Per una Scuola della modernità
Lascio la scuola dopo 45 anni, congedato per limiti di età, e me ne vado a malincuore perché in questi anni il mio lavoro di insegnante è stato molto appagante: stare con i giovani è stato un piacere e con loro ho potuto realizzare incontri umani incancellabili, che – lasciatemelo dire – conservo come gioielli preziosi.
(E poi sono dispiaciuto anche perché al presente l’inoperosità mi angoscia, è una forma ancora lontana dalla mia vita. Forse per l’ozio è necessaria quella saggezza che il mio bagaglio culturale non è ancora in grado di offrirmi).
Nel congedarmi desidero sottoporre ai lettori alcune miei punti di vista sulla Scuola.
Com’è ora, la Scuola soffre di molti mali. Suo compito dovrebbe essere quello di aprire le porte al futuro e invece arranca. Ogni settore sociale, tanto più quello educativo, dovrebbe confrontarsi con le esigenze dei tempi nuovi e, ovviamente, misurarsi con il futuro. Questo nella Scuola non avviene. E’ una Scuola vecchia: i programmi, per altro appena rivisti, ricalcano quelli del 1927 (Riforma Gentile); fondamentalmente incentrati sul nozionismo nonostante le mutate condizioni – si pensi alla facilità con cui oggi si può accedere alle informazioni –, pervasi (nelle materie scientifiche) da un meccanicismo esasperante e con novità metodologiche scarsamente significanti (insegnamento per competenze!?). E’ ancora troppo irreggimentata e decisamente carente sotto due aspetti che giudico fondamentali: la creatività e la sperimentazione.
Una scuola troppo irreggimentata tende a formare personalità conformiste e ubbidienti. La società moderna ha bisogno di personalità duttili e creative. Per questo va adottata una forma di educazione in cui il giovane sia lasciato più libero di provare e di esplorare.
La mia Scuola ideale vorrebbe essere sul modello di quella che già nel Medioevo Vittorino da Feltre, vecchio pedagogista, chiamava “cà gioiosa”, uno spazio educativo in grado di emozionare, con un contenuto di seduzione che spinga i ragazzi ad andarci volentieri e non certo confinato ad essere luogo dei rimproveri, delle minacce, delle note sul registro e delle pagelle (i risultati ottenuti in questo modo sono come la farina del diavolo: vanno in crusca!)
Non è facile “sedurre” attraverso la disciplina (e non voglio certo affermare di esserci riuscito io!), non è facile perché in una società che punta al facile divertimento, alla bellezza, alla ricchezza …, risulta ovviamente difficile andare ad interessare proponendo i valori della cultura, della serietà, del rigore e dello studio. Non è facile, ma l’unica strada feconda è quella della seduzione.
(Corsi di aggiornamento su come “catturare” una classe, non sulla sicurezza!)
Auspico una progettazione completamente nuova, con elementi di vivacità intellettuale vicini alle necessità dell’oggi, con modalità nuove (basta lezione frontale!) e con insegnanti appositamente e diversamente istruiti. Dove – cosa importante – si dedichi più tempo alla riflessione.
Diminuire la quantità di spiegazioni e di compiti e lasciare più tempo tra un contenuto e l’altro. Oggi il “pensare” è un’altra esigenza prioritaria e viene prima del “conoscere” e del “fare”. Non sommare in maniera nevrotica contenuti su contenuti (“Oddio! Quest’anno sono indietro con il programma!!” – si sente spesso in sala insegnanti), ma rallentarli. Ritengo che un bravo insegnante lo sia anche in quanto sa non intervenire. Uno studente ha bisogno di uno spazio e di un tempo non per ripetere ciò che gli è stato detto, ma per fare a modo suo, per dimostrare che ha capito.
Il non intervento come gesto di sapienza e di eleganza.
Quando si è parlato di sperimentazione, si è fatto un gran dibattere su due lingue al posto di una, sulle tre ore in più per una materia piuttosto che un’altra. Non è questo che intendo. La sperimentazione è un’altra cosa e deve partire da una valutazione più attenta, mirata, vicina ai cambiamenti della società. Molto spesso i nostri giovani sono disinteressati perché si vedono proporre contenuti avulsi da ogni loro esperienza.
La scuola della nostra modernità dovrebbe infine possedere anche una funzione sociale (quali altri spazi esistono oggi per i giovani?) e favorire la comunicazione emotiva. Non chiudere i battenti alle quattordici, ma il pomeriggio, offrire lezioni di teatro, di mimo, di musica, di pittura, di basket piuttosto che di danza. Lezioni ovviamente tenute da persone capaci ed istruite appositamente. Dobbiamo ritornare all’insegnamento dell’esperienza Bauhaus, dove la scuola era vista come luogo massimo per l’espressione dell’uomo. A scuola dovrebbero confluire personaggi della cultura, dell’arte, della musica, della letteratura …
Tutto ciò è utopia?
Penso che una scuola così concepita darebbe le ali ai nostri ragazzi, anche a quelli più pigri e svogliati. Purtroppo è anche questione di soldi – è vero – ma i nostri politici non sono tutti a dire che è ora di investire nella scuola?