Penso ai discepoli e alla bella festa che avevano vissuto insieme con il Maestro: in amicizia con lui avevano celebrato la Pasqua ebraica. Si c’era stata una stranezza di Gesù che prima di mangiare si era comportato come uno schiavo togliendosi le vesti e cinto di uno straccio di grembiule si era messo a lavar loro i piedi. Pietro aveva anche protestato, ma alla fine lo avevano lasciato fare. Con Lui infatti avevano vissuto un “cammino” nuovo. Il Maestro, dopo averli chiamati a seguirlo, li aveva portati ad iniziare un’esperienza di testimonianza incredibile per il loro tempo tanto che essi avevano accettato di offrire tutta la loro vita lasciando il loro lavoro per seguirlo. Ma poi quel loro “idolo Gesù” il giorno dopo si era lasciato prendere dal “potere” che lo aveva umiliato come uno schiavo fino ad ucciderlo con l’infamante condanna della crocifissione…. e tutto il loro sogno era crollato abbandonandolo, rinnegandolo vigliaccamente con un “non lo conosco”. Il loro ”idolo”, una “proiezione” di se stessi secondo la gloria del “mondo”, di ogni tempo e di ogni luogo, li aveva sconvolti perché sapevano che aveva scelto di donare tutta la sua vita, la sua dignità fino alla morte infamante della croce come un misero schiavo. Era troppo per loro che l’avevano seguito con il desiderio di diventare “importanti”. Era troppo e per di più infamante. Così la loro testimonianza da viva ed entusiasta era sprofondata in un rinnegamento gridato: “non lo conosco”. E’ vero che alcuni stavano ancora insieme, ma lontani dagli altri, se ne stavano dentro il Cenacolo ben protetti dalle “porte chiuse”. Bisognava riprendere quello che si aveva sempre fatto prima che Gesù li chiamasse, non restava altro, secondo loro, e probabilmente anche noi avremmo fatto così, se non di tornarsene a pescare o come i discepoli di Emmaus ritornare a casa sconfitti dal loro “idolo ideale”. Ma Gesù li viene a cercare, si mostra loro con le ferite della crudeltà della crocifissione e li richiama a seguirlo, anzi molto di più, ad andare ad annunciarlo con la loro vita in tutto il mondo senza paura perché Lui è con loro, ha vinto la morte è risorto. E così la buona novella, il Vangelo o se vogliamo dire meglio Gesù, invia la sua piccola chiesa ad uscire, a spalancare le porte della loro vita verso il prossimo che ha bisogno di sapere che Dio Padre li ama come ama loro anche dopo averlo tradito. E il Vangelo diventa finalmente viva e umile testimonianza nel servizio dell’annuncio, ed è Pasqua. Questo, lo sappiamo bene, perché è vero anche per noi. Buona Pasqua cari fratelli e sorelle nella fede.
don Hervé