con la santa sede, un capo che sapeva essere capo e contemporaneamente esecutore materiale della volontà cristiana,passando attraverso le strettoie di un Vangelo non sempre facile da applicare nella sua dimensione storica.
Del papa capo di stato ci è rimasta l’avvedutezza di chi, avendo santi in paradiso, avrebbe potuto vedere e gestire meglio le cose di questo mondo, uscendo dalle diatribe e dagli intrallazzi di una condizione umana sempre più preda dell’egoismo e di una connaturata voglia di predazione. E’ anche in questa ottica che la chiesa diventa affrancamento da ogni forma di asservimento e di subalternità che non sia quella divina, ma allo stesso tempo determina scelte di vita che toccano in modo concreto il buon vivere della gente. Non per nulla il cristianesimo si pone come forza liberatrice, capace di affrancare uomini e donne dalla schiavitù, orientando l’esistenza verso nuove mete e nuovi orizzonti. Si è passati dunque dalla dipendenza alla libertà, una libertà che si rafforzava e si esprimeva attraverso una profonda convinzione di fede che metteva tutti sullo stesso piano di fronte alle leggi umane e a quelle divine. Una duplice appartenenza quindi, capace di ridare fiato e consistenza a una società privata di una sua coscienza umana e religiosa. Il papa è stato per anni la figura super partes che accompagnava una rinascita, aprendo l’animo a nuove speranze, alla possibilità che il tutto non fosse solo legato alle bizze del tempo, ma avesse una propria consistenza etica, capace di rasserenare gli animi e di guidarli verso forme più umane di vita e di speranza. Con i papi abbiamo convissuto la nostra storia, appellandoci a loro ogniqualvolta sono stati capaci di scuotere dal profondo i nostri torpori, le nostre miserie, l’impossibilità di amare come avremmo voluto. In taluni casi sono bastate parole, brevi discorsi, sguardi, sorrisi, eventi, manifestazioni, dalla figura del papa abbiamo attinto buona parte di quella speranza che spesso veniva meno, travolta dai materialismi di una condizione umana troppo disinvolta nel trovare equilibri stabili su cui costruire un’esistenza più sicura. In questi settant’anni di storia di papi ne sono passati parecchi e tutti hanno lasciato impronte confortevoli e durature, anche se di alcuni si sa ancora troppo poco per un giudizio ancora più vero e profondo. Hanno segnato con il loro pontificato non solo la storia religiosa del paese, ma anche quella umana, sociale, culturale, etica e politica, se s’intende per politica la capacità di essere al servizio dell’uomo e delle sue necessità. Papi dai caratteri diversi, dalle provenienze diverse, dai pontificati diversi, ma capaci di interpretare le speranze di un mondo cristiano spesso alla ricerca di una più spiccata identità, più capace di rispondere ai cambiamenti e alle difficoltà che i mutamenti spesso comportano.
La vita della chiesa e quella dei papi è strettamente connessa alla centralità della vita umana, al suo essere presenza e proiezione, alla sua capacità di farsi interprete delle domande che un mondo in rapida evoluzione costantemente pone. Chi è nato con il Pontificato di Pio XII, (2 marzo 1939 – 9 ottobre 1958), passando via via da Giovanni XXIII, (28 ottobre 1958 – 3 giugno 1963), quindi da Paolo VI (21 giugno 1963 – 6 agosto 1978), successivamente da Giovanni Paolo I (26 agosto 1978 – 28 settembre 1978), poi da Giovanni Paolo II (16 ottobre 1978 – 2 aprile 2005), quindi ancora da Benedetto XVI (19 aprile 2005 – 28 febbraio 2013) e con l’attuale papa Francesco, diventato pontefice il 13 marzo 2013, ha avuto la possibilità di vivere da vicino la santità di una chiesa proiettata verso l’esterno, dove le cose del mondo spesso s’incontrano e si scontrano creando ampi spazi per la comunione mondiale, dove i problemi degli esseri umani richiedono orientamenti e decisioni comuni. Con Pio XII la chiesa ha attraversato il mare tempestoso della seconda guerra mondiale, fascismo, nazismo, odio razziale contro gli ebrei, l’olocausto, distruzioni e violenze d’ogni tipo. Con Giovanni XXIII ha avviato mutamenti radicali che l’hanno proiettata concretamente nel cuore della gente, aprendo la via a visioni più popolari, più attente alle necessità e ai bisogni di un mondo in rapida evoluzione a tutti i livelli. Con Giovanni i segni sono diventati strade e le parole hanno assunto significati semplici ma radicati e profondi. Il Concilio Vaticano Secondo è una luce nuova che rischiara, amplifica e qualifica il cuore popolare della filosofia cristiana. Con Paolo VI cultura e pragmatismo si intrecciano e si potenziano per entrare con coraggio e con forza nelle viscere di un cambiamento che comporta continui assestamenti, equilibri e soprattutto una grande capacità di osservare e capire come affrontare senza distruggere le note di un progresso costantemente in contrapposizione con il passato. Proprio nella costante dicotomia tra passato, presente e futuro si posiziona l’intelligenza montiniana, capace di rafforzare le aperture senza mai abbandonare i punti fermi della chiesa di Roma. Con Montini la chiesa, pur navigando tra mille difficoltà, dimostra la sua forza emancipativa, la sua capacità di essere presente sempre in tutte le aree in cui si dibatte e si protende il tema della conversione e quello della riconversione. Con Giovanni Paolo I riprende il tema della chiesa catechistica, capace di leggere nei simboli del nuovo che avanza la forza educante della sua genitorialità. Con Giovanni Paolo II si proietta verso l’Europa, fa sentire il suono della sua voce soprattutto là dove varie forme di ateismo e di totalitarismo hanno impedito agli esseri umani di vivere la loro libertà, di manifestare il loro diritto ad avere una voce, un cuore e una speranza. Si apre al mondo, camminando sulle vie di tante aspirazioni represse e negate. E’ una chiesa nuova, che non soffre di retaggi del passato, ma che vive pienamente la sua immanenza nella realtà di un nuovo mondo, di un modo completamente nuovo di stare nella parola e nel gesto della vita cristiana. Con Benedetto rivendica la sua forza liberatrice dagli stereotipi e dalle incongruenze che le impediscono di vivere la sua temporaneità, ripropone la forza educante del catechismo cattolico, la sua profonda e attenta capacità di essere positivamente dialettica nel quotidiano rapporto con il mondo politico e quello economico. Benedetto è il papa intellettuale che costruisce e che propone, non dimenticando mai l’anima vera della chiesa, quella che si lega a Cristo e alla sua immagine nel mondo. E’ il papa che cerca di trovare nuovi equilibri e soprattutto una dimensione in cui emerga a chiare lettere la sua purezza, il suo essere sorgente di verità.
Arriva quindi papa Bergoglio. Arriva in un momento difficile, in cui i problemi si sommano e si accavallano, arriva nel momento in cui il mondo, soprattutto quello cattolico, ha bisogno di nuove conferme, di nuove certezze, accarezzando l’idea che il ruolo guida sia quello del Vangelo e dei suoi valori. Un papa che arriva da lontano, da un mondo in cui i problemi sono il pane quotidiano e dove diventa difficile immaginare di essere cittadini liberi da ogni forma di condizionamento. E’ una chiesa che va di nuovo alla ricerca delle fonti, quelle da cui sgorga quel sottile desiderio cristiano di vivere più intensamente la parola di Dio. Papi molto diversi tra loro dunque, ma sempre versati nella conservazione e nella promozione del santo cammino di una chiesa cattolica non esente dai condizionamenti del materialismo umano, ma decisamente orientata verso nuove forme di assestamento e di contenimento in una società che muta radicalmente i suoi comportamenti, i suoi archetipi e la sua base strutturale. E’ in questa alternanza di fede e di pensiero, di volontà e di tensione che il cristianesimo si confronta e si discute, cercando sempre, anche nei momenti più difficili, quale possa essere la strada migliore per essere vicina alla parola e all’esempio di Cristo Gesù. La parola del papa è vitale nella vita di ognuno, ha la grande capacità di aprire dei varchi, di indurre alla riflessione, di provare un’emozione, di sensibilizzare anche là dove la durezza e l’incomprensione umana la fanno da padroni. Si è discusso spesso della potenzialità politica della chiesa, della sua indubbia capacità di essere, per sua natura, dentro le aspirazioni umane, di saperle cogliere e orientare, di saper trovare il giusto equilibrio tra materialismo e idealismo, tra ateismo e fede, di saper sollecitare quel giusto livello di visione e di missionari età che sono necessari per dare un volto credibile alla volontà umana di saper interpretare il proprio modo di essere e di stare nel mondo.