– “Per non dimenticare Berto e i suoi burattini” è il titolo dell’incontro che si terrà venerdì 27 maggio alle ore 21 presso le scuderie di Villa Borghi. Organizzato dall’assessorato alla cultura del comune, con il Circolo Culturale de Biandronn, ha la finalità di tenere desta la memoria del burattinaio Gualberto Niemen. Dal 1936 al 2003 (anno del suo decesso a 98 anni), visse nel comune di Biandronno a cui lasciò tutti i burattini (oltre quaranta), le scenografie, i copioni e, infine, la sua casa con il laboratorio, dove per una vita costruì le sue creature. La sua collezione, visitabile all’interno di villa Borghi, sarà per l’occasione aperta fino alle 23,30.
La giornata verrà aperta alle ore 17 dallo spettacolo di burattini del nipote Adamo. Poi, la serata con gli amici di sempre: Chicco Colombo, Carlo Carcano, Augusto Vanetti.
Sarà come rientrare in un mondo che i biandronnesi hanno conosciuto bene, grazie a nonno Berto, che sapeva animare i burattini costruiti da lui con grande maestria e con gesti antichi, filtrati dalla Commedia dell’Arte. Il suo era il mondo dei teatranti girovaghi, artisti che divertivano nelle piazze adulti e bambini in un mondo non dominato dai media. Ha rappresentato per gli anziani una fetta della loro infanzia: quando giungeva nei paesi, piazzava baracca e burattini e cominciava a recitare a memoria copioni da lui scritti -ventisette- rappresentati ancora oggi da molte compagnie, o commedie a soggetto, farse, barzellette, sceneggiate. Ricordava bene Gianni Rodari la voglia di andare “in piazza a vedè i giupitt, Ginevra degli Almieri, ovvero la sepolta viva con Gioppino ladro di sepoltura”, una commedia proprio scritta da Berto. E ricorda bene lo scrittore Guido Ceronetti la rappresentazione de “La iena di san Giorgio” del Niemen nell’agosto del 1933 ad Andezeno, a 20 km da Torino “davanti ad una baracca illuminata ad acetilene”, sottolineando il debito di riconoscenza nei confronti del burattinaio che con la sua commedia gli ispirò il “teatro dei sensibili”. Chi entrava nel suo laboratorio di Biandronno sentiva palpitare la sua attività, in quel disordine creativo di pennelli, di colori, di sgorbie, di pezzi di legno di cirmolo da cui sarebbero usciti i suoi burattini, mentre sullo sfondo facevano bella mostra i fondali. Nel mezzo troneggiava il cavalletto, compagno di una vita. Con la sua loquacità avvincente, raccontava episodi che oggi hanno dell’incredibile, come quando nel gennaio 1941 da Biandronno raggiunse Alessandria, sotto la neve, in bicicletta, trainando il carretto del teatrino viaggiante “Gianduja”. Arrivò con le mani quasi congelate ma il successo dello spettacolo per le truppe fu tale che il federale gli diede 150 lire, anziché le 100 pattuite. Ha voluto essere sepolto con il suo Gianduja, burattino dalla mandibola mobile, costruito nel 1921 e Testafina, la sua creazione.
Federica Lucchini