Un paese che piange la scomparsa di un suo figlio rappresenta una esperienza che si ripete, ma quello che è avvenuto a Cazzago mercoledì scorso, durante le esequie di Pierangelo Giorgetti, residente a Milano, ma di origini cazzaghesi, ha assunto una connotazione particolare: era un paese che diceva grazie nel senso più autentico del termine, manifestando un tributo di riconoscenza a lui che con uno spirito nobile e generoso aveva instaurato rapporti costruttivi con tutti gli abitanti, lasciando un segno indelebile. Figlio di uno dei più grandi impresari edili di Milano nel dopoguerra, aveva ricevuto dal padre uno stile di vita e una mentalità con cui costruì rapporti profondi di stima e di amicizia con persone di ogni ceto e cultura. Fece sua la mentalità imprenditoriale paterna, basata sul principio che il denaro serve per creare lavoro, distribuire la ricchezza e quindi rendere più felice la vita di molte persone. Immobiliarista di rilievo nell’ambito milanese, con una formazione di tipo economico e finanziario di prima qualità, rinnovava quotidianamente l’imprinting delle sue origini cazzaghesi. “E’ stata una fiaba iniziata con il classico “c’era una volta” quella del padre Enrico, uno dei primi contribuenti del comune di Milano e a cui Pierangelo si è ispirato tutta la vita -spiega l’amico Amerigo Giorgetti- Muratore, capomastro, ricco della comune povertà, partito per l’Alsazia, assieme al cugino Napoleone Daverio, padre del critico d’arte Philippe Daverio, nel giro di una generazione creò lavoro e ricchezza, non dimenticandosi da dove veniva”. Così nel dopoguerra ricostruì il Foro Bonaparte, solo per citare un esempio, nella Milano sventrata dalle bombe. Era il primo ad essere sui cantieri, ad amministrare con competenza tutti i lavori. Nel contempo negli anni Sessanta divenne sindaco di Cazzago Brabbia, dove fece costruire le scuole elementari e rifare la facciata della chiesa. “Era un Mastro don Gesualdo alla rovescia -continua Giorgetti- Mentre il personaggio di Verga, arricchitosi, cercava di entrare nelle grazie della nobiltà, lui, come il figlio, non recise mai i legami con il paese d’origine. Quello di Pierangelo è il paese che tutti vorremmo: non una località turistica da frequentare perché la città è diventata invivibile, ma un luogo dove coltivare le amicizie, un luogo che diventa il collante di rapporti umani fruttuosi. Un luogo dell’anima. E’ simbolico il gesto da lui compiuto quando grazie a una sinergia pubblica/privata avvenuta nel 2011, Pierangelo si offrì di restaurare la cappella e il restante cimitero vecchio abbandonato, con il recupero di un crocifisso malandato di particolare pregio. Fece delimitare tutta l’area sormontata da una croce, quale monumento al paesano ignoto. Quel crocifisso rimesso a nuovo ridava vita al paese che è sempre esistito e dove lui aveva affondato le radici.
Federica Lucchini