Felice Magnani, con i suoi articoli, ci offre una riflessione profonda sulla società, la politica e i valori che guidano il nostro tempo. In Esiste ancora l’Europa?, l’autore mette in luce la fragilità dell’Unione Europea, incapace di unire visione e azione in un mondo in rapido cambiamento. In Siamo sicuri che la vecchia DC abbia fatto tutto quello che avrebbe potuto?, si interroga sulle responsabilità della Democrazia Cristiana nel declino dei valori politici cattolici, evidenziando il bisogno di una rinnovata consapevolezza morale. Infine, in Spieghiamo ai giovani l’importanza di essere giovani, Magnani sottolinea il ruolo fondamentale dell’educazione nel costruire un futuro consapevole, capace di guidare le nuove generazioni verso il bene comune. Un filo conduttore unisce i suoi scritti: la necessità di riscoprire l’identità, la responsabilità e l’impegno per un mondo più giusto e umano.
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ESISTE ANCORA L’EUROPA?
di Felice Magnani
Sono in molti oggi a chiedersi cosa sia oggi l’Europa, quale ruolo svolga dentro la comunità internazionale, che tipo di rapporto abbia con gli altri mondi, quelli che, a volte con la prepotenza, si arrogano il diritto di decidere se un paese debba vivere o morire, se il diritto internazionale valga per tutti o per qualcuno, se sia lecito arrogarsi il diritto di annettersi pezzi e ricchezze di altri stati o di contrabbandare la libertà e i diritti sacrosanti degli stati. Viviamo un momento in cui l’Europa dimostra una estrema fragilità, dimostra soprattutto di non riuscire a superare quelle velleità, quelle ambizioni e quelle varie forme di dominanza che hanno caratterizzato la sua storia passata. L’idea che ci fossero nazioni più brave, più forti, più ricche e più militarmente forti, l’dea di essere ancora parte di vecchi regimi “imperialisti”, nati sulla scia di un forte individualismo nazionalista, ha sicuramente creato le condizioni di un continente diventato incapace di una visione unitaria, incapace soprattutto di saper mettere in campo una mission che sapesse far vedere e far capire quali fossero le regole più adatte per innovare e per ricostruire una storia che aveva incrementato tendenze correlate alla nascita di sistemi che avrebbero fortemente indebolito la straordinaria ricchezza economico/finanziaria di quel mondo europeo che non aveva saputo riconvertirsi, rimanendo così prigioniero dei propri sogni e dei propri egoismi, incapace di uscire da quella gabbia dorata nella quale era stato appollaiato per anni, sicuro di poter stare al centro del mondo, di poter imporre la propria supremazia militare, culturale e quella sicurezza che le veniva garantita dall’alleanza con le grandi democrazie, in particolare quella con gli Stati Uniti d’America, alleanza che si era fortemente rafforzata dopo la seconda guerra mondiale. E’ in questa palude del diritto e del rinnovamento, che l’Europa ha continuato e continua ancora oggi, in molti casi, a esplorare la possibilità di mantenere intonse le proprie aspirazioni, quella mai sopita volontà di dominare che comunque deve fare oggi i conti con un mondo che sta cambiando radicalmente faccia e che ha bisogno di grandi trasformazioni per tenere il passo. Se l’Europa vuole modernizzarsi e vuole sopravvivere deve ritrovarsi, deve metter da parte tutti quei retaggi e quelle remore che le impediscono di nascere di nuovo, di diventare quella formatrice di mondi che non hanno mai perso il contatto con le proprie radici cristiane. E’ ritrovando la propria storia, che l’Europa riuscirà forse a ricomporre quella solidità operativa capace di restituire ai popoli la loro voglia di identità, il desiderio di collaborare alla costruzione di un futuro migliore, dove il rispetto dei diritti diventi la carta di credito del nuovo mondo. A fronte dell’arroganza di stati che si ergono a padroni del mondo e che ambiscono a distruggere valori inalienabili, come quelli che parlano il linguaggio della sovranità, della libertà, della democrazia, è estremamente necessario che l’Europa elabori un pensiero e ritrovi uno spirito che sappiano rispondere alle pressioni esterne con la forza e con la fermezza di una regalità geopolitica capace di essere magistra vitae per quelle popolazioni che sentono la necessità di entrare a pieno titolo in quell’ordine che crede e s’impegna per realizzare i valori fondamentali della democrazia, un’Europa quindi, che sappia realizzare sul campo quello spirito che è stato e resta continuità di una cultura mediterranea, punto di partenza di una moderna civiltà che vuole capire e realizzare quell’unione che, purtroppo, è venuta a mancare in tutti questi anni.
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SIAMO SICURI CHE LA VECCHIA DC ABBIA FATTO TUTTO QUELLO CHE AVREBBE POTUTO E DOVUTO, PER RISPONDERE ALLE ATTESE DEI SUOI ELETTORI ?
di Felice Magnani
Chi è stato democristiano in tempi non sospetti, sa perfettamente di cosa avrebbe avuto bisogno la Democrazia Cristiana per evitare di cadere nel circolo vizioso di Tangentopoli. Un partito deve avere la capacità e il buon senso di sapersi leggere, di saper fare un profondo esame di coscienza, di saper stabilire una fitta rete di rapporti relazionali con se stesso e con il proprio corpo elettorale, mettendosi nella condizione di capire e di far capire quale sia il suo stato di salute, quali operazioni sarebbero potute essere utili e necessarie per trovare le giuste soluzioni ai problemi di un partito così ampio e diffuso, in chiara difficoltà. La DC si è lasciata prendere in contropiede, fatto piuttosto grave per un partito che, proprio per le sue connotazioni cristiane, avrebbe dovuto mantenere una visione alta e molto attenta, non dimenticando mai che la caratterizzazione <cristiana> avrebbe determinato un confronto serrato con quel tipo di formazione che ne aveva caratterizzato il posizionamento politico. La sua classe dirigente non è stata in grado di anticipare i tempi, affrontando di petto quei problemi che stavano emergendo in tutta la loro gravità e che avrebbero contribuito a farla naufragare. E’ scesa a patti con un compromesso che l’ha condizionata moltissimo, non ha avuto la prontezza di rinnovarsi facendo il punto della situazione, non ha cercato un confronto diretto con il proprio corpo elettorale, lasciandolo in preda a una profonda solitudine esistenziale, non ha avuto il coraggio di mettersi in relazione diretta con se stessa e con quel corpo elettorale che attendeva delucidazioni in merito. Lo ha lasciato orfano, in preda a una fortissima destabilizzazione politica e sociale, proprio nel momento in cui avrebbe avuto bisogno di molta chiarezza e di conforto politico. Una parte importante del partito, quella che aveva sempre agito in piena conformità con quei principi e quei valori che ne avevano caratterizzato il pensiero e l’azione, è stata lasciata senza risposte, in uno stato di completo abbandono, come se il popolo delle elezioni non contasse più nulla. I democristiani che avevano sempre creduto nella logica del partito e che lo avevano sempre appoggiato, soprattutto nei momenti più complicati, si sono sentiti abbandonati, come se la loro fede improvvisamente non avesse più alcun valore. Ricordo non senza un pizzico di nostalgia, il tempo in cui insieme al mio compagno di scuola e amico Vittorio, con la vecchia seicento multipla del partito, ci <inerpicavamo> sulle balze appenniniche della provincia di Piacenza per andare a trovare quei sacerdoti che vivevano in luoghi isolati e che da sempre avevano aiutato il partito, soprattutto nella fase elettorale. Andavamo a trovarli per continuare una tradizione, perché quei sacerdoti erano stati e continuavano a essere il punto di forza di una visione cristiana della vita, visione sulla quale s’innestava la simpatia politica per la DC, per quei valori che era stata capace di coniare e di esprimere. Passavamo intere giornate su e giù per l’Appennino, tutto per amore di una fede nella quale avevamo riposto la forza delle nostre idee e proprio per questo ci sentivamo importanti, capivamo che il mondo aveva bisogno anche di noi, di giovani che volevano mettersi al servizio del prossimo. Mentre la politica alta, quella riservata ai ben remunerati posti di comando, continuava imperterrita la sua corsa, nonostante la tempesta imminente, c’erano tanti iscritti che si davano da fare, che obbedivano a un moto dell’anima, perché si sentivano responsabili della vita attiva del paese, uomini e donne che, nonostante l’avvicinarsi di tangentopoli, continuavano a credere nei bisogni e nelle necessità che una sana filosofia politica avrebbe saputo inculcare. C’è stato un momento interessante per noi giovani, quello in cui c’era sempre qualcuno che si preoccupava della nostra crescita, che cercava di farci entrare con consapevolezza in un mondo sempre un pochino più grande, più attento a far crescere il nostro spirito di servizio. Le relazioni non erano mai univoche, famiglia, scuola società civile, partiti politici, associazioni, cercavano di mantenere forti i legami con i valori del nostro paese, stimolando lo studio, la comprensione, l’impegno, valorizzando al massimo il servizio e il volontariato. Non esistevano confini o muri, gli oratori diventavano doposcuola, i genitori erano ben contenti di mandarvi i propri figli, perché avrebbero potuto approfondire, studiare, avrebbero potuto essere aiutati e soprattutto non sarebbero stati in giro a bighellonare, avrebbero avuto sempre qualcosa di nuovo da imparare. Vita civile e vita religiosa, cultura sociale e cultura religiosa univano spesso, per non dire quasi sempre, i loro percorsi e l’educazione, in particolare quella impartita dai rappresentanti della chiesa cattolica, aveva un ruolo fondamentale. L’educazione alla politica era soprattutto studio, lettura, pensiero, volontariato, impegno, gioco, conversazione, confronto, in molti casi il mondo degli adulti faceva da sponda ai giovani, li aiutava e li seguiva, c’era una grande capacità di capire il bisogno dell’altro. Ricordo gl’incontri all’Hotel Roma di Pianello, con la presenza di uomini e donne che spiegavano a noi giovani il valore e il significato di un’ appartenenza. Il mondo degli adulti sapeva farsi interprete delle necessità del momento, con quel tono garbato e pragmatico che diventava esempio concreto non solo per i giovani, ma anche per l’intera società civile. Sono ancora in molti quelli che si domandano che cosa sia successo realmente alla vecchia DC, cosa ci sia stato alla base della sua graduale scomparsa. Forse un eccesso di personalizzazione ha creato una grande rete di effetti collaterali: 1. Perdita di forza contrattuale del mondo cattolico; 2. Disorientamento e confusione da parte di un elettorato sempre più incapace di identificarsi, di ricomporre una cattolicità politica sulla base di idealità comuni; 3. Progressiva frantumazione della cultura politica cattolica; 4. Incapacità di dare risposte ferme e solidali su temi e problemi di natura etica e morale; 5. Difficoltà a esprimere soluzioni ideologico/politiche convergenti; 6. Contrapposizioni e progressiva disaffezione dei cittadini nei confronti della politica; 7. Perdita da parte della cultura politica della sua tradizionale ispirazione cristiana, lasciandosi in molti casi trascinare da varie forme di laicismo; 8. La politica del potere ha sostituito la politica del servizio, generando sfiducia in quei cattolici che avevano sempre visto nell’azione politica la realizzazione temporale dell’ispirazione cristiana; 9. È venuto a cadere l’esempio come testimonianza viva dell’azione politica; 10. Il costume stesso della politica è decaduto vertiginosamente, lasciando spesso sul campo retori poco credibili e inaffidabili; 11. La politica cattolica non ha valorizzato il merito acquisito sul campo, in alcuni casi ha privilegiato la forma rispetto alla sostanza; 12. Uno dei limiti è stato quello di non aver approfondito l’aspetto culturale delle problematiche, lasciandosi spesso anticipare o prendere in contropiede da chi aveva fatto della cultura, anche quella profana, un’arma da promuovere a livelli elettorali; 13. La cultura amministrativa ha spesso privilegiato gli aspetti tecnici, trascurando la dimensione educativa dei valori cristiani; 14. Non si è esercitata un’educazione alla comunicazione politica; 15. Molto spesso la scelta dei rappresentanti popolari non ha tenuto conto dei valori della persona, è stata in molti casi una scelta di comodo o di interesse o legata a varie forme di spontaneismo; 16. È mancata una formazione all’esercizio della gestione della cosa pubblica. Il mondo cattolico ha evidenziato tutta la sua carenza organizzativa, propositiva, culturale e innovativa. Tornare a essere protagonisti? Nella maggior parte dei casi la voce della Chiesa è stata confinata in una formale presa d’atto, in una ufficialità di maniera, messa in campo per dovere gerarchico, non ha incontrato l’attenzione sufficiente e necessaria per essere trasformata in una grande ed efficace opzione di progettualità. Le potenzialità umane e cristiane, i talenti, le risorse, la storia, la straordinaria funzionalità educativa del mondo cattolico sono stati subordinati alla dimensione temporale, a un egoismo che in molti casi ha spento ogni forma di arricchimento e di attenzione politica e sociale. Siamo stati spettatori di una caduta verticale del grande baluardo politico cattolico, con conseguente ascesa di una strana forma di liberalismo che ha dato il via alla trasformazione della libertà, dei valori, delle verità, della cultura e della tradizione del nostro paese in una forma del tutto personalizzata, fondata più su presunte figure emergenti, piuttosto che su una coordinata e solida convergenza morale dei contenuti, degli ideali e delle strategie. Sono mancati autocritica e messa a punto di progetti che raccogliessero lo spirito profondo della civiltà cristiana, alla luce delle nuove consapevolezze sociali. Un’imprenditorialità scriteriata ha spesso sconvolto la vita dei cittadini, assoggettandola a un consumismo di natura materialista, che ha progressivamente disattivato l’attività del pensiero, diventato nel frattempo suddito dell’immagine, di una studiata vocazione capitalistica all’avere. La progressiva negazione della spiritualità e della sacralità in quasi tutti i campi della cultura italiana ha innescato forme di materialismo a tutto campo, artefici della maggior parte dei malesseri che hanno assillato e che assillano tuttora la natura umana, impedendole di vivere in modo equilibrato la propria storia. In questi anni di rincorsa sconsiderata al consumo, al successo personale, alla perpetuazione del potere come forma di dominio delle coscienze, è venuto a mancare un sostegno morale forte, la convinzione che i valori della nostra storia continuassero a essere il perno attorno al quale ancorare la nostra straordinaria tradizione. Stiamo vivendo sulla nostra pelle la crisi dell’identità politica cattolica, la sua incapacità di saper cogliere e orientare la propria dimensione temporale, la vocazione a porre in essere quella forza etica, creativa e costituzionale che ha caratterizzato la vita del nostro paese dopo l’ultimo disastro bellico. Come fare dunque per rigenerare una politica priva di orgoglio ideale e sempre più schiava di un liberalismo sventolato per mascherare la vocazione all’affermazione dell’individualismo, del materialismo e del relativismo etico? Ripartire da una rigenerazione del costume, attraverso un approfondito esame del mondo dei valori di appartenenza, è solo l’inizio di un cammino che si prevede lungo, complesso, molto articolato, costellato di numerosi punti interrogativi. Il pensiero rivendica il suo spazio, si attiva per cercare di ristabilire un equilibrio e un ordine, un’armonia tra necessità materiale e spirituale, tra spiritualità e creatività. Il mondo cattolico ha il dovere di tornare a far politica, animato da uno spirito di servizio che trovi nella dimensione cristiana la sua fonte di approvvigionamento. In questa delicatissima fase di passaggio si qualifica l’impegno e l’opera del politico e con essa la grande forza di quello spirito cattolico che è pur sempre espressione di universalità di contenuti, di valori e di risorse, applicabili sempre alla vocazione educativa della storia. Nel generale clima di disfattismo, è forse necessario che la politica cattolica si faccia promotrice di una rinnovata fiducia nell’impegno sociale e amministrativo, come fondamentale momento di servizio e di aiuto alla collettività, che si apra alle domande di una società che ha profondamente bisogno di appoggiarsi, di riconoscersi, di ritrovare equilibrio e armonia, di affrontare con coraggio, lealtà e trasparenza i bisogni e le necessità di un mondo che si guarda attorno per trovare di nuovo una conferma e una speranza, andando oltre l’immobilismo e l’arroganza che hanno destrutturato con repentina sistematicità quei valori sociali e religiosi che erano stati alla base di una straordinaria rinascita postbellica. Gli appelli della Chiesa per una ripresa dell’impegno cattolico nella politica italiana sono molto importanti, ma occorre fare un profondo esame di coscienza, partendo da un’analisi attenta e molto seria, capace di cancellare e di riproporre, di progettare e di dimostrare che i valori, quando sono veri valori, non muoiono mai, attendono solo che qualcuno li faccia vivere in tutta la loro forza e bellezza, con grande coraggio e determinazione. Oggi, volendo, lo si può fare in una forma meno dottrinale e più aderente, lo si può fare ricreando un senso, una pratica, un metodo di lavoro, rafforzando quella forza intellettuale che, se ben guidata, può coniugare e unire capacità ed energie, lo si può fare, ma è necessario che si torni a ricostruire pezzi di storia abbandonati troppo in fretta, rendendoli ancora vivi, ascoltandone ancora la voce, senza dimenticare che la vita è dinamismo, che l’intelligenza è movimento, che il pensiero è movimento e che la politica non è qualcosa di cui vergognarsi, ma una formidabile possibilità che viene offerta alle persone, per rendere sempre più libera e democratica la nostra vita e quella di tutti coloro che s’ impegnano, per migliorarla. I tempi cambiano repentinamente, le alleanze pure, c’è una geopolitica in forte ascesa, ci sono uomini che sono convinti di avere nelle proprie mani il mondo e di poterlo organizzare a proprio uso e consumo, c’è chi pensa che i robot possano sostituire la specie umana, ma forse non si è ancora capito che alla base di tutto ci sono valori immutabili come la famiglia, l’educazione, la fede, la cultura. Pensare di costruire la verità su immagini che scivolano via in fretta e che producono vuoti e assenze drammatici è assurdo, l’umanità ha un estremo bisogno di studio, di cultura, di attenzione verso quella conoscenza interiore che fa uscir fuori la parte più bella, quella che si lega al cuore, alla mente, ai sentimenti, all’amore per quella bellezza che ci ruota attorno e che chiede di essere amata e rispettata, sempre. Credo che la politica abbia ancora molto da imparare dallo spirito universale della chiesa cattolica, da un Papa, che ha richiamato costantemente, con l’esempio, alla riappropriazione di valori sacrosanti, senza i quali diventa molto complesso capire quale sia la strada giusta da percorrere per stabilire un patto tra l’uomo, la sua intelligenza e quella volontà di realizzare il bene che muove il suo desiderio di essere, la sua volontà di poter davvero ricreare ciò che un eccesso di materialismo, di consumismo e di negazionismo hanno spazzato via, lasciando sul campo terra bruciata, disarmonia e impotenza, incapacità di dare un senso alla vita in tutte le sue variabili e in tutte le sue forme. Nell’Enciclica e nei testi scritti da papa Bergoglio traspare il senso vero e profondo di una vita che vuole continuare a vivere, nonostante i mille problemi che l’assillano e che vorrebbero distoglierla da quel senso del sacro che l’ha salvata, in molte occasioni, da pericolosissime cadute di stile.
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SPIEGHIAMO AI GIOVANI L’IMPORTANZA DI ESSERE GIOVANI
Felice Magnani
Parlare del bene quando il male dilaga è fondamentale, è come imbracciare l’onestà e lasciarsi alle spalle tutto ciò che odora di ingiustizia e di illegalità. Di solito quando si ravviva la speranza gli esseri umani si sentono rinascere, è una spinta interiore che lava via le ferite e tutto ciò che impedisce al cuore di battere per cause giuste, per cause sante, è come riaprire di nuovo il libro della coscienza e rileggerlo con la cura di chi ne ha capito la forza, la bellezza, l’essenza vera e profonda. Mentre la politica cerca nuove piste da cui decollare e mentre l’umanità si domanda del perché di certi atteggiamenti, resta aperto il tema dei giovani, in particolare dei preadolescenti e degli adolescenti, alle prese con una crescita che è stata difficile per tutti, ma che rischia di esserlo ancora di più se la società non apre gli occhi e non s’impegna a trovare soluzioni educative adeguate, che abbiano l’accortezza di incanalare la straripante dose di energia che si riversa quotidianamente in tutte le pieghe e sfumature dell’assetto comunitario. La giovinezza è un dono incommensurabile, è l’incontro con la vita in tutte le sue parti, è il momento in cui il mondo interiore si tende nei confronti di tutto ciò che incontra per cercare di capire, assimilare, condividere, è anche il momento dell’esplosione ormonale, di una sensibilità che s’incunea nella vita per assorbirla, investigarla, per metterla sotto osservazione, infischiandosene in molti casi delle convenzioni stabilite. I giovani non hanno dimestichezza con il tempo e le sue regole, per loro la vita è un impetuoso e generoso torrente di montagna che scorre a tratti con quella cieca ovvietà che spesso va a sbattere contro una realtà che non è sempre quella umanamente pensata o voluta. L’approccio resta il punto fondamentale, è lì che l’innamoramento comincia a delinearsi, a quantificarsi, a riconoscersi, a scoprire le pieghe di un mondo rimasto forse troppo a lungo avvolto nei misteri di una civiltà ermeticamente chiusa, per impedire di scoprire quali siano i veri tesori del mondo che ci appartiene. I giovani hanno un grandissimo bisogno di capire cosa significhi vivere, sussultare, arrossire, arrabbiarsi, controllarsi, amare e soffrire, alimentando quell’ energia che, se non guidata, rischia di disperdersi in mille rivoli e magari di cadere miseramente in pasto a spire furbescamente disposte. Preparare i giovani alla vita democratica dovrebbe essere il motivo dominante di un sistema che vuole crescere, che pone al centro di tutto l’essere umano, che lo valorizza e lo promuove. Il cuore dei giovani, si sa, batte forte, ma la forza, se non è coerentemente guidata, rischia di perdersi per strada, proprio quando occorre premere per realizzare quella parte di responsabilità, democraticamente riconosciuta. Non è facile far apprendere l’importanza del bene, perché qualsiasi spiegazione, anche la più convincente, rischierebbe d’impattare contro un vissuto personale estremamente variegato. Non è neppure facile usare sempre un linguaggio ideale, porgere l’esempio giusto, in molti casi vale forse molto di più il colpo di cazzuola di un bravo muratore del lucido di un geometra o di un architetto. Molto dipende dalla qualità del soggetto, dalla sua capacità di saper rispondere alle attese e alle provocazioni della vita. L’esempio conta comunque moltissimo, ma non sempre è esaustivo, non sempre consente di ritagliare fasce di credibilità e di attendibilità, spesso c’è infatti bisogno di tempi e di modi adeguati per consentire alla vita di mostrare i suoi volti e alle istituzioni di poter rispondere in modo mirato. Saper orientare la sensibilità genera nuovi interessi, apre la sensibilità a nuove scelte, corrobora la volontà e la mette in condizione di adire più facilmente verso prese di coscienza capaci di allertare lo spirito critico, la volontà di sentirsi umanamente e socialmente coinvolti. L’assunzione di senso di responsabilità individuale e collettivo è fondamentale nell’evoluzione di quello spirito comunitario che tende ad accogliere e a orientare. I giovani hanno un estremo bisogno di bene, di educatori che credano nella loro missione, soprattutto quando esporsi sul piano educativo significa non essere capiti e incontrare l’antagonismo oppositivo da parte di chi ritiene che la società possa vivere in modo anarchico, senza regole guida e senza qualcuno che le faccia applicare. Insegnare il bene è una straordinaria forma di catechismo, è un obbligo oltreché un dovere nei confronti di quella parte di società civile che si guarda attorno per capire che cosa occorra fare per costruire un futuro su cui poter contare. Le agenzie educative di oggi non sono più così convincenti come quelle di una volta, quando la società parlava un linguaggio comune che riguardava tutti, oggi in molti casi si tende a personalizzare fortemente la realtà, a propria immagine e somiglianza, si tende ad assolvere sempre, a non dare il giusto peso all’errore e alla sua possibilità di assoluzione, si parla pochissimo con i giovani, soprattutto quando hanno un estremo bisogno di essere ascoltati. Stare dalla parte del bene non è mai facile, non è facile saper dire di no quando tutti stanno dall’altra parte pronti a irridere, a spandere ironia e sarcasmo, a voler dimostrare che la forza consiste nella gestualità violenta o in un linguaggio brutale, non è facile consigliare, parlare, dialogare, costruire, eppure la parola, quella saggia e persuasiva, ha sempre sortito un effetto, è stata l’inizio di un faticoso, ma anche gioioso cammino di conversione personale e collettiva. Approdare al bene comune non è un’impresa facile, ma ci si può arrivare se tutti impegnano le loro risorse, fuori dai circuiti dell’interesse personale o di gruppo, ma perfettamente dentro l’ambizione di aiutare la condizione umana a essere sempre un pochino più umana.