Dall’ultimo numero di Terra e Gente
Una sera di qualche mese fa ero a casa mia a cena con alcuni amici quando suonò il telefono: era quasi mezzanotte o giù di lì, un orario abbastanza insolito per telefonare e per di più il numero era sconosciuto. Presi il telefono e risposi. Dall’altro capo del ricevitore una voce non nota disse: «Sono Vittorio Sgarbi, tu sei Dino Azzalin?». Rimasi qualche secondo attonito e in silenzio. «Vittorio Sgarbi?», ripetei, toccando subito l’icona «viva voce» sullo smartphone, alzandone il tono, in modo che anche gli altri, avendo improvvisamente interrotto le loro chiacchiere, potessero sentire.
Sembrava proprio il famoso Vittorio, e quella, che doveva essere una breve telefonata, si rivelò alla fine una lunga e colta conversazione letteraria e poe- tica intorno al nostro territorio prealpino. L’ultima volta che avevo incontrato Vittorio era qualche anno prima alla galleria Ghiggini a Varese, in occasione di una mostra di pittura, quando ebbi modo di scambiare con lui qualche parola e nulla più.
Proseguendo la telefonata mi disse: «Sì, sono Vittorio Sgarbi, e non è uno scherzo, non sono il Papa, ti chiamo per ringraziarti dei libri che mi hai man- dato». Ero ancora più basito e sorpreso perché non ricordavo di aver mandato nessun libro tanto più che non conoscevo il suo indirizzo né dove abitava. Un attimo dopo aggiunse che i volumi li aveva ricevuti dal giornalista culturale Luigi Mascheroni, amico comune, che su «Il Giornale» aveva recensito una delle ultime opere della Nuova Editrice Magenta di cui sono editore e da cui aveva ricevuto anche il mio numero di telefono.
I libri ricevuti erano due opere di Guido Morselli, autore che lui amava molto, Realismo e Fantasia e Una missione fortunata e altri racconti e la ristampa anastatica dell’antologia poetica Quarta Generazione con il saggio intitolato Gli anni di Quarta Generazione. Esperienze vitali della poesia, con i carteggi di Piero Chiara, Luciano Anceschi e Luciano Erba, curati da Serena Contini.
Parlò prima di Guido Morselli scrittore che visse fino al 1973 a Gavirate e scrisse opere di grande valore ma sfortunate per non essere mai state pubblicate: l’unica, Realismo e fantasia, che vide la luce nel 1947 per merito dei fratelli Bocca e fu scritta dallo sfortunato scrittore varesino, ma bolognese di nascita, nella casina Rosa, località amena sopra Gavirate da cui si domina il lago di Varese e il monte Rosa.
Poi passammo a parlare di poesia ricordando le due celebri antologie, Linea Lombarda, pubblicata nel 1952 da Bruno Conti, fondatore della casa editrice Magenta, con la prefazione preziosissima di Luciano Anceschi con liriche di sei poeti “laghisti” e Quarta Generazione, con una più ampia raccolta di poeti, edita a Varese nel 1954.
La conversazione prese forma sull’area geografica dei laghi molto ricettiva alla creatività, poi sulla questione letteraria e sulle tradizioni del territorio. Gli amici rimasero sbigottiti e ascoltarono quel fuori programma divertiti e senza parole. La conversazione che, quella sera, intercorse tra me e Vittorio Sgarbi e che si protrasse per quasi un’ora, suscitò in me per i giorni a seguire un senso di riflessione profonda. Il celebre critico d’arte e mattatore televisivo lodò molto l’impresa editoriale che aveva risollevato la vecchia e gloriosa editrice Magenta presso cui, a suo parere, erano stati pubblicati autori davvero pregevoli e di valore, come Vittorio Sereni, una delle figure più importanti della poesia del dopoguerra.
Ricordo di aver avuto modo di conoscere Sgarbi a Venezia già nel 1983, quando lavorava alla Sovrintendenza dei Beni Culturali del Veneto e non era ancora famoso. In quell’occasione ero accompagnato dagli amici Mauro e Massimo, in una breve vacanza veneziana, con un poeta oggi dimenticato, Francesco Smeraldi, e con una grande pittrice e gallerista croata Ziva Kraus, naturalizzata italiana. Vittorio Sgarbi ci introdusse alla residenza di Peggy Guggheneim, scomparsa da pochi anni e alla sua casa-museo dove erano raccolte alcune tra le più grandi opere di arte contemporanea internazionale
Nella conversazione telefonica parlammo anche del Piero Chiara cinematografico, ma soprattutto della Valcuvia e dei luoghi a lui cari, dove ambientò le scene di molte sue opere. Rimase colpito dal carteggio con cui avevamo accompagnato la ripubblicazione di Quarta Generazione e gli spiegai che il lavoro era stato fatto per una coerenza critica e per dare un nuovo senso stori- co e una inedita collocazione letteraria all’antologia appena pubblicata dalla NEM in forma anastatica.
Infatti i carteggi inediti tra Luciano Anceschi, Piero Chiara e Luciano Erba rappresentano una testimonianza focale di un periodo storico tra i più ferventi della cultura e della poesia del dopoguerra. Averli riportati alla luce con il puntuale lavoro di Serena Contini aveva rappresentato una grande occasione per far luce a una antologia che nel 1954 fece conoscere i poeti giovani della cosiddetta ”quarta generazione” e che influenzò gli anni delle avanguardie in Italia e non solo. Queste voci divennero il miglior “parterre” della cultura italiana del secondo Novecento: Pier Paolo Pasolini, Andrea Zanzotto, Umberto Bellintani, Vittorio Sgarbi tra Alberto Pedroli e Enrico Baj, Varese 1990 Alda Merini, David Maria Turoldo, Ma- ria Luisa Spaziani, Gian Piero Bona, Vittorio Bodini, Giorgio Orelli, Bartolo Cattafi, Nelo Risi e altri non meno im- portanti poeti italiani che hanno segnato un’epoca, tra cui lo stesso Bruno Conti. Il ricco apparato testuale, arricchito con documenti inediti provenienti da archivi privati e pubblici dei singoli poeti, illustra e ricostruisce i rapporti umani e professionali dei tanti uomini di cultura citati nei carteggi, offrendo una ricostruzione vivace di quel periodo. Il volume reca la prefazione di Giorgio Luzzi e una appendice con accurate schede biobibliografiche dei poeti di “Quarta Generazione” a cura di Francesca Boldrini.
Fu molto sorpreso quando gli raccontai di un’altra pubblicazione Poesie ed altri scritti (1919-1979), inerente la poesia della Valcuvia: un volume di Annina De Toma scrittrice e poetessa di Casalzuigno.
Volle saperne di più e gli raccontai che Annina De Toma, nata a Vienna nel 1903 e morta a Sanremo nel 1980, era la figlia del barone Antonio De Toma, ingegnere ed impresario edile, di famiglia dalle ascendenze walser, e di Marianna Bozzolo, primogenita del clinico di fama internazionale Camillo Bozzolo. Considerata da Vincenzo Errante poetessa italiana di lingua tedesca, ha composto tre raccolte poetiche inedite a cavallo degli anni Venti e Trenta, redigendone, fino alla morte, più versioni, pur rimanendo fedele al dettato poetico del suo maestro, Rainer Maria Rilke. Compositrice dilettante e fotografa, vissuta tra Vienna, Rima (Valsesia), Bordighera e la fastosa residenza materna di Casalzuigno, ha cantato soprattutto la sfolgorante bellezza della natura in tutte le sue forme e manifestazioni. All’esplosione poetica degli anni giovanili seguì un quasi ininterrotto periodo di silenzio poetico, lasciando dietro di sé uno straordinario e “nascosto” diario in poesia della sua cosmopolita esperienza di testimone eccezionale di un mondo perduto: l’ecosistema culturale mitteleuropeo del primo Novecento.
E per concludere gli comunicai che stavamo per pubblicare nel volume Fuoco nascosto gli inediti – una silloge poetica e l’unico romanzo – di Luciana Guatelli, una poetessa scomparsa nel 1983 che aveva avuto una lunga amicizia con Piero Chiara e che era stata inserita in Quarta Generazione. Proprio in quel periodo la figlia Licia aveva donato l’archivio della madre Luciana al Comune di Varese dove ora è conservato. Licia per anni ha vissuto a Castel Cabiaglio con un poeta ancor troppo poco conosciuto Mario Chesi, da poco scomparso.
In quel periodo avevo preso casa in collina ad Arcumeggia, e mi era facile passare da Licia e Mario: così aveva preso l’idea del progetto della pubblica- zione degli inediti a cura della stessa Contini e della donazione dell’ archivio. Val la pena di dire anche qualche parola su Arcumeggia dove in un luogo nascosto e segreto ricostruiti in sasso presero vita alcuni ricordi della mia gioventù, fortificati dal desiderio di libertà e natura che quei luoghi avevano sempre rappresentato per me.
Perché solevo ripetere che tutti posseggono la bacchetta magica ma sono in pochi a saperla far funzionare perché il valore aggiunto di quei boschi aspri e impervi erano la tranquillità che sapevano e sanno infondere alla parola poetica. Arcumeggia è un paese dipinto da illustri pittori italiani, dove mi ritiravo spesso a leggere, scrivere i miei libri e a passeggiare tra le stradine, conversando nella Sangalleria d’arte di Luigi Sangalli e Flavio Moneta con i quali organizzammo nel 2015 una memorabile mostra antologica su Enrico Baj. Il mio rifugio era un vecchio casello adibito un tempo al pascolo e dove venivano prodotti i formaggi con il caglio del latte delle giovenche: l’avevo riattato e tra- sformato in un piccolo buen retiro, dove d’estate radunavo i poeti e facevamo cenacolo attorno a un falò che in molti ancora ricordano. Indimenticabile la festa di inaugurazione nell’estate 2006 dove la magia dello Studio Festi, fece brillare il bosco di luci meravigliose, mentre una sirena in carne ed ossa nuotava dentro una vasca ricolma dell’acqua riscaldata del Marianne, il torrente che scorre sotto casa che scendendo verso la valle colma di pathos e di musica silvestre l’intera zona. Ecco come la poesia può attraversare la vita, improvvisamente una sera di aprile, con una telefonata, ben oltre la mezzanotte.
Dino Azzalin
Vittorio Sgarbi al Chiostro di Voltorre
Dino Azzalin
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Poesia e letteratura del territorio prealpino: una conversazione con Vittorio Sgarbi