La passione per la musica e la scultura: quella coltivata fin da ragazzo e che gli anni di studi contribuiscono a meglio definire. Ora a Paolo Bianchi, liutaio ventiquattrenne, il percorso intrapreso aggiunge soddisfazione a soddisfazione: c’è quella che sgorga nelle tante ore di realizzazione di un banjolole, lo strumento ibrido tra l’ukulele e il banjo, e quella che si prova quando il frutto del proprio lavoro viene richiesto in diverse parti del mondo. E’ stato apprezzato quell’innovativo modello da lui progettato e costruito, basato su un diverso sistema di tensionamento della pelle, rispetto alla tradizione, tipico del mountain banjo americano, regolato da un sistema di viti, in termine tecnico “brugole”. Più sobrio, leggero, resistente, comodo da trasportare. E dal suono potente, ma molto dolce. Arrivano in questi giorni le richieste dal Canada, dagli USA, dal Giappone. E allora l’entusiasmo cresce, assieme alla voglia di ricercare nuovi metodi. La bellezza del lavorare dapprima la creta e successivamente il legno, sviluppata negli anni trascorsi al liceo artistico “Frattini” di Varese, si è unita alle competenze, alla tecnica acquisite alla scuola di Liuteria del comune di Milano, dove ha realizzato strumenti antichi come un mandoloncello, della famiglia dei mandolini, e un liuto rinascimentale. Ci sono stati due momenti determinanti nel creare il suo nuovo modello: una sera, sulla riva del lago a Gavirate, si è reso conto che il suono del suo ukulele finiva per essere poco significativo rispetto agli altri strumenti suonati dagli amici. Un banjolele avrebbe avuto una migliore caratterizzazione. L’idea del crearlo da sé è scaturita durante un viaggio in Marocco durante il quale, in un negozio di strumenti a percussione, ha scoperto l’utilizzo delle pelli di pesce. “Avevano un colore interessante, mi piacevano al tatto”, spiega. E così sono state utilizzate per la realizzazione dei suoi tre prototipi. Certo ora, per una scelta etica, preferisce usare la pelle sintetica. “Non accetto l’idea che venga ucciso un pesce per favorire il mio piacere di suonare. Così ha potuto sperimentare diversi materiali e ho ottimizzato i tempi di alcune lavorazioni”. Figura di riferimento per lui è un liutaio di lunga esperienza e conosciuto dagli esperti, Simone Assunto, che ha il laboratorio a Voltorre di Gavirate. Nel suo (“Per ora il garage di mia nonna”, dice), ha bisogno del silenzio per vivere il suo momento di creazione. “Non mi accorgo che passa il tempo, quando lavoro con il legno di cedrella, tipico dei tropici del nuovo mondo, per delinere il corpo dello strumento. Utilizzato anche per realizzare i manici delle chitarre classiche, è leggero, stabile, profumato. Provo piacere anche a contatto dell’ebano, del palissandro, legni più duri per dare origine alla tastiera”. Attorno a lui, la bindella, la dima di compensato, per dare la forma circolare, la fresa e per sagomare i dettagli scalpelli, pialle, raspe. “Durante il lavoro sono comprese anche le arrabbiature. Quando termino uno strumento, ho sempre voglia di migliorare, di ricercare nuovi strade per effettuare passaggi ancora più ricercati. D’altra parte -conclude- ho scelto un mondo vasto, dove non si può finire di imparare”.
Federica Lucchini