Ogni papa ha la sua storia e una storia non è mai semplice, neppure quando si tinge di santità. Essere papi è un dono, ma anche un impegno immenso, che richiede forza fisica, mentale, un cuore grande e una fortissima capacità diplomatica, ma anche una naturale predisposizione all’incontro con lo Spirito Santo, quello Spirito che sorprende e indirizza in momenti impensabili della storia umana. C’è sempre una continuità che si distende e si propone nella sua diversità, dimostrando che nulla di quello che è stato ed è va perduto e che tutto ha una sua linea di compensazione, un suo campo d’azione, i cui cardini trovano in Gesù l’ esempio, la capacità di far presa sulle delusioni per renderle meno aspre, meno pesanti, più capaci di entrare in profondità e di cogliere anche solo i contorni di quella bellezza che altrimenti rischierebbe di sparire, lasciando il posto a scavate malinconie e a profonde illusioni. Ogni papa è espressione di un carattere, di una voce, di un’emozione che attraversa il mondo in un momento particolare, quando c’è bisogno di un volto e di una voce che riaprano il confine tra la terra e il cielo, con quell’aspirazione di fede senza la quale l’umanità si sentirebbe sola e abbandonata. Chi non ricorda Paolo VI. Chi non si è lasciato anche solo per un attimo coinvolgere dalla sua voce profonda, introspettiva, fertile e ampia, capace di penetrare a fondo l’area dell’azione e quella della parola, quella di un tempo animato da espressioni e manifestazioni intense, ricolme di fermenti educativi, di scoperte, di nuove capacità di fermare l’attenzione, di andare oltre le impressioni, i giudizi e i pregiudizi della storia umana.
Una papa speciale, destinato alla santità, costretto spesso a camminare su sentieri difficili, impervi, dove spesso la verità e lo spirito s’ incontrano e si scontrano, lasciando in vista meditazioni e pensieri, difficoltà o atti di puro eroismo, dove anche il minimo diventa espressione simbolo del massimo, realtà in cui il dolore evolve e si tempra per esprimere con forza l’energia cristiana dell’amore. Paolo VI, un grande papa che ha saputo sorridere e piangere con l’umanità, apprezzandola e sostenendola nelle sue difficoltà, ma anche nella sua straordinaria capacità di saper mettere a fuoco quella luce divina e intellettuale che Qualcuno ha voluto instillare per rendere meno aspro, più gradevole e protettivo il cammino della speranza. Un papa vicino al mondo del lavoro, ai giovani, alle donne, capace di vedere oltre i muri dell’intolleranza, che ha saputo timonare con decisione e a barra dritta una nave sospinta da venti e diversità non sempre facilmente riconducibili a una condivisa e chiara sensibilità cristiana. Un papa che ha saputo affrontare la brutalità dell’aggressione, la determinazione irrazionale di uomini e donne animati dalla volontà di distruggere, capace di stupirsi con l’innocenza di un bambino, di entrare negli affetti umani con la sottile e ferma delicatezza di un padre o di un fratello cosciente dei doni ricevuti. Un papa che ha saputo condurre in porto i grandi cambiamenti di una chiesa non sempre sintonica sulle vie da percorrere. Di lui, anche quando era arcivescovo, ci sono passaggi straordinari, che ce lo fanno apparire come amico, fratello, persona che sa comprendere, capire e che sa sempre dire la parola giusta al momento giusto, come nell’Omelia durante la santa Messa nella chiesa di S. Maria delle Grazie per gli espositori della XXXVI Fiera Campionaria, il 13 aprile 1958, in MdL, p. 286 : “Dare lavoro all’uomo è creare in lui e nella società una prima pace, un primo ordine. Chi vi provvede compie azione altamente benemerita. L’iniziativa privata giustifica socialmente se stessa ogniqualvolta crea nuova fonte di lavoro; e la comunità, che si impegna a non lasciare alcuno disoccupato, esercita uno dei suoi più impellenti e benefici doveri. Il beneficio non è soltanto pubblico, è altresì personale, psicologico; entra nell’animo di chi, impiegando le proprie energie, gode di sperimentare le proprie capacità operative e sente di formare e possedere se stesso: la fatica, che ha in sé qualche castigo, genera però in chi la compie un’esplicazione vitale, che la redime e la nobilita”. Sono le parole di un uomo di chiesa destinato a diventare papa e santo, che vive tra la sua gente, la protegge, la incoraggia, ne benedice la forza, la capacità di creare e di operare. Nelle sue parole c’è tutta la disposizione umana e divina del lavoro, in particolare di chi lo sa far apprezzare, amare, concedendo a un prossimo immalinconito e in difficoltà la possibilità di poterne vivere e goderne la forza rigenerativa. E’ bellissimo leggere il senso di questo pensiero forte e incoraggiante, che pone al centro della vita il lavoro, ma è soprattutto ammirevole il suo richiamare la comunità a farsi carico delle difficoltà dei suoi cittadini e di cercare di risolverli. L’aspirazione sociale di Montini è straordinariamente umana, denota un animo che partecipa e sollecita, che sa quale sia l’importanza di una collaborazione a tutto campo, in cui ciascuno si senta amato e protetto, operaio e protagonista. La sua santità è la conferma di un papa che ha sempre saputo comprendere e condividere, camminando insieme all’umanità e alle sue attese, condividendone le sconfitte e le vittorie, la voglia di glorificare Dio anche nelle cose umane, quelle che ne testimoniano la presenza e la vicinanza sempre, soprattutto quando la verità sembra allontanarsi e non trovare più la via del ritorno.