OTELLO STOCCO, IL PRESIDENTE DEL CORPO MUSICALE “AMICI DELLA MUSICA” DI CITTIGLIO CHE GUARDA AL FUTURO, IMMAGINANDO UNA “CITTA’ DELLA MUSICA”
“LA MUSICA, UN’ARMA CONTRO IL DISAGIO GIOVANILE”
di felice magnani
Il Corpo Musicale “Amici della Musica” di Cittiglio
Capita sempre meno d’incontrare un potere che, smessi i panni della rappresentanza ufficiale, si predisponga al servizio della comunità in modo totale, assoluto, super partes, con quella disponibilità d’animo che presuppone una fortissima componente umana e cristiana insieme. Otello Stocco, attuale presidente del Corpo Musicale “Amici della Musica” di Cittiglio è uno di questi, un veneto tutto d’un pezzo, con le idee chiare, uno che percorre in lungo e in largo i faticosi campi del volontariato con la freschissima determinazione di chi sa che deve dare voce ogni giorno a quel senso del dovere che è costituivo di una persona retta, che ha ereditato la passione da una nonna che aveva un debole per la musica lirica e per il bel canto, in un paesino povero della provincia di Rovigo, dove l’amore per la musica era il vero salto di qualità. Si tratta di una bella lezione umana, perché la musica in questo è regina, conoscendo perfettamente le altalenanti vibrazioni degli esseri umani, quella loro curiosità di entrare in contatto con quel mondo interiore che sovrintende al benessere fisico e spirituale della persona. E’ l’arte che diventa cultura, cultura di vita, che rifugge l’esteriorità e che va direttamente al sodo. Nella vita di Otello non ci sono solo Rossini, Verdi, Leoncavallo, Donizetti, i tenori o i soprani, i baritoni o i bassi, una Banda votata alla musica della bellezza, c’è molto di più, c’è il tentativo di realizzare un luogo dove la cultura non sia solo un atto formale, ma un momento d’incontro, di apprendimento e di gioco, di colloquio e di reciproca conoscenza. Ma qual è lo spirito vero di questo veneto diventato presidente di una tradizione musicale che vanta nomi di prestigio e personaggi che hanno fatto la storia del paese con il loro impegno e la loro abnegazione? Ebbene sì, quello di costruire una vera e propria “città della musica”, aperta a quel mondo giovanile che spesso corre, parla, gioisce e si dispera, in alcuni casi senza sapere esattamente quale significato dare a parole come studio, insegnamento, cultura, armonia, equilibrio, sensibilità, conoscenza, impegno. Da tempo il presidente della Banda fa l’occhiolino a Casa Corti, la villa padronale di via Roma abbandonata al proprio destino. Vorrebbe acquisirla insieme ai suoi volontari, restituirla alla storia del paese, vorrebbe che quella musica che lo ha fatto crescere diventasse la chiave magica capace di dare un volto più sorridente all’energia giovanile del suo paese. E’ anche sull’onda di una rinascita strutturale che la musica appoggia la sua voglia di sensibilità e di armonia, è sulle aspirazioni di una sempre più confortevole bellezza che la Banda e il suo presidente lavorano, con l’orgoglio e la determinazione di chi sa perfettamente quanto sia importante collaborare guardando sempre un pochino più avanti.
L’INTERVISTA
Presidente, quando e come si è avvicinato alla musica?
Non mi sono avvicinato alla musica, perché la musica è sempre stata dentro la mia famiglia. Il teatro di Rovigo è stato, per noi Stocco, un palcoscenico straordinariamente importante, una sorta di tempio della cultura lirica, punto di partenza del bel canto e della musica operistica, passaggio obbligato, non facile, per quei debuttanti che decidevano di spiccare il volo verso traguardi importanti. Il Veneto come l’Emilia, sono regioni nate nella musica lirica, hanno imparato a respirarne la bellezza da sempre, si sono formate sulle arie dei nostri più grandi compositori, basti citare per tutti, il grandissimo Giuseppe Verdi. Virgilio Stocco, fratello del mio papà, ha studiato a Roma, si è diplomato baritono/basso e ha iniziato una bella carriera di cantante lirico. Negli anni cinquanta era molto conosciuto. Chi spronava era la mamma, la mia nonna, una veneta tutta d’un pezzo. Analfabeta, non sapeva né leggere né scrivere, ma aveva la musica lirica nel sangue e la trasmetteva con grande passione, così che tutti i fratelli di mio padre la coltivavano e la trasmettevano a loro volta ai figli. La musica diventava così una bella eredità da conservare, da promuovere e da valorizzare. Per noi era tutto: gioia di vivere, educazione, collante di umori e passioni, arricchimento interiore, aveva la straordinaria capacità di armonizzare emozioni e sentimenti, di educare gli animi a una visione più vera e autentica della vita. L’ultimo fratello del papà, Sergio, morto due anni fa, era considerato una vera e propria enciclopedia della lirica. Come può capire non mi sono “avvicinato”, sono “nato” nella musica, si tratta di un’eredità che ha caratterizzato e definito tutta la mia vita, anche quella professionale e sociale.
La musica, un amore infinito?
Senza dubbio. Credo di poter affermare che il melodramma abbia sdoganato la mia vocazione, alimentando quella natura inquieta e profonda che ha caratterizzato e che caratterizza tuttora la mia esistenza. Quando capisco l’importanza e la bellezza del pezzo che sto ascoltando? Quando “stanno bene le orecchie”, solo allora capisci che hai la musica nel corpo, si tratta di un fenomeno fisico, mentale, ma anche di natura spirituale. La musica operistica ha la bellissima proprietà di rigenerare, sollevare, ricreare e stimolare quella parte di noi che, se trascurata, impedisce alla nostra interiorità di star bene con se stessa e di armonizzarsi positivamente con il mondo esterno . Ci sono momenti in cui “quel” tipo di musica rigenera, riabilitando quella vocazione all’ascolto che contribuisce a mantenere alta la nostra identità morale e culturale. Nella generazione degli Stocco l’amore e la passione per la musica lirica in particolare sono talmente radicati e profondi che i nostri nomi di battesimo corrispondono, nella maggior parte dei casi, a quelli che hanno reso famosi i testi delle opere liriche, come l’Otello ad esempio, una delle massime preziosità verdiane o come quello di mio fratello Benvolio, il clarinetto basso della Banda, che ricorda Benvolio Montecchi del Romeo e Giulietta di Shakespeare. Da bambino mi incollavo alla radio e ascoltavo affascinato le arie dei nostri grandi compositori. Il paese dove abitavo era piuttosto povero, ma aveva la capacità di trasmetterci la forza e la bellezza di quei valori che sarebbero diventati il sale della nostra vita. Se oggi sono felicemente impegnato come presidente del Corpo Musicale “Amici della Musica” lo devo anche a quella cultura familiare che ha stimolato la mia passione. E’ davvero strano come la musica abbia la capacità di farsi amare pur senza essere insegnata, senza dover per forza sottostare a varie forme di vincoli o di imposizioni. Ami la musica perché la senti, perché ti penetra con tutta la sua forza rassicurante e rigenerante.
Quando inizia la sua avventura come presidente?
Nel lontano 2011 mi è stato chiesto se avessi voluto fare il presidente del Corpo Musicale. Non nego che la cosa mi abbia fatto piacere, anche perché la Banda ha sempre avuto una tradizione illustre, basti pensare ad alcuni di quei personaggi che l’hanno resa celebre, come il campionissimo Alfredo Binda, Albino Binda, il dottor Milos Kogoj, oggi presidente onorario, il cav. Angelo De Peri, Antonio Buzzi, Giovanni Buzzi, il professor Parini, il dottor Gasperini e via via tutti coloro che si sono impegnati con passione. Mi sono guardato dentro e ho ripassato la storia della mia famiglia, ho rivisitato la mia giovanile passione, il mio desiderio di essere al servizio del paese, ho ascoltato il parere di persone con le quali condividevo quotidianamente la bellezza della donazione, così ho pensato seriamente che avrei potuto mettere in campo qualcosa di mio che avevo dentro e che si sarebbe potuto realizzare, ho lasciato che la convinzione diventasse conferma. L’inizio non è stato facile, anche perché con la ditta ero molto impegnato a Varese nel restauro e nella costruzione di chiese, si trattava di lavori importanti, che includevano il confronto quotidiano con personaggi molto conosciuti nel mondo ecclesiastico locale; nonostante tutto, però, ho cercato di dare una parte del mio tempo a quel mondo musicale, in cui avevo sempre creduto e che sentivo parte fondamentale della mia vita.
Com’è il suo rapporto con i giovani?
Qualche tempo fa, in occasione del battesimo civico dei diciottenni, sollecitato dal sindaco, ho voluto sottolineare che i giovani non si devono chiedere che cosa un presidente debba dare loro, ma che cosa loro debbano dare, ribadendo un concetto che mi appartiene e che ho fatto mio ascoltando un intervento del presidente John Fitzgerald Kennedy, in cui affermava che sono i giovani stessi che devono operare una rivoluzione qualitativa della loro storia, senza aspettare che qualcuno li sostituisca in questo. Quando si assumono queste cariche bisogna stare molto attenti a come ci si comporta, occorre entrare in punta di piedi, perché non si conoscono l’ambiente, le regole da osservare e gli errori possono arrivare uno dietro l’altro, lungi da me quindi pensare che chi arriva a un posto di comando possa imporre il proprio punto di vista. Per me è fondamentale condividere le responsabilità, collaborare, ascoltando sempre la voce di tutti. Non sono il tipo tattico che ascolta tutti e poi decide, sono sempre stato convinto che le decisioni debbano essere il frutto di una volontà collettiva alla quale tutti, indistintamente, debbano concorrere. Ci sono dei punti fermi che sono il filo conduttore della mia presidenza, come ad esempio ricordare sempre chi, prima di me, ha guidato con passione e senso di responsabilità il Corpo Musicale, costruendo qualcosa da aggiungere a una già bellissima storia. Durante la festa di santa Cecilia capita spesso che si cerchi di fare il punto ricordando tutti, si tratta di una festa molto importante anche per questo, perché rende omaggio e onora chi, con grande dedizione, ha contribuito a far crescere la cultura musicale della banda e del paese. Il dottor Milos Kogoj è stato ed è una presenza molto importante per tutti noi, un esempio di dedizione assoluta, così come tutti i nostri collaboratori, i nostri amministratori, la popolazione e tutte le Associazioni locali, con le quali cerchiamo sempre di sviluppare una proficua operosità organizzativa. Sono sempre più convinto che la collaborazione sia la chiave di volta di un paese che voglia dare un’immagine credibile della propria storia e della propria identità.
Cosa ha aggiunto a quello che ha trovato?
Premesso che la Banda di Cittiglio sia sempre stata ottima, quando sono arrivato, c’è stato un momento di assestamento anche a causa delle dimissioni del maestro Maurizio Rocca, abbiamo quindi dovuto assumere un nuovo maestro, Luca Colantuono e definire la nuova linea di condotta. Abbiamo optato per un maestro giovane, con idee giovani, in grado di cogliere al volo lo spirito di una banda in evoluzione, capace di allargare le proprie potenzialità con nuove esperienze. Abbiamo valorizzato il bel canto, quello della musica operistica, abbiamo allestito concerti con la partecipazione di cantanti, baritoni, tenori, soprani, abbiamo avvicinato ancora di più mondi che erano rimasti per troppo tempo un tantino distanti.
Presidente, credo che le Bande stiano facendo dei passi da gigante, stiano offrendo una qualità musicale di assoluto rispetto.
Due anni fa, prima del Covid, abbiamo messo in scena una bellissima performance, con la presenza di cantanti molto bravi. Abbiamo volato sulle arie del Barbiere di Siviglia, è stata una ghiotta circostanza musicale in cui la Banda ha dimostrato quanto fosse ben preparata. Credo molto nell’evoluzione del complesso bandistico e nel rispetto di quella cultura musicale che ne ha contrassegnato la nascita e il cammino.
Cosa fa la banda per attrarre i giovani?
S’impegna moltissimo per curare la parte dell’insegnamento musicale, considerando che la retta annuale è minima e quindi alla portata di molti. Ce la mettiamo tutta per offrire un budget culturale adeguato, per fare in modo che i nostri giovani possano vivere una bella esperienza formativa, che sarà utile anche per il futuro della Banda e che avrà riscontri molto positivi nella vita individuale e sociale delle persone. Spendiamo molto per i nostri giovani, ogni due o tre anni inizia un corso e cerchiamo di farlo funzionare al meglio. Per fare questo diamo il via a un passaparola attraverso i canali tradizionali della comunicazione, attivando principalmente le scuole del paese. Il problema vero è che all’inizio c’è un interesse, che in molti casi è anche quello dei genitori, poi ci rendiamo conto che gl’interessi sono talmente tanti e variegati che i ragazzini si perdono per strada. In alcuni casi sono i genitori stessi che decidono verso quale interesse convogliare le aspirazioni dei propri figli, per cui succede che se un papà ama il gioco del calcio e coltiva sogni di gloria calcistica per il proprio figlio lo indirizzerà verso questo tipo di sport, dimenticando che una buona educazione musicale concorrerebbe alla costruzione di una personalità completa. Viviamo purtroppo in un mondo consumistico in cui la pubblicità diventa sempre più prevaricante, determinando spesso la prevalenza di scelte dettate dalla voglia di apparire o di avere tutto subito. La musica è un linguaggio universale, favorisce i processi d’integrazione, unisce, per questo rimango convinto che la scuola italiana e la tradizione bandistica locale debbano puntare con grande determinazione sulla diffusione della cultura musicale, con modalità sempre più adeguate ai tempi. Imparare la musica è un’arte bellissima, non finirò mai di sottolinearlo.
In molti casi parlare alla parte profonda della nostra interiorità non è facile, si sa che i giovani siano più attratti dall’immediato, da tutto ciò che li affascina all’istante
Capisco benissimo le difficoltà. Ci sono passaggi che hanno bisogno di trovare accoglienza, di essere insegnati, costruiti, valorizzati, l’amore per la musica si conferma con lo studio e con l’impegno, è necessario che una società sappia fare delle scelte precise. Parlare all’interiorità non è facile, perché richiede una buona capacità introspettiva, quella che le famiglie e la scuola dovrebbero insegnare. Viviamo un momento difficile a causa delle malattie, della mancanza di lavoro, la gente ha ancora paura del Covid, sta cercando di ritrovarsi, di rimettere in moto una volontà fortemente condizionata da molti e forse troppi fattori esterni, vuole ricominciare a vivere, ritrovando il gusto di una libertà veramente democratica. E’ proprio su questo tipo di rinascita che occorre lavorare, per una ristrutturazione integrale del nostro modo di essere, guai infatti se uscissimo dal tunnel del Covid con l’idea di aggredire in modo disordinato tutto ciò che ci viene incontro, lasciandoci guidare dall’egoismo. Credo che le Associazioni abbiano un ruolo determinante nella ripresa, siano il collante dentro al quale e attorno al quale si costruisce il nuovo. E’ in questa direzione che il Corpo Musicale lavora e s’impegna, in attesa che la vita riprenda il suo ritmo, guardando ai giovani come ai veri protagonisti della vita culturale e della vita civile del mondo che verrà, ma senza illuderli, con quel sano realismo che non perde mai di vista ciò che veramente conta nella vita delle persone.
Non pensa che esista un problema di convergenza educativa che investa anche il mondo delle Associazioni?
Posso confermare che i rapporti tra le Associazioni stiano cambiando radicalmente. Sta finendo l’epoca del “campanilismo”, un fenomeno che ha sempre caratterizzato, da che mondo è mondo, la realtà dei paesi e delle città, sta finendo l’epoca di: “Chi è il più bravo?”. Andando troppo per la propria strada si rischia di perdere di vista i problemi, quelli veri, quelli per la soluzione dei quali occorre il massimo della convergenza da parte di tutte le forze in campo. Da parte mia c’è, in questo senso, un impegno determinato e solidale per smussare i “campanilismi”, per cercare di fare in modo che la forza dell’uno diventi la forza dell’altro. Le Associazioni, pur nelle loro differenze identitarie, aiutano il paese a migliorare, sono tutte in egual misura protagoniste del suo benessere, per questo vale la pena puntare su rapporti interdisciplinari consolidati, su un insegnamento che preveda obiettivi comuni, che crei un’assonanza d’impegno, in modo tale che non si perda mai di vista ciò di cui il paese ha veramente bisogno. Creare un sistema interattivo, capace di integrare intenti e valori, potrebbe migliorare moltissimo la qualità della vita. Avere una visione comune sui problemi e sulle necessità, mettere insieme le energie, discutere e confrontarsi, stabilire una scala di priorità su quello che veramente conta potrebbe risolvere molti dei problemi che altrimenti rischiano di sfuggire di mano. E’ lavorando sulle corresponsabilità e sull’unità che si fondono le diversità e in tutto questo la cultura educativa riveste un ruolo fondamentale.
Presidente, imparare a suonare uno strumento è un investimento per la vita?
Da quando sono presidente, circa dieci anni, ho assistito a tutte le prove della Banda, ho sempre voluto seguire, passo dopo passo, ogni fase della preparazione, per capire sempre qualcosa di più della musica e della squadra, dei suoi bisogni e delle sue necessità. Seguendo i ragazzi mi sono entusiasmato al punto tale che mi son detto che avrei potuto imparare qualcosa anch’io, come ad esempio suonare uno strumento. Sto ancora imparando, ma l’entusiasmo è tale che occupa tutti gli spazi del mio tempo libero. Ogni tanto mi chiudo nell’intimità del mio studio e ripasso la musica, la studio e cerco di allenarmi. La musica ha la grande capacità di accompagnarci sulla via della bellezza, a stretto contatto con quell’intimità di cui abbiamo bisogno per ritrovare l’armonia con noi stessi e con il mondo che ci ruota attorno.
Come riesce a essere così presente nella vita sociale
Fortunatamente riesco a fare tutto. Tra i tanti impegni che mi sono assunto c’è quello di Coordinatore della Protezione Civile a Luino. All’interno dell’ANA di Luino, della quale fanno parte gli Alpini delle 5 Valli e il Gruppo Alpini della cittadina, ho responsabilità di tipo organizzativo, che condivido con un segretario estremamente attivo. Stamattina, ad esempio, eravamo a pulire i sentieri della Val Veddasca, per il comune di Maccagno. E’ un impegno che svolgiamo due volte la settimana, il giovedì e il sabato. Siamo undici persone che svolgono regolarmente questa forma di volontariato. Partiamo con i mezzi, ci portano al lago d’Elio, a Biegno o a Graglio e da lì scendiamo pulendo i sentieri con decespugliatori, soffiatori e con tutta l’attrezzatura necessaria. Essere un alpino al servizio della comunità è un grande onore. Mi sono talmente appassionato a quello che faccio che mi capita spesso di scrivere articoli e piccoli racconti di storia vissuta. Ieri sera ci siamo trovati con la Banda, per cominciare a definire un programma, speriamo che si possa tornare alla normalità il più presto possibile. So che “i ragazzi” non hanno perso tempo, si sono preparati a casa loro durante il periodo della chiusura, non hanno mai abbandonato il contatto con lo strumento e hanno una gran voglia di riprendere.
Com’è il dopo Covid?
Stiamo ripartendo e abbiamo delle idee. L’Amministrazione comunale ci ha concesso la tensostruttura del Parco della Stazione per le prove, un luogo molto adatto, perché il decreto Covid impone di mantenere le giuste distanze. Guardiamo avanti, cerchiamo di cominciare a prepararci per la festa di Santa Cecilia, non vogliamo farci trovare impreparati per il Concorso Bandistico di Bannio Anzino, dove nel 2016 abbiamo conquistato un onorevolissimo terzo posto. Stiamo lavorando per impostare il futuro della Banda, una bella squadra formata da trentasei elementi, che possono arrivare anche a cinquanta quando operiamo a pieno regime.
Lei si è occupato anche di restauri e della costruzione di chiese
Sì, sono stato impegnato per oltre quarant’anni in opere significative per la città di Varese, prima con l’impresa De Grandi, poi in proprio. Ho lavorato al restauro e alla costruzione di chiese importanti, ho avuto l’opportunità di conoscere personaggi di primo piano del mondo religioso, artistico e letterario. Ho avuto la fortuna di interloquire con Renato Guttuso e con Piero Chiara, mi vien da sorridere quando con Piero siamo entrati a gattoni nel sottotetto del suo appartamento per individuare una perdita che creava problemi al camino, una scena davvero comica. Ho avuto l’opportunità di conoscere e di cooperare con monsignor Pasquale Macchi, segretario personale di papa Paolo VI e con il vescovo, monsignor Bernardo Citterio. Sono stato impegnato nella costruzione del Vicariato alla Brunella, ho lavorato al Convitto De Filippi, alla chiesa parrocchiale di Biumo. A Varese ho lavorato tantissimo, frequentavo le famiglie della città, si trattava di persone operose e intelligenti con le quali ho potuto intrattenere rapporti molto proficui. Quando gli studi tecnici avevano problemi, mi chiamavano e io cercavo di risolverli. Quarantacinque anni di lavoro a Varese sono stati tanti ed estremamente soddisfacenti sotto ogni profilo. Ci sono stati momenti in cui avevo poco tempo da dedicare al paese, ma ho sempre fatto di tutto per non fargli mai mancare la mia presenza, non mi sono mai tirato indietro, ho sempre cercato di dare il mio contributo anche quando il tempo libero era molto ridotto. Non mi sono mai posto il problema di che cosa pensasse la gente, ho sempre cercato di fare quello che mi suggerivano il mio cuore e la mia testa. Essere al servizio della comunità è fondamentale. Non ho mai aspettato che il paese desse qualcosa a me, ho sempre cercato di dare io qualcosa al paese, in tutte le forme e le modalità che mi sono state consentite. Oggi vivo appassionatamente la mia presidenza, cercando di valorizzare e potenziare tutto il repertorio tradizionale, quello classico e operistico.
Presidente, complimenti per il suo dinamismo
Credo di essere una persona pratica, uno che ama la concretezza, che ha sempre avuto e che ha ancora una gran voglia di fare. A volte i problemi sono molto meno complicati di quanto si voglia far credere e, nella maggior parte dei casi, basta poco per risolverli.